“Apri questo libro a una pagina a caso”, mi dice un’amica. Al salone del libro di Torino, allo stand della minimum fax, il libro di Rigiani è fresco di stampa. “Il Busacca scomparve nel laboratorio e ricomparve dieci minuti più tardi portando una grande lastra nera. La signora Ghiringhelli, il Tullio, l’eolao e persino Perfino e Persino gli si fecero tutt’intorno per vedere”, leggo. “Assurdo, eh?”, mi fa l’amica. Assurdo è esattamente la parola per descrivere l’esordio di Davide Rigiani che ci porta nel mondo dei Ghiringhelli: madre tuttofare nella sede luganese della Banca d’Elvezia, padre poeta avanguardista, una figlia grande come un leone marino e il figlio Tullio che sulla testa ha una chioma a forma di cavolfiore. Vivono in una casa del Canton Ticino, circondati da un giardino e da una colonia di gatti battezzati con avverbi o congiunzioni. Un giorno Tullio trova un bruco geometra che si rivela essere un eolao (di cui eoleolaolai è il plurale irregolare). È un animale buffo, muta forma e caratteristiche, e riempie le giornate del piccolo Tullio. Una storia surreale raccontata con l’esuberanza di chi conosce bene gli artifici del fantastico e del comico. A metà tra il pastiche di Stefano Benni e il grottesco di Wes Anderson, Davide Rigiani sottende che la letteratura, come la realtà, può essere senza senso. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1463 di Internazionale, a pagina 96. Compra questo numero | Abbonati