Potrebbero svolgersi a giugno, o magari a settembre, ma in Serbia è arrivato il momento di chiedere nuove elezioni. Lo dimostra chiaramente la grande manifestazione che si è tenuta a Belgrado il 15 marzo e che segna il culmine della mobilitatone studentesca contro la corruzione e il governo del presidente Aleksandar Vučić, cominciata lo scorso novembre. Prima di tutto, per l’enorme adesione. Con circa trecentomila persone, quella del 15 marzo è stata la protesta con più partecipanti nella storia della Serbia. E sarebbero stati ancora di più se il governo non avesse bloccato l’accesso alla capitale, fermando treni e autobus. Neanche questo era mai successo, dimostrazione della paura di chi è al potere.
In secondo luogo, la protesta ha liberato un’enorme energia, a Belgrado e in tutto il paese. Non solo il 15 marzo, ma anche il giorno prima, con l’accoglienza riservata da Belgrado ai manifestanti, e nei mesi precedenti, con il sostegno dato agli studenti. Oggi quest’energia deve dare risultati concreti, tradursi in un progetto politico, in volontà elettorale.
In terzo luogo, gli studenti hanno lasciato spazio ad altri soggetti sulla scena politica. Sono rimasti entro i limiti che si erano prefissati, senza monopolizzare l’attenzione pubblica. Perciò per i partiti c’è ancora spazio. Per loro e per i sindacati, le ong, le associazioni civiche. Oggi in Serbia non sono solo i giovani a ribellarsi, è l’intera società. Vučić non ha dichiarato guerra solo agli studenti, ma anche agli insegnanti e ai professori.
È impensabile che possa vincere questa battaglia. Non ha il sostegno degli operatori sanitari, che continuano a lavorare solo per senso del dovere. È in guerra con gli avvocati e i contadini, gli intellettuali e i lavoratori. E non ha più dalla sua nemmeno i tifosi della Stella Rossa. Gli studenti l’hanno promesso: continueranno a “pompare” energia nella protesta (pumpaj è la parola d’ordine delle manifestazioni); ora sono gli altri gruppi sociali a doversi assumere la loro parte di responsabilità.
Poi c’è un quarto aspetto, molto importante: la protesta non riguarda solo le città. In tutta la Serbia si sono mobilitati paesi e villaggi: anche in questo gli studenti hanno dato un grande contributo. È giusto riconoscere l’importanza del fattore locale. Finora è stata la Serbia a riversarsi su Belgrado – da Bogatić, Rača, Valjevo, Čačak, Kovačica, Kraljevo – ora è Belgrado che deve riversarsi sulla Serbia.
Oltre il compromesso
Forse il Partito progressista serbo di Vučić non è ancora con le spalle al muro, ma di certo sta battendo in ritirata. Perché dare al presidente il tempo di difendersi? Oggi l’ipotesi di un governo di transizione sembra un passo indietro rispetto alle aspettative, una concessione, un segno di pessimismo: perché accontentarsi di una fetta della torta quando si può averla tutta? E poi neanche Vučić l’accetterebbe, perché sa che equivarrebbe a riconoscere la sua sconfitta. Esigere nuove elezioni segnerebbe invece il passaggio dalla difesa all’attacco.
Il voto, ovviamente, non si svolgerà in una situazione di perfetta equità e trasparenza. Ma aspettare che ci siano le condizioni “ideali” rischia di far perdere slancio, che è invece un fattore cruciale.
Gli studenti hanno ragione quando dicono che la loro lotta non è uno sprint ma una maratona. E da questo punto di vista non devono preoccuparsi: anche per i loro nipoti ci sarà lavoro da fare.
Per quanto riguarda invece la campagna elettorale, due sono i fattori più importanti. Il primo è la Radio-Televizija Srbije, l’azienda radiotelevisiva pubblica. Qui la breccia è già stata fatta, e potrà anche essere ampliata. La copertura della campagna elettorale sarà più obiettiva che in passato, come il trattamento dell’opposizione. L’altro sono le liste elettorali. Sarà questa la vera sfida: gli elenchi devono essere accuratamente esaminati e ripuliti per evitare brogli. Il paese ha dato prova di avere le risorse per farlo, e in più stavolta potrebbe ricevere aiuti dall’Europa. Infine, l’ultimo compito dell’opposizione sarà garantire la presenza di osservatori in tutti i seggi elettorali. ◆ ab
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Questo articolo è uscito sul numero 1606 di Internazionale, a pagina 32. Compra questo numero | Abbonati