L’esordio di Alice Sivo segue una tecnica vista altrove (a voler essere autoreferenziali, su questa rubrica l’abbiamo già individuata con Madama Matrioska, di Anja Boato). In un incastro divertente, il personaggio di un racconto diventa il protagonista del successivo, che siano esseri umani, animali o inanimati. Queste ultime due categorie sono i protagonisti dei capitoli che ho più apprezzato, il pesce di Bruno e la lampada di Gloria. Il primo commenta la vita sentimentale del suo proprietario, non avendo del resto nulla di meglio da fare visto che “il brutto di vivere in un acquario è che quando non ti senti a tuo agio in una situazione non te ne puoi andare”. La seconda illumina il piccolo tavolo su cui lavora Gloria, e “singhiozza con guizzi intermittenti e si spegne, quasi a volerle lanciare un segnale in codice, avvitata com’è a una lampada che comincia ad arrugginirsi”.
Anni fa ho letto un libro di cui mi è rimasto impresso un istante: per il tempo di un semaforo rosso il narratore onnisciente cede il ruolo a un automobilista che osserva la protagonista attraversare le strisce pedonali. Leggendo i racconti di Sivo ho avuto la stessa sensazione, come se, aspettando il verde, osservassi, immaginassi e giudicassi le vite al di là dell’abitacolo della mia macchina. O dell’acquario che abitiamo tutti. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1518 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati