Oltre alle lunghe spiagge e ai chilometri di palme da cocco battute dal vento, il litorale della Costa d’Avorio ha due grandi porti commerciali: quello di Abidjan, la dinamica capitale economica del paese, punto di riferimento anche per tutti gli stati del Sahel senza sbocco sul mare; e quello di San Pédro, leader mondiale nell’esportazione di cacao. Dal 2022 queste due importanti infrastrutture sono nelle mani di un unico operatore, l’armatore italosvizzero Msc. L’anno scorso, dopo un negoziato lampo, la prima compagnia di trasporti marittimi del mondo ha inglobato per appena 5,7 miliardi di euro le redditizie attività logistiche del gruppo francese Bolloré. L’operazione ha permesso alla Msc di assumere il monopolio sulla movimentazione dei container in questo paese chiave dell’Africa occidentale. Lo stesso è successo un po’ più a est nel golfo di Guinea, a Lomé, in Togo, dove la Msc sfrutta i due terminal per i container di quello che è ormai il primo hub (snodo logistico) della regione.
Con le recenti acquisizioni, il gruppo con sede a Ginevra aumenta notevolmente la sua presenza in Africa. Quando ha rilevato le attività del concorrente francese, la Msc aveva ottomila dipendenti nel continente, mentre la Bolloré Africa Logistics (Bal) ne aveva 21mila.
Installandosi ad Abidjan e a Lomé, oltre che a Dakar (Senegal), Freetown (Liberia) e Pointe-Noire (Congo), il gruppo è passato a controllare diciotto terminal per i container, invece dei due che aveva gestito finora. Queste infrastrutture sono fondamentali per servire meglio la sua flotta di navi e per ridurre i costi. La Msc ha recuperato anche una delle prime reti logistiche del continente, cioè le ferrovie che collegano la Costa d’Avorio al Burkina Faso, un corridoio vitale per il Sahel, oltre a decine di bacini di carenaggio e di depositi, tra cui 70mila metri quadrati di magazzini per lo stoccaggio delle merci, anche refrigerati, in Costa d’Avorio.
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Anche se sono meno vistose dei grandi porti e delle loro immense gru, queste infrastrutture sono essenziali nella strategia degli armatori. “È in corso una battaglia sia per la costa sia per l’entroterra africano”, conferma il dirigente di una di queste grandi compagnie marittime.
Gli specialisti del container vogliono infatti proporre un servizio chiavi in mano in grado di controllare una consegna per tutto il tragitto via mare e via terra, dalla sua partenza, per esempio da Amsterdam, fino a un possibile destinatario finale a Ouagadougou, la capitale del Burkina Faso. In Africa, come in altre parti del mondo, “le grandi compagnie marittime vogliono integrare verticalmente la catena del valore”, cioè gestire direttamente tutti i passaggi, conferma una fonte della Africa Global Logistics (Agl), il nuovo nome della Bal. Secondo la fonte, questi colossi hanno un bel po’ di denaro da investire perché hanno messo da parte un “tesoretto” durante la pandemia, quando il prezzo del trasporto delle merci era esploso.
“La Msc ha portato a termine un’impressionante operazione strategica”, osserva Yann Alix, direttore della fondazione Sefacil, un centro studi specializzato nella logistica portuale. “È riuscita quasi a diventare la numero uno in Africa, battendo due concorrenti come la Maersk e la francese Cma Cgm”, rispettivamente numero due e tre al mondo.
Anche gli altri due grandi armatori non nascondono le loro ambizioni. La Cma Cgm, con sede a Marsiglia, ha messo le mani sul resto delle attività della famiglia Bolloré, in particolare in Europa e in Asia. In Africa sarà il futuro operatore del porto di Lekki, in Nigeria, e sta espandendo la sua rete logistica Ceva in Africa orientale.
A maggio la danese Maersk ha inaugurato un sito di stoccaggio e di distribuzione di diecimila metri quadrati a Città del Capo, in Sudafrica. “La logistica è il cuore pulsante del commercio e l’Africa ha un grande potenziale ancora da sfruttare”, afferma Thomas Theeuwes, il direttore per l’Africa centrale e occidentale. “La rapida crescita della produzione e dei consumi rafforza la nostra convinzione che le soluzioni logistiche integrate miglioreranno i commerci nel continente”.
Consumi in crescita
Nei nuovi shopping centre di Abidjan o di Nairobi, ci sono degli ipermercati con scaffali perfettamente riforniti che offrono decine di prodotti occidentali o degli Emirati Arabi Uniti. Quando vanno al mercato gli abitanti del Ghana e quelli del Benin comprano grandi quantità di polli surgelati provenienti dall’Europa, mentre ogni mese in Kenya entrano tonnellate di abiti usati e auto straniere, soprattutto giapponesi.
Questi veicoli sono diventati un simbolo di appartenenza alla classe media.
Secondo i dati della Banca mondiale, tra il 2001 e il 2021 nell’Africa subsahariana le spese per i consumi sono salite da 320 a 1.400 miliardi di dollari, in un periodo in cui la crescita economica è stata in media del 4 per cento. Il continente è indubbiamente un mercato di dimensioni ridotte rispetto alle principali rotte commerciali mondiali, ma le importazioni – e in alcuni casi, le esportazioni – hanno causato un forte aumento del volume degli scambi, soprattutto di quelli via mare: secondo la fondazione Sefacil, tra il 2009 e il 2019 il traffico di container è cresciuto del 75 per cento.
In questi ultimi vent’anni i terminal marittimi africani si sono moltiplicati, per lo più grazie al rilascio di nuove concessioni, offrendo ai grandi armatori delle opportunità d’investimento. Solo in Sudafrica e in Kenya i grandi porti sono controllati dal governo. Inoltre l’azienda pubblica sudafricana Transnet, che gestisce i porti, le ferrovie e gli oleodotti del paese, si prepara a fare entrare un operatore privato nel porto di Durban, il più grande hub a sud del Sahara. “Sono attività strategiche per lo stato, ma per mantenere un certo dinamismo è bene accogliere altri attori nel sistema”, ha dichiarato a giugno l’amministratrice delegata della Transnet Portia Derby (che di recente ha dato le dimissioni in seguito alle forti critiche per la sua gestione dell’azienda), senza però svelare chi aveva vinto l’appalto.
Concentrazione
Con il passare del tempo, tra fusioni e acquisizioni, il trio formato da Msc, Maersk e Cma Cgm è diventato dominante sulle coste dell’Africa, dove le regole sulla concorrenza sono meno rigide che altrove. Ci sono anche porti gestiti da armatori asiatici e degli Emirati Arabi Uniti. Tra questi, la Dp World di Dubai gestisce lo scalo marittimo di Berbera, in Somaliland. Dell’azienda si è parlato molto quando è stata estromessa da Gibuti, a favore della cinese China Merchants. Ma, a parte qualche eccezione, l’importanza di questi operatori è relativa, spiega Yann Alix.
“Da vent’anni assistiamo a una concentrazione sul continente africano, con aziende sempre più potenti ma sempre meno numerose. La Msc e la Maersk dovrebbero ormai rappresentare il 55 per cento del traffico di container in Africa. È una percentuale considerevole”, sottolinea l’esperto, giudicando questa situazione “contraddittoria” rispetto a un mercato sempre più aperto. Sulla terraferma la situazione è molto diversa. Qui non ci sono concessioni, a parte qualche linea ferroviaria. Nel campo dei trasporti i camion la fanno da padroni. La situazione è più incerta e caotica. Bisogna mettere in conto le preoccupazioni legate alla sicurezza – come la presenza di gruppi terroristici nel Sahel o le violenze dovute alle milizie ribelli nell’est della Repubblica Democratica del Congo – ma anche le cattive condizioni delle infrastrutture, a partire dalle strade. In generale la logistica in Africa è considerata un rompicapo.
Chilometri e chilometri di camion, a volte bloccati per settimane senza potersi muovere, nel caldo e nella polvere: le foto delle file di veicoli che cercano di entrare nel porto di Lagos, in Nigeria, sono diventate leggendarie. Dall’altro lato del continente la frontiera tra Kenya e Uganda è tristemente famosa per le complicate trafile burocratiche e per la corruzione degli agenti. “Talvolta l’intero sistema è fuori uso o c’è un camion che blocca il passaggio. E non si può far altro che aspettare, non puoi lasciare il tuo veicolo e mangiare diventa un problema”, conferma Joseph Mbirua, che da quindici anni lavora come autista in Kenya. I tragitti notturni fuori dalle città possono essere rischiosi: “Può succedere che i ladri approfittino delle salite, dove i camion procedono lentamente, per salire a bordo, aprire il rimorchio e rubare il carico”.
Un’altra difficoltà è rappresentata da un mercato del trasporto terrestre estremamente frammentato. Le reti spesso hanno un carattere informale e sono gestite da poche famiglie allargate che da decenni fanno circolare sempre gli stessi vecchi camion. “Questi piccoli operatori godono della fiducia dei clienti, con i quali lavorano da generazioni”, spiega Alix. “Sono strutture particolari, una specie di logistica fatta su misura. I grandi operatori invece arrivano con dei modi di lavorare che non si adattano a una gestione così ramificata”.
Queste considerazioni possono essere un ostacolo per i colossi del trasporto marittimo? I loro grandi progetti non sempre sono accolti con entusiasmo. Ad Abidjan, per esempio, un fabbricante d’imballaggi è irritato per il loro eccessivo potere di controllo. Sostiene di dover usare i servizi offerti dai gruppi occidentali per trasportare le merci che ha ordinato dal porto fino alla fabbrica, altrimenti rischierebbe di essere penalizzato logisticamente e finanziariamente. “Approfittano della loro posizione dominante per fare cose che altrove non potrebbero fare”, afferma l’imprenditore, che dice di aver osservato negli ultimi tre o quattro anni una forte reazione degli industriali della Costa d’Avorio.
Un importante trasportatore della regione si arrabbia contro il “sequestro dei clienti” o le pratiche di dumping usate per conquistare alcuni mercati. L’imprenditore prevede il fallimento dei grandi armatori sulla terraferma africana: “Non ce la faranno. Le compagnie marittime sono come gli albatros: magnifici quando planano sopra il mare, ma goffi quando sono a terra”. ◆adr
◆ L’Africa è ancora un mercato piccolo per i grandi armatori perché rappresenta meno del 5 per cento del trasporto marittimo mondiale, anche se il continente importa l’80 per cento delle sue merci. I costi legati alla logistica sono tra le 3 e le 4 volte più alti della media mondiale. Nei porti africani si scaricano in media 20 container all’ora, contro i 25-30 di terminal più moderni, e i costi di queste operazioni sono del 50 per cento più elevati che nel resto del mondo. Sulla terraferma, i treni scarseggiano: la maggior parte dei paesi africani conta tra i 30 e i 50 chilometri di ferrovie per milione di abitanti, contro una proporzione compresa tra 200 e mille chilometri nei paesi europei. Anche per questo l’80 per cento delle merci è trasportato su camion. Tuttavia il 53 per cento delle strade non è asfaltato e l’insicurezza è molto diffusa. Queste difficoltà contribuiscono a far salire il prezzo finale di un prodotto di circa il 75 per cento. Le Monde, Banca africana d’import-export, Banca africana di sviluppo
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Questo articolo è uscito sul numero 1534 di Internazionale, a pagina 64. Compra questo numero | Abbonati