Analizzando i composti chimici del dna di un campione di tessuto è possibile calcolare con precisione l’età di quasi tutti i mammiferi. È il risultato di uno studio, condotto su circa duecento specie, che potrebbe rivoluzionare le nostre conoscenze sull’invecchiamento.

Secondo i ricercatori dell’università della California a Los Angeles, la presenza degli stessi “orologi dell’invecchiamento” in tutti i mammiferi dimostra che s’invecchia a causa di processi conservati durante l’evoluzione, e non solo per danno cumulativo. Se un elemento si mantiene in tante specie diverse vuol dire che è biologicamente importante, spiega Steve Horvath, il coordinatore dello studio: “Non potremmo individuare orologi comuni a tutti i mammiferi se non ci fosse qualcosa che si tramanda”, dice.

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Horvath e i suoi colleghi hanno fatto la loro scoperta osservando pezzi di dna che hanno delle “etichette” chimiche dette gruppi metilici. L’aggiunta o la rimozione di questi gruppi produce cambiamenti epigenetici, ossia modifiche nell’attività dei geni. L’andamento della metilazione varia molto nei diversi tipi di cellule, ma nel 2011 Horvath ha dimostrato che, con il passare del tempo, alcuni frammenti di dna dei globuli rossi umani accumulano gruppi metilici in maniera costante e possono quindi essere usati per calcolare l’età delle persone.

Orologi epigenetici

Nel 2013 il suo team ha individuato un orologio epigenetico che indica l’età di tutti i tessuti umani, non solo del sangue, a riprova del fatto che l’invecchiamento è un processo comune. I ricercatori hanno inoltre scoperto gli orologi epigenetici di altre specie, tra cui gli elefanti. Gli orologi più recenti si basano sullo studio di circa dodicimila campioni di 59 tipi di tessuti appartenenti a 185 specie di mammiferi, tra cui lemuri, balene, capre, rinoceronti, pipistrelli, foche, canguri, toporagni, bradipi, iraci del Capo e ornitorinchi.

“Ci sono dei luoghi, chiamati regioni genomiche, che acquistano gruppi metilici in maniera costante in tutte queste specie”, spiega Horvath. A partire da queste regioni, il team ha sviluppato tre versioni di orologio. Una calcola l’età di un animale in anni; un’altra in relazione alla durata massima della vita della specie che, se nota, può essere convertita in anni; la terza in relazione alla maturità sessuale (per le specie di cui non è nota la durata massima della vita).

Nell’insieme gli orologi hanno un’accuratezza del 97 per cento, ma questa può variare molto da una specie all’altra. Nel caso delle balene artiche, per esempio, non hanno funzionato, forse perché il metodo oggi usato per calcolare l’età della specie non è preciso. Secondo Horvath, il fatto che gli orologi siano efficaci per così tanti mammiferi significa che dovrebbero funzionare anche per le specie non analizzate.

Il team ha svolto altri test che dimostrano, per esempio, che nei topi geneticamente modificati per vivere più a lungo gli orologi sono più lenti e in alcuni casi possono tornare a un’età precedente.

I risultati smentiscono la teoria prevalente in base alla quale l’invecchiamento è dovuto al danno cumulativo, per esempio nel dna, come quello che le molecole note come radicali liberi causano nelle cellule. Secondo David Gems, dello University college di Londra, gli orologi epigenetici rafforzano una teoria alternativa, da lui definita programmatica. In base a questa teoria la chiave dell’invecchiamento è l’incapacità dell’organismo di spegnere i processi evolutivi. Per esempio, la cosiddetta potatura sinaptica che interrompe la comunicazione dei neuroni cerebrali, un processo cruciale dello sviluppo dei più giovani, potrebbe contribuire al declino cognitivo degli anziani. “La teoria non esclude i danni molecolari, ma afferma che l’invecchiamento è causato soprattutto da altro”, dice Gems.

Horvath ha scoperto che molti dei siti che acquistano gruppi metilici si trovano vicino ai geni associati allo sviluppo. Questo rafforza l’ipotesi secondo cui l’invecchiamento sarebbe legato a processi evolutivi comuni ai mammiferi, e forse anche ai vertebrati, conclude Horvath. ◆ sdf

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Questo articolo è uscito sul numero 1479 di Internazionale, a pagina 107. Compra questo numero | Abbonati