Come ho già scritto qualche anno fa, echeggiando le parole di Zadie Smith e di Alex Haley, “rifiutarsi di imparare a pronunciare un nome riguarda il rifiutarsi di riconoscere una parte fondamentale dell’identità di una persona”. I nomi e i cognomi sono al contempo sintesi, memoria e promessa. Lo sa bene Saranostra – soprannome che “sembra una preghiera” – mentre scorre l’elenco degli studenti del corso pomeridiano del liceo Rodari. Sara Righetti è figlia di un professore e di una cuoca della mensa scolastica, e ha un nome di cui, dicono, non ha la faccia. Quando invece si trova davanti gli alunni che affollano quel corso è costretta a mettere in discussione la propria verità o le risposte che fino ad allora le sono state date. La narrazione oscilla tra passato e presente, tra la Sara bambina e quella adulta: le due condividono lo stesso tono di voce, le domande che si fanno, i sentimenti irrisolti. Tutta intera è un romanzo pieno di nomi: alcuni diventano personaggi, altri no. Ma nominando le persone che abitano al di qua e al di là del fiume Sele, in Campania, l’autrice inserisce frammenti che si muovono intorno a temi complessi: l’adozione, la subalternità, la scuola, le seconde generazioni. La scrittura di Hakuzwimana è spesso musicale nell’uso delle metafore e sempre vicina al cuore. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1480 di Internazionale, a pagina 90. Compra questo numero | Abbonati