Una ragazza attratta morbosamente dal sangue; una docente che raccoglie la testa decapitata della vicina di casa (con cui il padre ha giocato a pallone per giorni); una figlia che non riesce a separarsi dalla dentiera del genitore; due gemelle che, tra inquietanti festival di musica sperimentale, cercano il suono del dolore (e del piacere, perché spesso sono la stessa cosa). Sono alcune delle trame e delle protagoniste dell’ultimo libro di Mónica Ojeda, la regina del gotico andino. La scrittrice ecuadoriana esplora con poesia il male, la violenza e la paura. E lo fa con una lingua graffiante (“L’insonnia raggrinziva dietro le pareti”), capace di esprimere con la bravura di un’esteta le pulsioni più torbide, le situazioni più disturbanti, mostrando al tempo stesso la delicatezza che può nascondersi dietro ai corpi più danneggiati. “Barbara voleva tagliare la lingua a sua sorella gemella con uno stiletto”, scrive l’autrice nel racconto che mi è piaciuto di più, perché “credeva che le orecchie e la lingua di una persona che non le poteva usare fossero un’indecenza”. Sarà la stessa autrice, sabato al Book pride di Milano, a raccontare come echeggiano le sue storie tra i miti e le leggende che strisciano tra i vulcani, gli altopiani e le montagne da cui sembra prendere ispirazione. Una lettura non per tutti, ma sicuramente per chi vuole perdersi nel lato più oscuro della realtà. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1502 di Internazionale, a pagina 82. Compra questo numero | Abbonati