Stati Uniti

Nell’agosto del 2021, trent’anni dopo essere entrati negli Stati Uniti attraversando il confine meridionale, Irma e Javier Hernández hanno preso un volo per Oaxaca. Tornavano in Messico per sempre, lasciandosi alle spalle quattro figli con cittadinanza statunitense, un lavoro stabile e un paese che avevano imparato ad amare. Dopo decenni da immigrati senza documenti, Irma e Javier avevano deciso che era arrivato il momento di rientrare nel loro paese. La madre di lei aveva 91 anni e gli Hernández avevano paura che potesse morire prima di darle un ultimo saluto, come era successo al padre e ai suoceri.

L’ultima sanatoria del congresso per gli immigrati irregolari risale al 1986

La coppia ha usato i soldi messi da parte negli Stati Uniti per comprare una piccola casa e aprire una tortilleria. I loro figli, ormai adulti, se la sarebbero cavata da soli. “Solo dio sa quanto abbiamo lavorato duramente a New York, ogni santo giorno”, dice Irma, 57 anni. “Siamo ancora abbastanza giovani, avremmo potuto continuare. Ma abbiamo preso la difficile decisione di tornare in Messico”.

Gli Hernández sono tra gli immigrati che negli ultimi anni hanno deciso di lasciare gli Stati Uniti per tornare nel paese d’origine, spesso dopo aver passato gran parte della loro vita lavorando sodo senza un permesso di soggiorno. Alcuni non pensavano di restare a lungo nel paese, ma avevano rimandato il viaggio di ritorno per via dei costi e dei pericoli del viaggio. Ora, superata la mezza età e ancora in grado di lavorare, stanno alimentando una migrazione in direzione contraria.

I messicani, che formano il gruppo di immigrati più numeroso nella storia moderna degli Stati Uniti, hanno cominciato a tornare in patria più di dieci anni fa, spinti dalla crescita dell’economia messicana e dalla crisi economica statunitense. Le partenze sono aumentate dopo che l’amministrazione Trump ha imposto misure più restrittive contro l’immigrazione, e sono rimaste stabili sotto la presidenza di Joe Biden. Molti immigrati anziani hanno realizzato gli obiettivi che avevano quando sono entrati negli Stati Uniti, e oggi possono permettersi di abbandonare i ritmi massacranti da lavoratori irregolari per fare una vita meno gravosa nel loro paese d’origine. Questa dinamica aiuta a spiegare perché il totale degli immigrati senza documenti è rimasto stabile, nonostante il netto aumento di arresti al confine meridionale, arrivati a due milioni nel 2022. “L’idea che tutti vengano negli Stati Uniti e che nessuno se ne vada è falsa”, spiega Robert Warren del Centro per gli studi sulle migrazioni. “Molti lasciano il paese volontaria­mente”.

Effetto contrario

Dopo il picco del 2008, quando il totale degli immigrati irregolari raggiunse i 12 milioni di persone, negli ultimi anni il numero è rimasto relativamente stabile, intorno ai 10,2 milioni. Un decreto d’emergenza introdotto nel 2020 per arginare i contagi da covid-19 ha permesso alle autorità statunitensi di espellere rapidamente più di 2,5 milioni di persone. Ma anche se nello stesso periodo centinaia di migliaia di migranti sono stati autorizzati a entrare nel paese, l’intenso contro-esodo volontario ha contribuito a mantenere costante il numero complessivo di immigrati irregolari.

Tra il 2010 e il 2020 il numero di ingressi di persone senza documenti provenienti da una decina di paesi, tra cui Polonia, Filippine, Perù, Corea del Sud e Uruguay, si è ridotto di almeno il 30 per cento. Durante lo stesso periodo gli immigrati irregolari dal Messico, paese che rappresenta la prima fonte d’immigrazione negli Stati Uniti, sono passati da 6,6 milioni a 4,4 milioni.

Sempre in quel decennio la popolazione di immigrati senza documenti è diminuita in tutti gli stati del paese tranne due: è scesa del 49 per cento nello stato di New York, del 50 per cento in California (da dove sono partiti 815mila messicani), del 36 per cento in Illinois e del 20 per cento in Texas (267mila messicani se ne sono andati). I dati indicano che queste persone sono tornate nei paesi d’origine. Il numero di immigrati irregolari polacchi si è dimezzato tra il 2010 e il 2019, un periodo in cui le condizioni di vita in Polonia sono nettamente migliorate. Molti brasiliani sono tornati in patria attirati dal boom delle esportazioni di prodotti alimentari e dall’assegnazione dei Mondiali di calcio del 2014 e delle Olimpiadi del 2016, che hanno fatto crescere il settore edilizio e spinto l’economia.

Rubén Hernández-León, un sociologo dell’università della California che ha condotto una ricerca tra i messicani tornati in patria, sostiene che a spingere gli immigrati a lasciare gli Stati Uniti è stato soprattutto il desiderio di ricongiungersi con le famiglie. Secondo lo studioso, la crociata contro l’immigrazione scatenata da Trump ha alimentato una forte ansia tra gli stranieri, soprattutto tra i messicani, convincendoli ad andarsene.

Per molto tempo i messicani hanno fatto avanti e indietro. Gli uomini viaggiavano da soli, rimanevano per alcuni mesi negli Stati Uniti per accumulare un po’ di soldi e poi tornavano nei villaggi d’origine. Questa dinamica si è interrotta all’inizio degli anni novanta, quando il governo di Washington costruì barriere e aumentò il numero di agenti alla frontiera per scoraggiare gli attraversamenti. Ma quelle limitazioni produssero un effetto contrario a quello sperato. Dopo aver affrontato i rischi del viaggio e aver pagato i soldi ai trafficanti per superare il confine, gli immigrati irregolari decidevano di restare nel paese invece di continuare a fare la spola.

“Molti di loro non avrebbero mai voluto stabilirsi qui. Siamo stati noi a costringerli a rimanere”, dice Douglas S. Massey, studioso di fenomeni migratori dell’università di Princeton. “Gli immigrati hanno cominciato a passare sempre più tempo negli Stati Uniti e hanno messo su famiglia qui”. Secondo Massey, i dati del censimento confermano che molti immigrati ora stanno tornando a casa.

Irma Hernández lasciò il suo paesino in Messico nel 1987. “Per necessità”, racconta. Fece per anni la baby sitter per le famiglie di Manhattan, spedendo a casa i soldi che guadagnava. Poi s’innamorò di Javier, aspirante pizzaiolo e anche lui immigrato dallo stato di Oaxaca, nel suo stesso periodo. Si sposarono e nel 1992 nacque la loro prima figlia, Jennifer. Senza documenti e con un confine sempre più invalicabile, gli Hernández non potevano rischiare di lasciare gli Stati Uniti. Quando i genitori di Javier morirono, lui fu costretto a piangerli da lontano. Anche il padre di Irma morì quando loro si trovavano negli Stati Uniti. “Mentre gli anni passavano, abbiamo continuato a sperare di ottenere i documenti, così da poterci spostare liberamente tra i due paesi”, racconta Irma.

L’ultima sanatoria approvata dal congresso, nel 1986, permise a 2,3 milioni di messicani di regolarizzare la loro posizione. Ma in seguito i democratici e i repubblicani non hanno trovato un accordo per un’altra riforma dell’immigrazione. Così per Irma e Javier Hernández gli anni sono diventati decenni. Nel frattempo la coppia ha avuto un altro figlio e poi due gemelli.

Futuri nipoti

Jennifer ha studiato a Harvard, nel Massachusetts, poi è tornata a New York, dove ha lavorato per Make the road, un’organizzazione che aiuta gli immigrati. I suoi tre fratelli hanno completato gli studi superiori. Quando ha compiuto 21 anni, Jennifer poteva essere la garante per far ottenere un permesso di soggiorno ai genitori, ma ha scoperto che il processo sarebbe durato più di dieci anni. “Abbiamo cominciato a parlare seriamente del loro ritorno in Messico”, racconta la
donna.

Irma e Javier hanno pensato che si sarebbero mantenuti vendendo il mais, la verza e gli aromi coltivati nel loro piccolo appezzamento di terra, oltre alle tortillas prodotte nello stabilimento che avevano rilevato. I loro figli, ormai adulti, hanno promesso di sostenerli economicamente in caso di bisogno. È stata comunque una decisione straziante, anche se la coppia sapeva che un giorno sarebbe tornata a casa.

I quattro figli di Irma e Javier hanno visitato lo stato di Oaxaca insieme ai genitori. Dopo aver sistemato la nuova casa, gli Hernández si sono concessi la prima vacanza familiare della loro vita, sulla costa messicana. Poi i figli sono tornati negli Stati Uniti. “Abbiamo pianto fino all’atterraggio”, ricorda Jennifer. “È passato un anno e mezzo, ma per noi è ancora molto difficile”. Irma spera di poter tornare legalmente a New York, anche solo per una visita. “Lì ci sono i miei figli, un giorno anche loro avranno una famiglia. Voglio prendermi cura dei miei nipoti”. ◆ as

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Questo articolo è uscito sul numero 1503 di Internazionale, a pagina 22. Compra questo numero | Abbonati