Quello del confine è un tema caro a Elvira Mujčić (nata a Loznica in Serbia nel 1980), quindi non mi sorprende ritrovarlo nell’incipit del suo nuovo libro. Il confine tracciato per terra da una madre che vuole evitare il litigio tra due bambine è lo specchio dei confini reali che serpeggiano nel luogo in cui questa storia è ambientata. Siamo nel cuore del territorio serbo: a Šumor – “dove era nato e cresciuto e dove ogni abitante sapeva vita, morte e vergogne” degli altri – il medico di etnia serba Miroslav decide di candidarsi a sindaco. È un uomo che non ama i litigi e gli scontri, e cerca di superare la narrazione conflittuale della coesistenza con la comunità albanese. Intorno alla sua figura si avvicendano le vite della moglie Nada, dell’amico d’infanzia Zdravko, di Ludmila. E anche di Nebojša, inviato sul posto da Belgrado, per alimentare l’antagonismo etnico che la vittoria di Miroslav potrebbe assopire. I confini a Šumor sono simili a quelli che dalla penisola balcanica si dipanano ovunque i nazionalismi finiscono per creare un di qua e un di là. Mi aspettavo una scrittura intimista, invece sono stata sorpresa da dialoghi serrati, personaggi complessi, trame fitte che spostano confini. “Il passato è un paese straniero”, scriveva L.P. Hartley in L’età incerta, e questo romanzo coinvolgente sembra dirci che a volte lo può essere anche il presente. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1506 di Internazionale, a pagina 90. Compra questo numero | Abbonati