Una volta qualcuno mi ha detto che la differenza tra la scrittura di una sceneggiatura e quella di un libro è il controllo: sulla prima bisogna rinunciare ad averlo, sulla seconda non se ne può fare a meno. C’è oggi – mi sembra ancor più che in passato – un confine meno labile tra chi scrive l’una e l’altro, forse alla stessa maniera in cui è sempre più sottile la differenza tra leggere, guardare e ascoltare. Allora, proprio per via di queste premesse, è complicato giudicare un prodotto atipico come Metropolitania. Carolina Cavalli è una sceneggiatrice e questo è il suo libro d’esordio: si potrebbe dire che comincia come un romanzo generazionale (trentenni o giù di lì, apatici, emotivamente e a volte anche economicamente precari, altrimenti a disagio con la propria ricchezza). Eddi, la protagonista, e Masami, che “potrebbe essere lo stelo di un fiore sfiorito”, sono due di loro. Comincia, insomma, molto bene, e penso che quello che mi piace di questo libro è la sua lingua non edulcorata: non fa capriole, è onesta, a tratti fa anche sorridere, non vuole dirsi letteraria, forse perché è già scenica. Poi prosegue così così, in un vortice surreale in cui si perde il filo e appena si affonda nella lettura, si è riaccompagnati in superficie. In questa storia grottesca e inquietante si surfa molto, e senza controllo. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1485 di Internazionale, a pagina 92. Compra questo numero | Abbonati