La transizione all’energia pulita in tutto il mondo, essenziale per ridurre le emissioni e arrestare il cambiamento climatico, è minacciata dal rapido aumento dei tassi d’interesse, che rendono insostenibili alcuni progetti, come i nuovi parchi eolici offshore. Se sono corrette le stime secondo cui l’Europa deve trovare altri 163 miliardi di euro per rispettare l’obiettivo zero emissioni entro il 2050, è verosimile che altrove la situazione non sia molto diversa.

Negli ultimi quindici anni i tassi d’interesse sono rimasti insolitamente bassi, permettendo alle aziende di accedere a finanziamenti convenienti per realizzare i loro progetti. La transizione è stata inoltre favorita dal calo dei costi delle tecnologie verdi, che ha spinto vari governi a ritirare alcune sovvenzioni.

Di recente, però, le banche centrali di tutto il mondo hanno alzato i tassi per tentare di contenere l’inflazione, il cui aumento è in parte dovuto a quello del prezzo dei combustibili fossili in seguito all’invasione russa dell’Ucraina. Nel Regno Unito i tassi d’interesse sono passati dallo 0,1 per cento del dicembre 2021 al 5 per cento del giugno 2023, mentre la Banca centrale europea ha alzato il tasso dei prestiti alle banche dallo 0,5 per cento del luglio 2022 al 4 per cento del giugno 2023.

Questi aumenti puntano a bloccare le spese in tutti i settori economici per contrastare l’inflazione. Le misure però, ostacolando gli investimenti, frenano lo sviluppo di progetti energetici verdi come quelli per il solare, l’eolico e altre fonti rinnovabili.

Dall’analisi di mercato della società di consulenza Berenschot, commissionata dall’Associazione olandese per le energie rinnovabili (Nvde), è emerso che l’aumento dei tassi d’interesse in Europa dal 2021 ha già fatto lievitare di 163 miliardi di euro i costi per completare la transizione energetica entro il 2050. Non sono disponibili dati comparabili sul resto del mondo, ma è prevedibile che l’aumento del costo del denaro abbia un effetto simile a livello globale.

Jens van ’t Klooster dell’università di Amsterdam definisce l’aumento dei tassi uno “strumento spuntato”. Perché “abbassa l’inflazione, ma il costo in termini di perdita degli investimenti è enorme”.

E sembra proprio che, in un contesto in cui cambiano le fonti energetiche, possa rivelarsi anche uno strumento non più adatto allo scopo. Se costruire infrastrutture a basse emissioni come i parchi eolici è costoso, gestirle non lo è, spiega Nick Robins della London school of economics. Con i combustibili fossili, invece, succede spesso il contrario: hanno maggiori spese di funzionamento. “Il costo del capitale è più importante per l’obiettivo zero emissioni che per l’economia convenzionale”, aggiunge Robins. Significa che l’aumento dei tassi danneggia di più l’energia pulita.

Poco redditizi

Morale della favola: le aziende stanno abbandonando i nuovi progetti. In una presentazione agli investitori tenuta a giugno Mads Nipper, amministratore delegato della Ørsted, ha detto che l’azienda danese sta compiendo “scelte attive” per rivedere i progetti come il Baltica 3, il parco eolico offshore pensato per il mar Baltico che al momento è stato rinviato.

“Per alcuni progetti stiamo chiedendo con molta sincerità ai nostri principali fornitori di aiutarci a tagliare i costi”, ha dichiarato Nipper. “E stiamo dicendo chiaramente che se non potremo contare su una sufficiente creazione di valore, e quindi un uso responsabile dei soldi dei nostri investitori, siamo pronti a ritirarci del tutto”.

La tendenza è simile nell’intero settore verde. Tra le sue affiliate la Nvde ha aziende che si occupano di eolico, solare, pompe di calore e auto elettriche, come pure reti di distribuzione.

In un sondaggio condotto ad aprile ha scoperto che, a causa dell’aumento dei tassi, quasi un terzo delle intervistate aveva già cancellato o rimandato progetti di energia pulita. “L’aumento dei tassi d’interesse sta realmente danneggiando la transizione energetica”, sostiene il presidente Olof van der Gaag.

Il 20 luglio l’azienda svedese Vattenfall ha annunciato l’interruzione dei lavori del Norfolk boreas, un parco eolico
offshore nel mare del Nord, al largo delle coste britanniche, perché il prezzo è lievitato del 40 per cento sulla scia dell’aumento dei tassi d’interesse e dei rincari dell’intera catena di approvvigionamento. “Anche se la domanda di elettricità pulita è più alta che mai, il mercato dell’eolico offshore è impegnativo”, ha dichiarato Anna Borg, amministratrice delegata della Vattenfall. Il parco eolico da 1,4 gigawatt sarebbe stato uno dei più grandi del Regno Unito, in grado di fornire energia pulita a circa un milione e mezzo di abitazioni.

Secondo Raffaele Rossi dell’associazione SolarPower Europe l’aumento dei tassi d’interesse è un problema per la “profittabilità” del solare. “Se il costo del debito è maggiore, l’utile sul capitale investito ne risente”, spiega. E questo non vale solo per le centrali solari, ma anche per le fabbriche che producono i pannelli. Per garantire che i progetti partano in un contesto di alti tassi d’interesse il sostegno economico dei governi e delle banche centrali è “essenziale”, dice Rossi.

Per van der Gaag le banche centrali potrebbero per esempio applicare un “tasso d’interesse verde” privilegiato ai progetti di energia rinnovabile. Sarebbe un fatto senza precedenti. Nel 2014, nel 2016 e nel 2019 la Banca centrale europea ha concesso tassi d’interesse inferiori alle banche che prestavano di più a privati e a società non finanziarie, incoraggiandole così a sostenere l’“economia reale” in tempi d’incertezza economica.

“Si potrebbe adottare un meccanismo simile in maniera mirata, cioè per chi investe nella transizione energetica”, dice van der Gaag. Così si “risolverebbe alla radice il problema (dell’aumento dell’inflazione)”, riducendo la dipendenza dall’instabilità dei mercati dei combustibili fossili.

Come capita spesso in materia di politiche sul clima, la sensazione è quella di un’opportunità sprecata. I governi avrebbero dovuto fare di più per produrre energia sostenibile quando i finanziamenti costavano poco, dice van ’t Klooster. “È il grande fiasco dell’ultimo decennio”, aggiunge. “Sarebbe stato possibile finanziare moltissimi investimenti spendendo meno”. ◆ sdf

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Questo articolo è uscito sul numero 1525 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati