Con l’intensificarsi del conflitto in Sudan, gli esperti temono che un vuoto di potere nella provincia occidentale del Darfur possa attirare combattenti e armi da paesi vicini, come la Libia, il Ciad e la Repubblica Centrafricana. La sicurezza dell’intera regione è messa in pericolo dalla lotta in corso tra l’esercito regolare sudanese e le Forze di supporto rapido (Rsf), guidate da Mohamed Hamdan Dagalo “Hemetti”, leader del clan Mahariya, che fa parte della tribù Rizeigat, in Darfur.
Molti protagonisti della scena regionale hanno interessi allineati a quelli delle Rsf, afferma l’esperto di Libia Jalel Harchaoui, del centro studi olandese Clingendael. Tra loro c’è il generale libico Khalifa Haftar, comandante dell’autoproclamato Esercito nazionale libico (Enl), una forza composta da mercenari e milizie su base familiare e tribale. Secondo Harchaoui, negli ultimi anni gruppi arabi che hanno legami diretti con la famiglia Haftar hanno preso il controllo delle rotte del contrabbando che passano per Al Kufra, una città vicino al confine con Sudan, Ciad ed Egitto. Da lì passano carichi di droga, auto e migranti, cosa che ha reso le Rsf, ed Hemetti, partner commerciali molto importanti di Haftar. “Un criminale che per anni fa affari con un altro criminale vuole che quello sopravviva per mandare avanti gli affari”, spiega Harchaoui.
Hemetti, però, non è l’unico leader tribale del Darfur dotato di una forte influenza. Un suo avversario è Musa Hilal, del clan Mahamid, che fa sempre parte della tribù Rizeigat. Hilal fu il primo comandante dei temuti janjaweed, i miliziani arabi sostenuti dal governo sudanese che vent’anni fa compirono dei massacri tra le comunità non arabe del Darfur che si erano ribellate al potere centrale.
I gruppi armati dell’ovest del Sudan hanno quindi due scelte: sostenere o indebolire Hemetti per mantenere il controllo delle rotte del contrabbando, regolare i conti con milizie rivali o aiutare i loro alleati in Darfur. La 128a brigata, per esempio, è un gruppo di mercenari che combatte con l’Enl di Haftar e riunisce molti Mahamid sudanesi. Da anni si arricchisce con la guerra e il contrabbando in Libia. Di fronte alla prospettiva di una guerra in Darfur, potrebbe decidere di tornare per combattere al fianco di Hilal. “La 128a brigata comprende molti sudanesi, che sembrano aver dimenticato il loro passato. Non gli importa del Darfur. Ma forse oggi potrebbero cambiare atteggiamento. È tutto da vedere”, dice Harchaoui.
Una decina di anni dopo che i janjaweed avevano terrorizzato il Darfur, il governo sudanese incaricò Hemetti di isolare e, nel 2017, di arrestare Hilal. Il leader delle Rsf prese anche possesso delle miniere d’oro controllate dal suo ex alleato. Oggi i combattenti Mahamid potrebbero cercare di regolare i conti, aiutando l’esercito sudanese a indebolire Hemetti in Darfur. Il comandante delle Rsf potrebbe, però, ricevere rinforzi dal Ciad. Suo cugino, Bichara Issa Djadallah, è un alto ufficiale ciadiano, consigliere del presidente Mahamat Idriss Déby e capo della task force congiunta che sorveglia il confine con il Darfur. Secondo il sito Africa Intelligence, due mesi fa la Cia ha avvertito che Hemetti stava aiutando qualcuno a pianificare un colpo di stato contro Déby, originario della tribù Zaghawa, che ha consolidato il suo potere a spese della popolazione araba del Ciad. Allo stesso tempo, Déby sembra riluttante ad appoggiare l’esercito sudanese perché ha paura di sostenere la parte perdente, spiega Remadji Hoinathy, ricercatore ciadiano dell’Institute for security studies di Pretoria. Questo non impedirà ai combattenti ciadiani, arabi o zaghawa, d’intervenire a sostegno dei loro alleati in Darfur, afferma Hoinathy. Alcuni abitanti della zona hanno dichiarato che l’esercito sudanese e le Rsf stanno cercando di convincere, rispettivamente, i non arabi e gli arabi a schierarsi dalla loro parte.
Scelte individuali
Anche il governo della Repubblica Centrafricana, guidato dal presidente Faustin-Archange Touadéra, sta cercando di restare neutrale, osserva John Lechner, un esperto dei movimenti ribelli del Sahel. In passato alcuni gruppi armati centrafricani hanno comprato armi e reclutato combattenti in Darfur. “Se alcune comunità darfuriane resteranno coinvolte nel conflitto, allora potremmo vedere persone che tornano a combattere nella loro regione d’origine, non necessariamente all’interno di gruppi armati, ma per loro scelta”. Secondo Lechner è improbabile che il conflitto in Darfur rafforzi le milizie centrafricane tanto da spingerle a rovesciare Touadéra nella capitale Bangui. Tuttavia, se le Rsf saranno indebolite in Darfur, molti dei loro combattenti potrebbero decidere di andare in altri paesi, tra cui la Repubblica Centrafricana. Pochi, però, credono che Hemetti sarà sconfitto nella sua regione. “Non credo che andrà incontro a una sconfitta totale in Darfur”, sostiene Lechner. “Quello che potrebbe succedere, però, è che le Rsf e l’esercito cominceranno a dare soldi e sostegno ad altri gruppi e che questo, alla lunga, avrà delle ripercussioni anche nel nordest della Repubblica Centrafricana. È quello che teme anche il governo di Bangui”. ◆ adg
◆ L’Organizzazione internazionale per le migrazioni ha reso noto il 9 maggio 2023 che i combattimenti tra l’esercito sudanese e il gruppo paramilitare Forze di supporto rapido (Rsf) hanno causato più di 700mila sfollati interni, che si aggiungono alle più di 150mila persone scappate nei paesi vicini. Il conflitto, scoppiato il 15 aprile, ha fatto più di seicento morti e cinquemila feriti. I combattimenti continuano soprattutto nella capitale Khartoum e nelle vicine città di Bahri e Omdurman. Intanto dal 6 maggio a Jedda, in Arabia Saudita, vanno avanti i negoziati per proclamare un cessate il fuoco per ragioni umanitarie. In particolare le Nazioni Unite chiedono l’impegno dei belligeranti a garantire un passaggio sicuro per gli aiuti umanitari. Reuters, Bbc
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Questo articolo è uscito sul numero 1511 di Internazionale, a pagina 28. Compra questo numero | Abbonati