Hamas è evaso dalla sua gabbia di Gaza lanciando un’operazione senza precedenti che ha preso alla sprovvista l’esercito israeliano. Per chi come noi si trovava dentro la Striscia di Gaza assediata è stato terrificante. Poco dopo l’inizio dell’attacco Israele ha dichiarato lo stato di guerra, avviando una raffica di raid aerei in tutta la Striscia, colpendo ospedali, luoghi pubblici e complessi residenziali. Il bilancio delle vittime a Gaza ha già superato i mille morti, i feriti sono migliaia e sembra inevitabile che il peggio debba ancora venire.
Da quando si sono diffuse le prime notizie dell’attacco la mattina del 7 ottobre vivo un incubo a occhi aperti con mia moglie, mio figlio Rafik di due anni, mia sorella e i nostri genitori. Durante i bombardamenti israeliani ci stringiamo, tenendoci le mani. Le nostre preghiere appaiono fragili, a ricordarci che non siamo in grado di proteggere noi stessi.
Questa non è la nostra prima esperienza con le guerre israeliane a Gaza. Mio figlio ha provato cosa fanno le bombe già nel 2021, mentre era ancora nel grembo di sua madre. I miei genitori subiscono questa tragedia dal 1967. Io ho vissuto cinque guerre in appena vent’anni. Ma l’idea che possiamo normalizzare la paura è falsa. Ogni conflitto sembra il primo.
Solo una facciata
Il nuovo attacco di Hamas segue una serie d’intense settimane di violenza dello stato e dei coloni israeliani nei territori occupati, che hanno avuto un ruolo importante nella crisi attuale. I palestinesi avevano lanciato l’allarme, avvertendo che il blocco, l’impoverimento persistente, le ripetute aggressioni israeliane e la frammentazione delle loro comunità avrebbero prima o poi portato a un’esplosione. Quello che ha sorpreso la maggior parte dei palestinesi, sia in patria sia nella diaspora, sono le dimensioni e la forza dello scoppio.
La vita quotidiana a Gaza si è deteriorata negli ultimi sedici anni di assedio israeliano. Oggi circa il 97 per cento dell’acqua è considerata non potabile, più della metà della popolazione vive sotto la soglia di povertà, l’80 per cento fa affidamento sugli aiuti esteri e il futuro dei giovani è incerto: il 64 per cento è disoccupato, e i loro sogni e le loro aspirazioni sono soffocati dal blocco. La maggior parte degli abitanti di Gaza sono rifugiati che vivono in un esilio perenne, dopo essere stati espulsi durante la nakba, la catastrofe del 1948. Nel 2018 e nel 2019 la richiesta di mettere fine all’assedio ha risuonato in tutto il mondo, quando migliaia di palestinesi hanno manifestato contro il muro di separazione durante la grande marcia del ritorno (una protesta che è stata rilanciata nelle ultime settimane). Israele ha risposto uccidendo centinaia di persone.
Il mondo è stato a guardare mentre vivevamo qui, intrappolati in questa prigione a cielo aperto. Abbiamo sopportato per decenni e ci siamo aggrappati alla speranza e alla nostra determinazione a resistere: se mai ne avessimo avuto la possibilità, lo avremmo fatto. Quello che Israele e gran parte delle persone chiama “calma” è l’angosciosa quiete che aleggia prima della tempesta, prima che Gaza sia gettata ancora una volta nel caos. “Calma” è quando Gaza è bombardata, mentre i villaggi e le città nel resto delle nostre terre occupate sono invase, le case demolite, i giornalisti uccisi, le ambulanze attaccate, le moschee vandalizzate, le scuole colpite con i lacrimogeni e i palestinesi massacrati. Questa facciata di calma va in frantumi quando i palestinesi, spinti al limite, alla fine rispondono alle pressioni incessanti. Magari il mondo guarderà sconvolto, ma per noi è il culmine di anni di sofferenza e disperazione. È il momento in cui difendiamo la nostra esistenza e il diritto a vivere pacificamente in libertà.
La valigia pronta
È vero che le carenze dell’intelligence israeliana hanno permesso a Hamas di cogliere Israele alla sprovvista, ma la situazione è anche il risultato di una mancanza d’immaginazione, empatia e moralità. È un’incapacità di comprendere che non ci si può aspettare da un popolo la sopportazione stoica e passiva di decenni di occupazione.
Israele conduce una guerra contro il popolo palestinese da più di settant’anni attraverso la pulizia etnica, l’occupazione, l’apartheid e l’assedio a Gaza. Eppure, nonostante il suo potere militare di gran lunga superiore, i fatti recenti mostrano il fallimento della retorica dei leader israeliani, che non sono stati in grado di realizzare la pace e la sicurezza. Quello che il mondo non riesce a capire è che il popolo palestinese ha il diritto di usare la resistenza armata nella lotta per la libertà e di difendersi dall’aggressione israeliana.
Da anni ormai a Gaza famiglie come la mia hanno tutti gli oggetti più importanti sempre pronti in valigia, nel caso in cui dovessero andar via da un momento all’altro. Nelle borse ci sono prodotti essenziali per sopravvivere in mezzo al caos: medicine, documenti, caricabatterie per cellulari, effetti personali e kit igienici.
Ora, mentre scrivo queste parole, io e la mia famiglia stiamo radunando in tutta fretta le nostre valigie per lasciare casa, perché ci è stato detto che il nostro quartiere sta per essere bombardato. Ho vissuto cinque guerre contro Gaza, ma non ho mai avvertito tanto orrore e visto tanta distruzione. ◆ fdl
Mohammed R. Mhawish è un giornalista e scrittore palestinese che vive a Gaza.
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Questo articolo è uscito sul numero 1533 di Internazionale, a pagina 20. Compra questo numero | Abbonati