Nella grotta di Gough a Cheddar Gorge, nel sudovest dell’Inghilterra, gli archeologi hanno trovato i resti di almeno sei corpi umani. Molte delle ossa sono state rotte intenzionalmente e i frammenti mostrano delle incisioni, segno che per separarle e rimuovere la carne sono stati usati strumenti di pietra. Inoltre, il 42 per cento dei frammenti ossei presenta impronte di denti umani. Ci sono pochi dubbi: chi visse in questa grotta 14.700 anni fa praticava l’antropofagia.

Oggi l’antropofagia è un argomento tabù in molte società. La consideriamo aberrante, la associamo a zombi, psicopatici e serial killer come l’immaginario Hannibal Lecter. È raro imbattersi in storie positive sul fenomeno. Ma forse è il momento di ripensarci perché, nonostante i nostri preconcetti, aumentano le prove del fatto che il cannibalismo sia stato un comportamento comune tra le società umane e che circa un quinto di esse l’abbia praticato per almeno un milione di anni.

In alcuni casi può essersi trattato di puro spirito di sopravvivenza, ma in altre circostanze le ragioni sono più complesse. Per esempio, nella grotta di Gough il consumo dei corpi dei morti sembra aver fatto parte di un rituale funerario. Secondo alcuni archeologi, quindi, lungi dall’essere un mostruoso affronto alla natura, l’antropofagia potrebbe essere stata un modo di mostrare rispetto e amore per i defunti.

Racconti sui cannibali si possono trovare in tutta la storia umana. Già prima del 600 avanti Cristo, nell’Odissea di Omero l’eroe greco Ulisse perde tanti uomini e parecchie navi a causa di una tribù di giganti antropofagi chiamati Lestrigoni. Da allora sono state scritte altre storie simili, di nobili eroi che si scontrano con malvagi cannibali.

Le cose peggiorarono durante l’epoca coloniale, quando gli oppressori usarono lo stereotipo razzista dell’“indigeno cannibale” per giustificare la conquista e lo sfruttamento. Le storie inventate sui missionari bolliti in pentola rafforzavano l’immagine di popolazioni indigene e barbare che andavano “civilizzate”, se necessario anche con la forza. Questo, a sua volta, condusse a tesi opposte, culminate nel 1979 con la pubblicazione del libro Il mito del cannibale, in cui l’antropologo William Arens sosteneva che in nessuna società erano mai state trovate prove concrete di antropofagia.

Ma altri studiosi ritennero che Arens ne avesse trascurate alcune. Nei due decenni successivi sono stati sviluppati metodi di verifica più rigorosi. La difficoltà principale era distinguere il cannibalismo da altre pratiche che potevano somigliargli (per esempio rimuovere la carne dai cadaveri senza poi mangiarla). Nel 1986, seguendo questo approccio, Paola Villa dell’università del Colorado a Boulder e il suo team di ricercatori hanno trovato prove attendibili di antropofagia nella grotta di Fontbrégoua in Francia. Chi visse lì nel neolitico, tra 4.700 e 3.100 anni fa, aveva macellato dei corpi umani e li aveva lavorati in modo simile a quelli degli animali che cacciava.

Una tibia umana con segni di macellazione (Jennifer Clark, National museum of natural history/Smithsonian institution)

Alcuni anni dopo, Tim White, dell’università della California a Berkeley, ha concluso che anche gli anasazi del Colorado sudoccidentale mangiavano i loro morti: intorno al 1100 almeno 29 persone tra adulti e bambini sarebbero state macellate e cucinate e le loro ossa rotte per estrarre il midollo. Parallelamente, il
team di Christy e Jacqueline Turner della Arizona state university ha documentato ulteriori casi risalenti al periodo compreso tra il 900 e il 1700 in 38 siti nel sudovest degli Stati Uniti. Arens era stato troppo drastico nell’affermare che l’antropofagia non è mai esistita, osserva Silvia Bello del museo di storia naturale di Londra. “Ora abbiamo prove concrete”, afferma Palmira Saladié dell’Istituto catalano di paleoecologia umana ed evoluzione sociale di Tarragona, in Spagna. “I metodi e le tecniche usate lasciano pochi dubbi”.

Tradizione di famiglia

La domanda successiva riguarda quanto fosse diffusa questa pratica. Per rispondere servono ulteriori indagini, e al momento le prove più convincenti provengono dall’Europa, dove la preistoria è studiata in modo più approfondito che altrove.

Il continente è stato oggetto di numerose migrazioni di ominini provenienti dall’Africa. La nostra specie, l’Homo sapiens, è quella più recente, e si è affermata circa 45mila anni fa. Prima di allora, i neandertal avevano dominato l’Europa per centinaia di migliaia di anni, e prima ancora c’erano state altre specie del genere Homo risalenti a più di un milione di anni fa. Questi primi europei praticavano chiaramente il cannibalismo, ma con quale frequenza?

Tra i neandertal era piuttosto comune. “Circa il 20 per cento dei siti ne presenta le tracce”, afferma Bello. La percentuale è simile per l’Homo sapiens, aggiunge, ma con molte più variazioni tra culture e periodi. Nel periodo magdaleniano, tra 23.500 e 13.500 anni fa, era sorprendentemente frequente, come ha scoperto Nohemi Sala del centro nazionale di ricerca sull’evoluzione umana di Burgos, in Spagna, con uno studio delle incisioni sulle ossa umane rinvenute in Germania. Nel successivo periodo mesolitico, invece, era raro. Poi nel neolitico gli europei cominciarono a coltivare la terra, e mangiare altre persone tornò di moda.

Le prove trovate in Europa suggeriscono che il cannibalismo possa risalire a uno dei primi colonizzatori umani del continente, l’Homo antecessor, che visse nelle caverne dei monti Atapuerca, nel nord della Spagna, tra 1,2 milioni e 800mila anni fa. Nel sito di Gran Dolina gli archeologi hanno trovato i resti di almeno sei persone che erano state fatte a pezzi con strumenti di pietra, e alcune delle loro ossa erano state spezzate piegandole come ramoscelli. “Atapuerca è un caso abbastanza convincente di cannibalismo”, afferma Bello.

È possibile che il fenomeno sia ancora più antico. In uno studio pubblicato nel giugno 2023, i ricercatori guidati da Briana Pobiner della Smithsonian institution di Washington hanno descritto un singolo osso della gamba di un ominine proveniente da Koobi Fora in Kenya. Aveva circa 1,45 milioni di anni e presentava numerosi segni di taglio. Se fosse stato cannibalizzato, questo sarebbe l’esempio più antico mai trovato. Ma molti antropologi sono scettici. Saladié afferma che non si possono trarre conclusioni da un singolo osso perché manca un contesto. Bello sottolinea che all’epoca in Africa diverse specie di ominini vivevano una accanto all’altra, e non sappiamo chi abbia lasciato i segni di taglio. “Se fosse di una specie diversa, allora non si tratterebbe di cannibalismo”, sottolinea.

D’altra parte, forse non dovremmo sorprenderci se i nostri antenati ominini a volte si mangiavano tra loro, perché lo fanno anche molti dei nostri parenti primati. I nostri due parenti viventi più stretti, gli scimpanzé e i bonobo, a volte mangiano i piccoli della loro specie.

Indipendentemente da quando nell’arco della nostra storia evolutiva i nostri antenati abbiano cominciato a mangiarsi a vicenda, è chiaro che, almeno nelle ultime centinaia di migliaia di anni, sia successo abbastanza spesso. Perché?

Forse l’hanno fatto per nutrirsi. Le persone in seria difficoltà a volte ricorrono all’antropofagia per sopravvivere. Una cosa simile accadde dopo che il volo 571 dell’aeronautica uruguaiana si schiantò sulle Ande nel 1972. Il recente film La società della neve racconta come i sopravvissuti si trovarono bloccati in una remota regione montuosa praticamente senza cibo e concordarono che chiunque fosse morto avrebbe potuto essere mangiato. Anche grazie a questa decisione 16 di loro riuscirono a sopravvivere.

Potrebbe non valere la pena correre il rischio di uccidere esseri umani per mangiarli, dato che non sono particolarmente nutrienti

Alcuni casi di cannibalismo preistorico sembrano fornire una spiegazione simile. Per esempio, ci sono prove che circa centomila anni fa i neandertal di Moula-Guercy, in Francia, mangiassero i loro simili: dato che le ossa dei neandertal cannibalizzati erano mescolate con quelle di altri animali si può pensare che fossero considerati principalmente come alimento. Sembra che in quel periodo la popolazione di neandertal della zona fosse crollata, forse a causa della mancanza di cibo. “Potrebbe darsi davvero che mangiassero i morti per sopravvivere”, osserva James Cole dell’università di Brighton, nel Regno Unito. Anche a Gran Dolina, le ossa di H. antecessor erano state lavorate in modo simile alle ossa degli animali ed erano state mescolate con quelle invece di ricevere un trattamento speciale.

Ma una cosa è mangiare le persone già morte, un’altra è predare attivamente gli esseri umani. “Le persone a cui dai la caccia non restano passive, si difendono”, afferma Cole. Inoltre, potrebbe non valere la pena correre il rischio di uccidere esseri umani per mangiarli, dato che non sono particolarmente nutrienti. Il ricercatore ha stimato che un tipico individuo dell’età della pietra avrebbe fornito 144mila calorie, forse solo 126mila se fossero stati scartati organi come la milza. La maggiore energia la forniscono gli strati di grasso (50mila calorie) e i muscoli scheletrici (32mila calorie). Gli animali più grandi ne rendono notevolmente di più: un mammut avrebbe fornito 3,6 milioni di calorie solo con i muscoli. “Siamo piccoli rispetto ad altri animali selvatici e quindi il nostro valore calorico è relativamente basso”, spiega Cole.

È improbabile che i bisogni nutritivi possano spiegare tutti i casi di cannibalismo. Un’altra ipotesi è emersa quando Saladié e i suoi colleghi hanno riesaminato le ossa cannibalizzate dell’H. antecessor e si sono resi conto che erano quasi tutte di bambini. È un aspetto raro tra i casi di cannibalismo degli ominini, ma si ritrova tra gli scimpanzé, che quando attaccano i gruppi vicini spesso prendono di mira i giovani isolati per ridurre il numero dei loro avversari senza correre troppi rischi. “È una questione di difesa del territorio e dei suoi confini”, osserva Cole. L’H. antecessor potrebbe aver fatto qualcosa di simile.

Infine, l’antropofagia può avere una spiegazione del tutto diversa, che riguarda i riti funerari: invece di seppellire o cremare i corpi dei propri cari, come è ormai comune nella società occidentale, forse in alcune società preistoriche si sceglieva di mangiarli.

Oltre i pregiudizi

Per scoprire se possa essere vero, Bello e il suo collega William Marsh, anche lui del museo di storia naturale di Londra, hanno esaminato molti casi di cannibalismo del periodo magdaleniano in Europa. Il loro studio, pubblicato nel novembre 2023, sostiene l’ipotesi del cannibalismo funerario in diversi modi. Le ossa umane erano spesso smaltite separatamente da quelle degli animali consumati a scopo alimentare. Molte avevano incisioni diverse da quelle lasciate durante la normale macellazione e riconducibili solo a un rituale: per esempio, un osso del braccio della grotta di Gough aveva un disegno a zigzag. La grotta di Gough e altri siti contengono anche coppe meticolosamente ricavate da teschi umani, che suggeriscono un rituale. Marsh e Bello sono stati in grado di distinguere tra le culture in cui era praticato il cannibalismo funerario e quelle che preferivano la sepoltura, perché i due gruppi avevano firme genetiche diverse.

“Dobbiamo stare attenti a giudicare”, dice Sala. L’antropofagia funeraria era un’espressione di amore e rispetto per i morti, come attestano i dati etnografici delle culture umane più recenti. Tra queste ci sono diverse società scandinave preistoriche, come scrivono Anders Kaliff e Terje Oestigaard nel loro libro Cremation, corpses and cannibalism. Anche Beth Conklin della Vanderbilt university del Tennessee nel suo libro Consuming grief (2001) ha raccolto le testimonianze di “cannibalismo compassionevole” tra il popolo brasiliano dei wari’. “Dovevano mangiarlo tutto, o almeno il più possibile”, riassume Bello. “Bruciavano il poco che restava, comprese le ossa, che poi venivano frantumate e mescolate con il miele, e consumavano pure quelle”. Per i wari’ lasciare che il corpo di una persona cara si decomponesse era “irrispettoso”. Anche in alcune società preistoriche delle Fiji si mangiavano i propri cari come rito funebre, ma probabilmente in piccole quantità.

Negli ultimi decenni il cannibalismo funerario è stato eliminato, in genere dalle potenze coloniali occidentali che lo consideravano barbaro. Una delle poche comunità che ancora lo praticano è quella degli aghori, un gruppo induista dell’India. “Non è molto frequente, ma in realtà raccolgono corpi dal fiume e li mangiano”, spiega Bello. Come altri gruppi preistorici, anche gli aghori usano i teschi come recipienti per bere.

Pratiche simili possono sembrare scioccanti e spesso sono ancora presentate come tali. Ma alla luce delle nuove prove alcuni antropologi sostengono che è ora di abbandonare le nostre opinioni negative sul fenomeno. “È una cosa che dev’essere compresa meglio e non semplicemente associata alla psicopatia”, dice Bello. Cole va anche oltre: “Il cannibalismo non è sbagliato o innaturale. Fa parte del mondo naturale, del quale noi siamo un’estensione. E lo pratichiamo da almeno un milione di anni”. ◆ bt

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Questo articolo è uscito sul numero 1554 di Internazionale, a pagina 61. Compra questo numero | Abbonati