“La Russia non ha attaccato l’Ucraina”, ha dichiarato il ministro degli esteri russo Sergej Lavrov dopo i colloqui con il suo collega ucraino, Dmytro Kuleba, in Turchia. È un’affermazione assurda. Cosa voleva dire davvero Lavrov? Per capirlo bisogna tener presente che le sue parole non si collocano sul piano reale ma su quello simbolico. Quella in corso in Ucraina non è una guerra, ma una “operazione militare speciale” che, sotto il profilo dell’immagine, non sembra nemmeno condotta dall’esercito russo. La Russia, come tutti gli stati, ha una bandiera e degli stemmi ufficiali, ma in questa “operazione speciale” quei simboli sono assenti. Sono stati sostituiti dalla lettera Z. Creata probabilmente nelle viscere dello stato maggiore russo, originariamente la Z doveva essere semplicemente un segno con cui identificare l’equipaggiamento militare, poi con il tempo si è trasformata in un simbolo diffuso e riconoscibile da tutti. La vediamo sugli striscioni appesi alle finestre delle case russe, nelle foto dei dipendenti delle aziende che si dispongono a forma di Z e nei toponimi, come quello della regione del Kuzbass, diventato KuZbass.
Di solito a prendere la forma della zeta è il nastro nero e arancione dell’ordine di san Giorgio (diventato un simbolo del nazionalismo russo), non il tricolore russo. La bandiera si vede raramente nei video che arrivano dall’Ucraina: al massimo dei piccoli striscioni rossi, bianchi e blu sono appesi sulla facciata o sul tetto dei municipi, ma sempre senza alcuna formale solennità. È più frequente, invece, l’esposizione della bandiera sovietica – un altro simbolo che trascende la realtà (e il tempo) – sui mezzi blindati e i carri armati. La lettera Z è una maschera con cui la Russia prende le distanze dalla guerra. Se a livello verbale questo compito è svolto dall’espressione “operazione speciale”, a livello simbolico interviene la Z. È come se la lettera fosse stata improvvisamente investita di un nuovo significato: un patriottismo di natura semilegale e non ufficiale, dato che i simboli del paese e dell’esercito sono altri.
Fin dall’antichità le maschere sono strumenti per entrare simbolicamente in una sorta di realtà parallela: indossandone una si smette temporaneamente di essere se stessi, ci si trasforma in qualcos’altro, si appartiene a un altro mondo e quindi si guadagna il diritto di agire secondo leggi diverse. Il potere della maschera è superiore anche al potere dei re. Nel medioevo indossare quella di carnevale era un momento di ribellione contro la gerarchia, la disciplina e l’obbedienza.
Oggi, quindi, sembrano esserci due paesi, due Russie. C’è una Russia che continua a esistere con il proprio nome e in cui vive ancora la maggior parte dei suoi cittadini: un paese che rifiuta la guerra, che non ha mai attaccato nessuno prima, che non ha minacciato nessuno e che persegue una politica estera all’insegna della pace. Che magari aiuta i profughi, invia aiuti umanitari e non ci pensa proprio a inviare dei soldati di leva in battaglia.
Poi c’è un’altra Russia, anonima e invisibile, il paese Z, che sposta carri armati e lancia razzi. Ma quel paese non siamo noi. Stando così le cose, quindi, si capisce che non è stata la Russia ad attaccare l’Ucraina: a combattere è “il paese Z”.
Dietro la maschera
La vera Russia, ovviamente, apparirà più tardi, dopo la vittoria, in tutta la sua bontà, saggezza e giustizia. Verrà solo per giudicare in modo equo e donare benessere nei territori liberati dall’esercito del “paese Z”. E poi, non c’è dubbio, si innalzeranno le bandiere tricolori e suonerà l’inno che celebra la nostra libera patria.
Non è la prima volta che questo metodo è usato. Senza risalire troppo indietro nel tempo, possiamo ricordare il caso degli ufficiali dei servizi di sicurezza russi Aleksandr Miškin e Anatolij Čepiga. Non sono stati loro nel 2016 ad andare a Salisbury, nel Regno Unito, per avvelenare l’ex spia Sergej Skripal. È stata tutta opera di Ruslan Boširov e Aleksandr Petrov. I loro passaporti esistono, ma non appartengono a persone reali. Che sono invece agenti in uniforme dei servizi d’intelligence delle forze armate. Gente per bene. Sergej Lavrov, quindi, non è affatto in malafede. Ha tutta l’aria di chi crede in ciò che dice e che, perfino, enfatizza: la Russia e “il paese Z” non sono la stessa cosa. Alcuni ignoti funzionari dello stato maggiore sono riusciti a mettere in piedi una malvagia parodia del fumetto di Alan Moore V for vendetta, in cui il protagonista dietro la maschera di Guy Fawkes organizza una rivolta anarchica per rovesciare un regime totalitario (a proposito, anche la lettera V è usata nell’“operazione militare speciale”, ma non è così diffusa come la Z). E anche se in occidente è la Russia di Putin a essere considerata una dittatura, il Cremlino non batte ciglio e si presenta come il rivoluzionario liberatore contro il dispotismo mondiale liberale e nazistoide.
Smarrimento e risentimento
La maschera – in questo caso la lettera Z – ora serve anche come segno per distinguere gli amici dai nemici. Se vuoi essere dei nostri, devi indossarla, smettendo per un po’ di essere te stesso.
Questo spiega esattamente perché le autorità russe percepiscano le sanzioni con sincero smarrimento e perfino risentimento. Non capiscono perché siano imposte alla Russia, che – come abbiamo visto – non ha attaccato nessuno. Vladimir Putin sta cercando di agire come se non ci fosse alcun collegamento tra le sanzioni e le ostilità, continua a fingere di preoccuparsi degli investitori stranieri: “Noi non abbiamo nessuna intenzione di chiuderci. Siamo disposti a lavorare con tutti i nostri partner e con i partner stranieri che lo desiderano”, dice il presidente. E forse lo pensa davvero.
Quest’abitudine, maturata negli anni, a dividere ogni azione politica in reale e fittizia non è nota solo al presidente. Chi è cresciuto in un sistema simile fin dall’infanzia è in grado di intuire questa differenza e determinare immediatamente cosa e chi c’è sotto la maschera.
Tutti gli altri, invece, vedono solo la maschera. Saldamente attaccata alla faccia di chi la indossa. ◆ ab
Republic è un sito indipendente russo.Fino al 2016 si chiamava Slon. In Russiaè oscurato dal 6 marzo 2022.
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Questo articolo è uscito sul numero 1452 di Internazionale, a pagina 39. Compra questo numero | Abbonati