La prima volta che qualcuno mi ha letto le carte ero a Vento-tene: eravamo un gruppo di streghe davanti al mare, sotto la luna piena. Tutto quel (poco) che so sull’argomento l’ho imparato lì: il primo mazzo dovrebbe essere regalato, si dovrebbe pagare chi ti legge le carte, le carte non ti dicono tutto, ti dicono solo quello che chiedi di sapere. Giovagnoli, che torna in libreria dopo l’esordio Cos’hai nel sangue, usa i tarocchi per raccontare storie d’amore e disamore, tradimenti, violenza e autodistruzione. All’inizio confonde, come una cartomante con i suoi clienti, ma ci si abitua presto al ritmo sferzante del monologo interiore. La protagonista, Gaia, ripercorre in maniera frammentaria le storie, i volti e le premonizioni delle persone a cui ha letto i tarocchi e di quelle che le hanno lette a lei, in un tentativo di fissare le relazioni, il loro inizio e la loro fine, in contorni più nitidi. Lo fa, taccuino alla mano, dalla stanza di ospedale del suo grande amore e, prima, dallo stanzino in cui quello stesso grande amore l’ha rinchiusa per tre giorni, senza acqua né cibo. I nomi e le esistenze che hanno affollato la vita di Gaia si ammassano tra le pagine, sovrapponendosi alla voce della protagonista, e questo rende la lettura singhiozzante. Un romanzo su chi “non conferma il disegno”, su chi vive nonostante i presagi contrari. Il finale spiazza: è un’abitudine dell’autrice.
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it
Questo articolo è uscito sul numero 1526 di Internazionale, a pagina 79. Compra questo numero | Abbonati