Saro è uno di quegli uomini che “trasforma le buone abitudini in tradizioni. La nonna l’aveva tirato su così, all’antica”, e con una capigliatura che immagino alla Elvis, ma che il narratore descrive “alla bobbysolo”.
Un romanzo surreale, a tratti grottesco, che segue la santificazione di un pescivendolo tranquillo e riservato finché una colomba, che gli strappa un ciuffo di capelli, rivela sulla nuca una voglia a forma di Gesù Cristo. Maniacale nei rituali con cui cura i propri capelli, Saro vede la sua vita scompigliarsi. L’effigie gli procurerà una fama inaspettata e non pochi guai, a cominciare dall’acclamazione a santo. Il risultato è una narrazione sul filo del sacro e del profano che, ricorrendo anche al dialetto palermitano, s’infila tra le viuzze della Vucciria. L’esordio di Giorgio Scalia, del 1991, gli è valso una menzione speciale al premio Calvino. Gli intercalari dialettali non sempre sono comprensibili, ma è precisamente questo carattere che contribuisce a creare il microclima della quotidianità del celebre mercato palermitano. Con una lingua ripiegata su se stessa, uno stile coerente con un protagonista comico, l’autore, torinese d’adozione, firma un romanzo ironico e divertente, in cui tutto alla fine torna esattamente al punto di partenza. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1517 di Internazionale, a pagina 90. Compra questo numero | Abbonati