Mi sembra che quasi tutti, me compresa, scrivano dello Sri Lanka con un’aria nostalgica, piena di sensi di colpa, romanticizzandolo anche nella tragedia. Shehan Karunatilaka, nonostante abbia vissuto a lungo all’estero, se ne infischia del paese mitizzato dagli scrittori rientrati dagli Stati Uniti o che lavorano nella campagna britannica. Piuttosto, si prende gioco di quella narrazione, raccontando con una satira pungente il periodo più buio della storia del proprio paese. Non mi è difficile capire perché abbia vinto il Booker Prize del 2022. Maali è un fotoreporter non credente che, ucciso, scopre che “l’oltretomba è un’agenzia delle entrate e tutti vogliono un rimborso”. Scritto in seconda persona e ambientato nel 1989, uno degli anni decisivi della guerra civile nello Sri Lanka, il protagonista decide di dirottare il suo percorso nell’aldilà per risolvere il mistero della sua morte, e per far sì che le sue fotografie non cadano nell’oblio come tutti i morti di quegli anni. Per chi non conosce la feroce storia politica dell’isola, entrare nel romanzo può risultare faticoso (non che Karunatilaka, lungimirante, non abbia in mente un pubblico internazionale), ma se ci si lascia trasportare da una scrittura che attinge a Rushdie, García Márquez e alla cultura popolare dello Sri Lanka, si leggerà uno dei romanzi più brillanti degli ultimi anni. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1515 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati