Ero rimasta affascinata dall’esordio di Claudia Petrucci, L’esercizio (La nave di Teseo 2020), e questo secondo romanzo sembra richiamarlo nelle ossessioni, nel passo smorzato con cui svela gli intrecci, nella geografia di Milano e delle dinamiche di classe. S’intravede di nuovo la fascinazione dell’autrice per la letteratura sulla performance, sul teatro, che regge l’impalcatura di una trama circolare. Anche questa però, come la pianta dell’edificio in cui si consuma il dramma dei personaggi (e che solo in apparenza è rettangolare), inganna lo spettatore. A percorrere la scalinata dei suoi tre piani ci sono le vite di due donne: Irene, curatrice fallimentare di successo che, in un futuro segnato dalle conseguenze della crisi climatica, deve vendere la casa; e Lidia che negli anni ottanta l’ha fatta costruire finendo per trasformarla nella sua tomba. Il civico sette di via Saterna è al tempo stesso lo scopo e la causa, il palcoscenico e il desiderio che muove come pedine i personaggi in orbita nella sua traiettoria. Petrucci costruisce un’architettura fatta di specchi, gioca con la realtà che non è mai come appare e, insieme, presenta gli effetti decisamente più reali dei privilegi familiari, seguendo quel passo che vorrebbe redimere le colpe dei padri nei figli. “La pietra angolare è la pietra che sostiene l’intero edificio”: regge tutto, anche il romanzo. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1512 di Internazionale, a pagina 84. Compra questo numero | Abbonati