Monica Acito
Uvaspina
Bompiani, 416 pagine, 20 euro

Frenata un po’ dall’idea che oggi qualsiasi libro più lungo di trecento pagine abbia un problema di editing e rosicando per la sconfitta del Napoli contro il Milan, sono comunque riuscita a finire questo romanzo che, secondo un’amica ha il “miglior incipit di sempre”: “Tutti i mercoledì sera, Uvaspina e Minuccia aspettavano che la loro madre morisse”. Graziella La Spaiata s’è fatta strada dalle scale di vico Limoncello a un appartamento (con cameriera) a Chiaia, facendo la _chiagnazzara _per i funerali di tutta Napoli. Al marito Pasquale Riccio ha lasciato credere che sia stato lui a fregare lei, ma è vero il contrario. O forse non ne sono usciti bene né l’uno né l’altra. Sarà per questo che come ostriche sugli scogli stanno aggrappati ai figli Uvaspina e Minuccia, in egual misura fratello-sorella e maschere. Una scrittura barocca – intricata e bella – addolcisce la lettura di questo esordio, correndo il rischio, a lungo andare, di avere l’effetto delle cose troppo dolci. _Uvaspina _prende il lato più letterario di certe guide turistiche per portarti a zonzo in mezzo agli altri grande protagonisti, gli scorci della città. Si dice che scrivere di Napoli sia difficile, ma la lingua divertente, colorata e dialettale di Acito rende giustizia al suo carattere scostumato, al suo essere tutto e il contrario di tutto. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1508 di Internazionale, a pagina 82. Compra questo numero | Abbonati