Abbiamo finito la farina bianca. Così abbiamo dovuto consumare il pasto standard a Gaza: orzo e mais. La situazione della mia famiglia non è diversa da quella di altre che vivono nel nord della Striscia. Ma dopo che mi è venuto male allo stomaco, mi sono ribellata a questo “cibo per animali” e mi sono accontentata del semplice riso e dei noodles istantanei di cui avevo fatto scorta prima che sparissero dai supermercati. Ogni giorno sono sopraffatta dal desiderio di mangiare le cose che amo di più. Di fare tre pasti al giorno. Ma i miei desideri e le mie voglie sono diventati sogni lontani. Questa guerra, che ha cancellato dalla mappa intere aree di Gaza, ci ha tolto anche il lusso di scegliere. L’occupazione israeliana non solo ha ucciso e sfollato i residenti del nord della Striscia, ma li ha anche affamati sistematicamente impedendo ai convogli di aiuti di entrare e bombardandoli.
“Questo è mangime per animali e noi ci facciamo il pane. L’odore è nauseante e il sapore è disgustoso…”, mi ha detto Yasmin Nasser, 23 anni, descrivendo la miscela di orzo e mais che nel nord di Gaza usiamo al posto della farina. “Quando nel nord sono diminuiti i bombardamenti, pensavamo di poterci finalmente riposare, è cominciata una nuova sofferenza”. Yasmin è rimasta con la famiglia nel nord della Striscia nonostante i tentativi israeliani di spingerli a sud, a volte con bombardamenti vicino alla loro casa e altre volte con telefonate di avvertimento. Ma ora lei e i suoi parenti stanno morendo di fame. Si stima che, per fermare la carestia, la regione nord avrebbe bisogno di seicento camion di aiuti al giorno, mentre nella città di Gaza ne servirebbero settecento. Secondo un rapporto dell’Unicef, un bambino su sei sotto i due anni soffre di malnutrizione acuta. Ed è aumentato anche il numero di bambini morti di fame. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1553 di Internazionale, a pagina 16. Compra questo numero | Abbonati