Questa collezione di racconti, pubblicata per la prima volta nel 1990, è l’esordio che valse il Commonwealth writers’ prize alla scrittrice britannica nata in Guyana, il paese d’origine di suo padre. Pauline Melville scrive in una lingua camaleontica, che vaga tra il soprannaturale e il reale, che fa la spola tra la Londra della _working class _e l’ex colonia, un posto dove “i fantasmi camminavano sfrontati per strada, senza nascondersi”. Melville attinge a piene mani dal folclore guyanese: nel primo racconto il protagonista, il presentatore radiofonico Shakespeare McNab, si trasforma nella Diablesse per rientrare nelle grazie del potente vicepresidente del paese. Allo stesso tempo, il mito caraibico e quello europeo dei racconti s’innestano sull’impegno politico dell’autrice, ampliandosi in un’analisi sociopolitica delle identità e dei contesti coloniali e neocoloniali. Il dolore e il senso d’ingiustizia, che pure accompagna i personaggi (“i bianchi avevano ingannato il mondo facendo credere che Gesù fosse bianco”), sono sempre bilanciati da un registro comico, divertente (“sua madre gli rifilò un bel po’ di sberle per aver osato chiamare Dio ‘un lurido mezzosangue’”). È da applaudire la scelta di Tamu Edizioni di riportare in Italia un’autrice pressoché sconosciuta, proteiforme e caleidoscopica, che tutti dovremmo leggere. ◆
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it
Questo articolo è uscito sul numero 1483 di Internazionale, a pagina 90. Compra questo numero | Abbonati