Nell’estate del 2023 Dean Grubbs e i suoi colleghi stavano festeggiando un grande successo nel campo della conservazione ambientale. Il protagonista era il pesce sega denti piccoli, una specie di grandi dimensioni appartenente alla famiglia dei pristidi e dotata di un lungo naso dentato. Vittima dello sviluppo costiero e della pesca indiscriminata, nel 2003 è diventato il primo pesce di mare a ottenere la protezione del governo statunitense. Nello stesso anno la popolazione di pesci sega della Florida aveva ripreso a crescere. “Eravamo entusiasti, la specie stava cominciando a riprendersi”, racconta Grubbs, ecologo marino della Florida state university.

Poi è arrivato il disastro. Nel gennaio 2024 molti pesci sega sono stati avvistati in acque poco profonde, dove si dimenavano in cerchio e morivano, un comportamento già notato da mesi in pesci più piccoli. Grubbs e la sua squadra si sono ritrovati a raccogliere dall’acqua i pesci morti. Dopo mesi di ricerche e test, gli scienziati hanno individuato il colpevole: il riscaldamento degli oceani. Un’ondata di calore senza precedenti aveva infatti portato le acque della Florida a una temperatura da vasca da bagno, innescando una reazione a catena che aveva decimato la fragile popolazione di pesci sega.

Negli oceani del mondo qualcosa non va. Dalle fioriture di alghe arancioni nel mare del Nord alla moltiplicazione dei bumali (un pesce tropicale) al largo della Cina, fino alla scomparsa dell’acqua di fondo dell’oceano Antartico (la più fredda del mondo), le temperature estreme stanno stravolgendo le nostre acque. Dopo aver assorbito per anni il calore eccessivo provocato dalle attività umane, oggi gli oceani sono a un punto critico, e ci stiamo finalmente rendendo conto di quanto la situazione sia preoccupante.

Circa il 90 per cento del calore in eccesso intrappolato dall’atmosfera dall’inizio della rivoluzione industriale è stato assorbito dagli oceani, che ci hanno fatto un enorme favore proteggendo la vita terrestre dagli effetti del riscaldamento. “Quel calore non è rimasto nell’atmosfera, dunque non ha potuto contribuire allo scioglimento delle calotte polari e al riscaldamento del suolo”, spiega Till Kuhlbrodt del Met office , il servizio meteorologico britannico. Questo, però, ha avuto un costo: per decenni le temperature dei mari hanno continuato ad aumentare stabilmente. Tra il 1993 e il 2022 sono salite in media di circa 0,42 gradi per decennio, sottolinea Gregory Johnson della National oceanic and atmospheric administration degli Stati Uniti (Noaa). Ma nel marzo 2023 c’è stata un’improvvisa impennata. “Le temperature medie di superficie sono aumentate di circa 0,28 gradi in appena cinque mesi”, spiega Johnson.

Il cambiamento climatico dovrebbe esserne in gran parte responsabile, ma la variabilità climatica ha peggiorato le cose. Nel 2023 è tornato il fenomeno meteorologico ricorrente detto El Niño, che ha provocato il riscaldamento delle acque di superficie del Pacifico tropicale. Questo è successo dopo tre anni in cui si era ripetuto il fenomeno opposto, chiamato La Niña, in cui le acque di superficie sono state più fredde e il calore ha continuato ad accumularsi nelle profondità oceaniche. “Prendi tre anni della Niña, aggiungi un anno del Niño e boom, le temperature esplodono”, spiega Johnson. “Questo ha fatto sì che il balzo fosse più ampio del normale”.

Anemoni di mare sbiancati a Trat, in Thailandia, maggio 2024 (Sirachai Arunrugstichai, Getty)

La conseguenze sono state drammatiche. Dal gennaio 2023 al maggio 2024 un grave sbiancamento delle barriere coralline è stato registrato in almeno 62 paesi sparsi per il mondo. Lo sbiancamento è un risultato diretto del riscaldamento delle acque: i coralli sono a rischio se le temperature superano di un grado o più i normali valori massimi.

Stress multiplo

Altri cambiamenti sono meno prevedibili ma altrettanto preoccupanti. In Florida i ricercatori hanno cercato per mesi di capire quale fosse la causa della misteriosa moria dei pesci sega. La risposta giaceva nei fondali fangosi, dove vivono alghe bentoniche che di solito “si fanno gli affari loro”, spiega Alison Robertson della University of South Alabama. Alcune di queste alghe producono tossine che possono danneggiare la fauna marina, ma di solito la loro proliferazione è limitata dalle altre alghe.

Tuttavia, quando Robertson è stata chiamata in Florida per indagare sulla morte dei pesci sega, l’analisi dei campioni di acqua ha prodotto risultati sorprendenti. “La presenza di queste microalghe era molto forte, non solo sul fondale ma anche nelle acque sovrastanti, una cosa davvero insolita”. I campioni hanno rivelato la presenza di vari tipi di alghe tossiche, spiega Robertson. “L’esposizione combinata a diverse tossine ha provocato il fenomeno che abbiamo osservato”. Secondo Robertson e i suoi colleghi l’ondata di calore marino che ha colpito la Florida nel 2023 è stata l’evento scatenante che ha alterato l’ecosistema e ha permesso alle alghe tossiche di diventare dominanti. Questo spiegherebbe come mai più di cinquanta specie di pesci abbiano manifestato sintomi di avvelenamento da neurotossine. È possibile che i pesci sega siano stati la più colpita tra le grandi specie perché cacciano le loro prede agitando il fondale con il muso, e sono quindi esposti a una concentrazione maggiore di tossine. Anche se la moria si è interrotta, secondo Grubbs ci vorrà almeno un anno per capire quanto sia stata grave. Con una popolazione che prima del disastro era probabilmente inferiore ai mille esemplari adulti, lo scienziato teme che la specie possa aver subìto un colpo “significativo”.

Le fioriture eccezionali di alghe stanno diventando sempre più comuni in tutto il mondo. Tra il 2003 e il 2020 la superficie interessata è aumentata del 13,2 per cento, mentre la frequenza è cresciuta di quasi il 60 per cento. Non tutte le fioriture sono tossiche, ma rappresentano comunque un segnale allarmante di un ecosistema sotto stress. “Di sicuro è in corso un cambiamento”, spiega Andrew Turner del Centre for environment, fisheries and aquaculture science del Regno Unito. “Assistiamo alla comparsa di alghe dannose dove non ce n’erano mai state”.

Nel giugno 2023 una fioritura di fitoplancton Noctiluca ha colorato di arancione le acque del mare del Nord. La chiazza era talmente vasta da risultare visibile dallo spazio. Negli ultimi 18 mesi quest’area dell’Atlantico del nord ha subìto un riscaldamento estremo. A giugno le temperature erano 5 gradi più alte della media. La situazione è talmente grave che secondo gli scienziati della Noaa è come se l’Atlantico avesse la febbre. E le fioriture colorate non sono l’unico sintomo.

Ottovolante antartico

Le acque dell’oceano sono divise in strati, più caldi e ricchi di ossigeno in superficie e più freddi, salati e densi di nutrienti in profondità. Se le acque continuano a riscaldarsi, il rimescolamento tra gli strati si riduce, impedendo ai nutrienti di spostarsi verso la superficie e all’ossigeno di scendere verso i fondali. Oltre a favorire le fioriture algali, il fenomeno causa problemi per il fitoplancton, ovvero i piccoli organismi fotosintetici che trasformano la luce del Sole e l’anidride carbonica in zuccheri e ossigeno. L’aumento della stratificazione “impedisce ai nutrienti di salire verso lo strato superficiale, dove il fitoplancton ne ha estremo bisogno”, spiega Angus Atkinson del Plymouth marine laboratory, nel Regno Unito. Il risultato è che nel corso degli ultimi 35 anni la quantità di fitoplancton nella Manica in estate si è dimezzata.

L’estremo riscaldamento degli oceani nel 2023 potrebbe aver aggravato il problema. Uno studio in attesa di pubblicazione indica che ad aprile del 2023, quando le temperature di superficie hanno raggiunto livelli da record, il tasso di produzione mondiale di fitoplancton, alghe e batteri si è ridotto del 22 per cento. Il calo è stato particolarmente pronunciato nell’Atlantico del nord. Non solo c’è meno fitoplancton, ma quello che c’è è più piccolo rispetto alla norma. “È un doppio problema per gli animali che si nutrono di queste creature, perché sono così piccole che lo zooplancton non riesce a mangiarle”, spiega Atkinson. Questo ha un effetto a catena che coinvolge pesci commercialmente importanti come lo sgombro, il merluzzo e l’aringa, che si nutrono di zooplancton. Nel frattempo le creature gelatinose come le salpe si moltiplicano grazie al plancton più piccolo. Nel 2023 è stato registrato un incremento della loro presenza lungo la costa sudoccidentale del Regno Unito.

Il minor rimescolamento degli oceani potrebbe compromettere il funzionamento della pompa biologica del carbonio, spiega Corinne Le Quéré dell’università della East Anglia, nel Regno Unito. È il processo con cui il fitoplancton rimuove l’anidride carbonica dall’atmosfera, trasferendola come biomassa dalle acque superficiali verso i fondali.

Coralli sbiancati a Koh Mak, in Thailandia, maggio 2024 (Napat Wesshasartar, Reuters/Contrasto)

“È un flusso di carbonio di dimensioni comparabili alle emissioni di anidride carbonica dovute alle attività umane”, spiega Le Quéré. I ricercatori temono che se le particelle di biomassa non raggiungono le profondità oceaniche, l’anidride carbonica che contengono non resterà immagazzinata a lungo. I cambiamenti in questo flusso di nutrienti avranno conseguenze immediate per l’ecosistema marittimo, ma anche effetti a lungo termine sul riscaldamento globale, con pesanti ripercussioni per l’umanità, sottolinea Le Quéré. Anche nelle acque più fredde la situazione è tutt’altro che normale. In Antartide gli ultimi due anni sono stati un “ottovolante”, spiega Ted Scambos dell’università del Colorado a Boulder. Fino al 2015 l’estensione invernale del ghiaccio marino cresceva ogni anno, ma nel 2016 c’è stato un forte calo e i livelli sono rimasti stabili fino al 2023, quando la superficie massima è crollata ad appena 16,96 milioni di chilometri quadrati, il dato più basso mai registrato. Il Met office britannico stima che nel 2024 sarà sfiorato un altro record negativo.

Il 2023 è stato “drammatico” sia per il minimo estivo sia per il massimo invernale del ghiaccio marino, spiega Scambos. I segnali indicano che la causa è il riscaldamento delle acque intorno all’Antartide. “Sembra che gli strati superiori dell’oceano contengano più calore rispetto al passato. Dunque, quando il ghiaccio si estende verso nord, incontra acque che hanno ancora una consistente quantità di calore”, sottolinea. Questo fa temere che l’Antartide stia attraversando un “cambio di fase” e che il ghiaccio marino possa non tornare mai più ai livelli precedenti.

Le correnti rallentano

Ma c’è dell’altro: anche “l’acqua di fondo” dell’oceano Antartico sta scomparendo. Queste acque fredde, dense e ricche d’ossigeno precipitano dalla piattaforma continentale antartica fino a grandi profondità, alimentando una rete globale di correnti oceaniche che trasportano l’ossigeno verso il fondo degli oceani Pacifico, Atlantico e Indiano. Ma con l’accelerazione dello scioglimento dei ghiacciai e il rallentamento della formazione di ghiaccio marino, oggi le acque dell’Antartide sono meno salate, quindi hanno più difficoltà a sprofondare. Nel mare di Weddell il volume delle acque di fondo si è ridotto del 20 per cento negli ultimi trent’anni. Il risultato è un rallentamento delle correnti antartiche, con una circolazione ridotta di quasi un terzo dal 1992 secondo una ricerca pubblicata nel 2023. “È in atto un grande cambiamento nella circolazione oceanica”, spiega il coautore dello studio Matthew England, dell’università del New South Wales, in Australia.

Il rallentamento delle correnti significa che nelle profondità oceaniche arriva ancora meno ossigeno, con ricadute per gli ecosistemi marini globali. Nel 2021, un altro anno segnato da temperature eccezionali, metà delle acque costiere profonde dalla California al Canada presentava livelli di ossigeno così bassi da essere pericolose per la vita marina. Alcuni modelli mostrano che anche se azzerassimo immediatamente le emissioni di anidride carbonica, l’ossigeno contenuto negli oceani calerebbe comunque di più del 10 per cento rispetto ai livelli preindustriali, e le aree delle profondità oceaniche in grado di sostenere la vita si ridurrebbero almeno del 25 per cento.

Inoltre le acque di superficie più calde trattengono meno ossigeno, e questo sta già causando delle alterazioni. Nel mar Cinese orientale i bumali, pesci capaci di sopravvivere in ambienti poveri di ossigeno, si stanno moltiplicando a spese delle specie locali da quando il livello di ossigeno è diminuito a causa del riscaldamento.

Da sapere
Anomalia annuale della temperatura media di superficie dei mari, gradi (Fonte: Copernicus/Era5)

Anche la vita sulla terraferma è in pericolo. Innanzitutto, l’acqua calda occupa un volume maggiore e questo causa l’innalzamento del livello dei mari, che nel 2023 ha raggiunto il massimo da quando sono cominciate le rilevazioni satellitari nel 1993. Se la tendenza attuale fosse confermata, il livello potrebbe crescere di altri venti centimetri entro il 2050, aumentando la frequenza e la gravità delle inondazioni.

Inoltre il riscaldamento degli oceani fa crescere il rischio di tempeste violente. “Dato che la temperatura di superficie dell’Atlantico del nord è più calda, anche l’aria sovrastante si riscalda”, spiega Kuhlbrodt. Per ogni grado di riscaldamento dell’atmosfera, l’aria può contenere il 7 per cento in più di vapore acqueo. “Questo significa che aumenta la probabilità di precipitazioni estreme e tempeste disastrose”, sottolinea il ricercatore.

A luglio l’uragano Beryl ha colpito i Caraibi, il golfo del Messico e gli Stati Uniti provocando gravi danni e la morte di decine di persone. Le temperature di superficie eccezionalmente elevate sono state un fattore chiave della forza di Beryl e spiegano come mai si sia sviluppato così presto: di solito gli uragani più intensi si formano più tardi, dopo il riscaldamento dell’Atlantico durante i mesi estivi.

La crisi più grave

Quanto dovremmo preoccuparci per questo caos oceanico? Secondo Johnson la situazione è estremamente allarmante. “Probabilmente si tratta della crisi più grave tra quelle che l’umanità deve affrontare”, spiega il ricercatore. Le Quéré è d’accordo e sottolinea che compromettendo gli ecosistemi oceanici stiamo correndo “un rischio enorme”. La maggior parte degli oceanografi sottolinea quanto sia pericoloso sottovalutare la dipendenza dell’umanità dagli oceani.

Ma c’è ancora qualcosa che possiamo fare per allentare la pressione. Per esempio possiamo limitare la pesca, l’inquinamento e altre attività umane dannose. Un maggiore impegno per la conservazione ambientale aiuterebbe la fragile fauna marina. Un’analisi più approfondita delle dinamiche in atto ci aiuterebbe a capire cosa sta succedendo. I ricercatori del Plymouth marine laboratory hanno creato un nuovo sistema per monitorare costantemente il plancton, raccogliendo informazioni cruciali su come sta cambiando la sua composizione. La raccolta di dati dettagliati, favorita dal ricorso all’intelligenza artificiale, potrebbe permettere di fare previsioni più accurate per un’ampia serie di fenomeni, dalle fioriture di alghe agli uragani, per non parlare della possibilità di creare modelli climatici più accurati. Tuttavia gli oceanografi concordano sul fatto che l’unica soluzione per scongiurare la catastrofe sia ridurre drasticamente le emissioni di gas serra.

El Niño si è concluso a giugno, e nei prossimi mesi il ritorno della Niña potrebbe offrire un po’ di sollievo agli oceani. Ma anche se le temperature sembrano lentamente calare, restano ben al di sopra delle medie di lungo periodo. Gli scienziati osservano con preoccupazione: se dovessero restare alte, potrebbe essere il segno che il riscaldamento globale è entrato in una nuova fase di accelerazione. ◆ as

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Questo articolo è uscito sul numero 1578 di Internazionale, a pagina 60. Compra questo numero | Abbonati