Un furgone giallo si ferma di fronte a una vecchia palestra. Sulla portiera, lato conducente, spicca un grande stemma blu con la scritta “Słubfurt”: è il nome di una città di fantasia che comprende Francoforte sull’Oder, in Germania, e Słubice, in Polonia. Dal furgone scende Michael Kurzwelly, il suo ideatore. “Nazioni, stati, confini, sono realtà immaginarie che funzionano solo perché c’è gente che ci crede”, afferma Kurzwelly, che ha 61 anni e indossa un impermeabile, degli occhiali da sole e un cappello uzbeco verde e blu.

Entriamo nell’ex palestra insieme a Kurzwelly, che ha cominciato a impegnarsi con i rifugiati nel 2014. Indica un grande tavolo tondo con una ventina di sedie: “Ogni mercoledì ci incontriamo qui”. Su delle tavole di compensato sono appoggiati alcuni cartelli con la scritta: “Stop pushbacks”(Basta respingimenti) e “Diritti civili per tutti”. Negli ultimi mesi il gruppo ha organizzato diverse manifestazioni. Qui i controlli alla frontiera sono stati reintrodotti già nell’ottobre 2023, e lo stesso è successo al confine con la Repubblica Ceca e la Svizzera. Secondo la ministra tedesca dell’interno Nancy Faeser dovevano servire a contrastare il traffico di migranti. Al confine con l’Austria, la Germania aveva reintrodotto i controlli già nell’autunno del 2015, quando hanno passato il confine migliaia di profughi. Ora, in seguito all’attentato del 23 agosto a Solingen, i controlli sono stati estesi alle frontiere di tutto il paese: la misura è attiva dal 16 settembre. Kurzwelly teme che la Germania e gli altri stati dell’Unione europea si blindino sempre di più, mettendo a repentaglio l’esistenza stessa dell’Unione.

Dopo aver studiato a Bonn, nel 1990 Kurzwelly si è trasferito in Polonia e poi, nel 1998, è tornato in Germania, a Francoforte sull’Oder: “Nei primi anni, mentre ero in fila alla cassa del supermercato e parlavo al telefono in polacco, mi sentivo addosso gli occhi di tutti”. All’epoca i pregiudizi contro i polacchi erano diffusissimi, ma oggi le cose sono cambiate: “Francoforte si è trasformata in una città aperta. Ora rischia di cambiare di nuovo”.

Il ponte sull’Oder che collega Francoforte a Słubice è lungo 252 metri. Tra le due corsie, una diretta in Polonia e l’altra in Germania, c’è un’enorme tenda bianca. “All’inizio la polizia fermava le automobili sulla carreggiata”, racconta Kurzwelly, ma poi hanno asfaltato lo spartitraffico erboso per montare questa tenda che sembra un tunnel, al cui interno la polizia tedesca effettua i controlli. Secondo gli accordi di Schengen alle frontiere interne dell’Unione europea non dovrebbero essercene; reintrodurli è possibile solo “in caso di minaccia grave per l’ordine pubblico o la sicurezza di uno stato membro”, che è tenuto a informarne la Commissione europea. Faeser ha presentato le relative richieste a febbraio e a maggio, motivandole con la necessità di contrastare l’immigrazione illegale e il traffico di migranti.

A qualche metro dalla tenda ci sono tre poliziotti. “Fermiamo solo veicoli che ci sembrano sospetti”, spiega uno di loro. Su dove e quando sono effettuati i controlli non può rilasciare dichiarazioni.

**Tra due stati **

Continuiamo a camminare sul ponte, in direzione Polonia. Fino a metà, dove corre il confine, è pieno di manifesti elettorali: il 22 settembre si elegge il parlamento del Brandeburgo. La maggior parte dei manifesti è del partito di estrema destra Alternative für Deutschland (Afd).

Arrivati a Słubice Kurzwelly saluta alcuni conoscenti.“Ad aprile mi hanno telefonato per dirmi che c’erano due profughi accampati tra i cespugli di un parco”, racconta. “Ho riempito uno zaino di provviste e sono andato. Erano due yemeniti semicongelati”. Avevano chiesto asilo alla polizia tedesca ma erano stati respinti. Di racconti sui respingimenti illegali alla frontiera tedesco-polacca se ne sentono parecchi, ma non ci sono prove. “Li ho riaccompagnati al confine, ma sono stati respinti di nuovo”, conclude Kurzwelly.

Seduto a una fermata dell’autobus c’è un ragazzo intento a guardare il telefono. Studia alla Viadrina, l’università di Francoforte, “ma a volte per pranzo vengo qui”, racconta: in Polonia si spende meno. Un suo compagno di università che viene dall’America Centrale invece non lo accompagna mai oltreconfine: “Dice che lo controllano quasi sempre”.

I commenti
Le paure degli altri

◆ “Il messaggio che la Germania sta mandando all’Europa è il seguente: ognuno per sé. Con la reintroduzione dei controlli alle frontiere la coalizione di governo tra socialdemocratici, liberaldemocratici e verdi sta contribuendo allo spostamento a destra del continente”, scrive il tedesco Die Tageszeitung. Simile la lettura dello spagnolo El País: “Il fatto che i partiti moderati adottino le misure dell’estrema destra usando gli immigrati come capri espiatori è preoccupante. E non succede solo in Germania. Le forze moderate dovrebbero contrastare queste politiche spiegando, dati alla mano, che l’immigrazione porta ricchezza all’Europa, non solo materiale”. “Se tutti i paesi dell’Unione si comportassero come la Germania, il fardello dei controlli ricadrebbe esclusivamente sugli stati di primo ingresso, come Grecia, Italia e Spagna”, aggiunge il greco Capital. “Se Bruxelles non troverà una soluzione alla questione dell’emigrazione, i paesi di frontiera rimarranno soli ad affrontare un problema che non possono gestire autonomamente”. “I fatti recenti dimostrano che quando si parla di politiche migratorie non c’è una soluzione magica”, scrive il francese Le Monde. “Se in Germania ci fosse stato un dibattito aperto sul tema, forse non sarebbe stato necessario prendere certi provvedimenti. Le novità introdotte da Berlino, che non sembrano né fattibili né realistiche, alla fine servono solo a rafforzare l’estrema destra”. A sottolineare l’importanza della libertà di movimento in Europa è anche il belga Le Soir: “Per gli europei i segni tangibili dell’unità del continente sono l’euro, il programma Erasmus e l’assenza di confini. Le porte devono restare aperte, salvo casi eccezionali. Altrimenti l’intero progetto europeo rischia di crollare”.


Il giovedì mattina sulla Rathausplatz di Francoforte è giorno di mercato. Al banco di un furgoncino che serve caffè, tre commercianti chiacchierano. “Fanno bene a controllare”, commenta uno di loro: è convinto che il 40 per cento di quelli che passano il confine commettano reati. Un collega prova a interromperlo: Faeser, obietta, cerca di svuotare il mare con un cucchiaino.

Alla stazione dei pullman il 983, che va oltre confine, è ancora mezzo vuoto, l’autista è in attesa di ripartire. “Oggi ho fatto questo tragitto tre volte. Ogni volta rallento per consentire ai poliziotti di osservare i passeggeri dall’esterno”. L’ultima volta che aveva fatto questo tragitto, tra giugno e luglio, i controlli erano già più serrati: “Capitava spesso che i poliziotti salissero a bordo per controllare i passaporti”. Che ne pensa dei controlli? “Da pendolare non mi fanno piacere, ma da contribuente tedesco penso che sia importante che ci siano, in modo che non tutti gli stranieri riescano a entrare”, risponde sorridendo.

A pochi isolati dalla stazione, vicino a un baracchino che vende panini, c’è un palazzo bianco e squadrato. Sembra un piccolo magazzino abbandonato, ma un cartello appeso al muro recita: Moschea e centro culturale Alrahman. Mohammed Ibrahim, con i suoi ricci corti, crespi e brizzolati, ci fa segno di entrare e di togliere le scarpe. Il pavimento è coperto di tappeti e due tende separano una zona con un tavolo da campeggio bianco e qualche sedia. Ibrahim si siede a raccontarci del suo lavoro nell’associazione Musulmani sull’Oder. Viene dal Sudan e vive in Germania dal 2017. “Abito a Francoforte, ma almeno due volte alla settimana vado in Polonia per fare la spesa e mettere benzina”. Quando è solo lo controllano spesso. “Ma se sono con un altro nero ci fermano ogni volta, è matematico”. Finché si limitano a controllare i documenti, però, Ibrahim non ha nulla da eccepire: “Un paese sicuro è un bene per tutti”.

Le elezioni del 22 settembre, invece, lo preoccupano: “Oggi in città ho visto un manifesto dell’Afd con la scritta ‘È tempo di smantellare l’industria dell’asilo’. Ma che vuol dire? Non esiste nessuna industria dell’asilo: la gente scappa dalla guerra, che sia quella in Ucraina, quella di casa mia in Sudan, o quella di Gaza”. Ibrahim gesticola mentre cerca le parole giuste. “Alle europee in Brandeburgo l’Afd si è affermata come primo partito. Spero che questa volta le cose vadano diversamente”. ◆ sk

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Questo articolo è uscito sul numero 1581 di Internazionale, a pagina 24. Compra questo numero | Abbonati