Sono una persona che non conserva nulla: foto di quando ero bambina, ritagli di giornale, disegni e quaderni di scuola. Il valore sentimentale delle cose mi elude, è solo vecchio ciarpame. Il sentimento non sta negli oggetti: sopravvive con me, non a me. L’esordio di Michele Ruol, di professione medico anestesista, insinua qualcosa di diverso: e se gli oggetti conservassero una memoria o se fossimo noi a imprimergliela? Una raccolta di novantanove frammenti segue le tracce disseminate in una casa, di stanza in stanza, da una famiglia qualunque nel corso di un’intera vita. Padre, Madre, Maggiore e Minore. L’incidente che pone fine alle vite dei due fratelli, e che mette in moto il successivo processo, porta a galla le impronte che tutti noi lasciamo impresse nelle case, sugli oggetti. Così, il pentolino del latte è testimone dei pianti del primo neonato, mentre “mese dopo mese madre e figlio imparavano a conoscersi e costruivano equilibri diversi”. Il raschiaghiaccio nella macchina accartocciata, acquistato in Germania quando i figli non c’erano ancora, ma un muro ancora “spaccava in due Berlino”, è il superstite dell’incidente. L’esordio di Ruol è un viaggio sentimentale nell’inventario di oggetti che sono testimoni silenziosi della nostra esistenza e che, indipendentemente da quella, continuano a custodire memoria di noi. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1556 di Internazionale, a pagina 82. Compra questo numero | Abbonati