Poche persone hanno viaggiato così tanto per il mondo e hanno visto così poco al di fuori di alberghi, palazzi e uffici come Luiz Inácio Lula da Silva, 77 anni, originario di Garanhuns, nello stato di Pernambuco. Era già stato presidente del Brasile quando, durante un viaggio ufficiale in India, non si ritagliò neanche qualche ora di svago. “Negli ultimi anni Lula si è dedicato solo alla politica. In India non visitò neanche il Taj Mahal. Rimase in albergo a ricevere politici”, rivela il suo biografo e amico Fernando Morais, che lo segue ormai da dieci anni.

La politica è il carburante che alimenta quest’uomo pragmatico e camaleontico: dopo la caduta in disgrazia, è stato il protagonista della resurrezione più inaspettata degli ultimi tempi. Il 30 ottobre Lula ha vinto le elezioni presidenziali e ha conquistato un terzo mandato alla guida del Brasile, la prima potenza dell’America Latina. Era già stato presidente dal 2003 al 2010.

La sua vittoria quattro anni fa sembrava inimmaginabile: Lula, un metalmeccanico diventato leader sindacale, tra i fondatori del Partito dei lavoratori (Pt), era di fatto politicamente morto. Incarcerato per corruzione sei mesi prima delle elezioni del 2018, non aveva potuto neanche votare alle presidenziali vinte da Jair Bolsonaro, un politico di estrema destra nostalgico della dittatura militare. Ma questa volta al ballottaggio del 30 ottobre Lula ha ottenuto il 50,9 per cento delle preferenze, superando Bolsonaro di poco più di un punto e mezzo percentuale. La differenza è di più di due milioni di voti.

I telefoni degli altri

Dopo il primo turno, la campagna elettorale brasiliana si è trasformata in guerra sporca: è stato usato ogni mezzo per distruggere la reputazione dell’avversario. La disinformazione e le bugie sui social network sono molto diffuse, ma Lula lo ha capito tardi. “Non immaginavo il potere delle menzogne che circolano sui cellulari”, ha ammesso in un evento per smontare le notizie false e attirare il voto degli evangelici. E ha fatto una confessione: “Sono analogico, non ho un telefono cellulare. Uso quelli degli altri”.

Per Lula questa è stata la sesta elezione: prima di diventare presidente nel 2003 ed essere riconfermato nel 2006 aveva perso tre volte. Voleva rinunciare a ricandidarsi, ma il leader cubano Fidel Castro lo convinse a provarci di nuovo, perché non poteva tradire la classe operaia.

Lula è passato alla storia nel 2003, quando è diventato il primo presidente – e finora l’unico – della classe operaia a guidare il Brasile, un paese classista e con profonde disuguaglianze. Per alcuni brasiliani è l’eroe che ha fatto uscire milioni di persone dalla povertà e gli ha dato opportunità inimmaginabili ai tempi dei loro genitori; per altri è il capo di una banda di ladri che ha sottratto denaro pubblico dalla compagnia petrolifera statale Petrobras (anche se le condanne per corruzione che lo hanno tenuto in carcere per diciannove mesi sono state annullate o archiviate).Lula ha sempre detto di essere innocente e di avere fiducia nella giustizia.

Da più di trent’anni è il personaggio centrale della politica brasiliana. Nel bene e nel male, quasi tutto ruota intorno a lui. Pochissimi mettono in dubbio che sia un abile negoziatore, un leader carismatico, empatico, astuto e un grande narratore. Il suo biografo dice che a scuola Lula si distingueva già per le sue capacità di esprimersi a voce e per iscritto, anche se non era un bravo studente.

Il Pt è il partito più solido del Brasile, ma rispetto a vent’anni fa ha perso potere. La sua forza territoriale è diminuita dopo la destituzione della presidente Dilma Rousseff, nel 2016. Il Pt e i suoi alleati governano quattro stati, tutti nella parte più povera del paese. E dalle ultime elezioni comunali non amministrano neanche una delle capitali, solo una manciata di comuni per un totale di quattro milioni di abitanti su una popolazione di quasi 215 milioni di persone. Il partito, in definitiva, è una formazione personalistica. Il suo gruppo parlamentare – uno dei più grandi, con cinquantasei seggi – non è riuscito a imporsi come opposizione a Bolsonaro. Lo ha fatto Lula una volta uscito di prigione, nel novembre 2019.

I suoi discorsi includono continui riferimenti alla madre, una donna analfabeta e severa che tirò su sette figli dopo aver lasciato il marito violento. Quando i giornalisti gli chiedono del bilancio dello stato, Lula risponde che ha imparato a gestire i soldi grazie all’esempio di sua madre, una casalinga povera. Nel 2003 i mercati e l’élite economica lo temevano, pensando che fosse un estremista, ma Lula si è rivelato un leader abbastanza moderato, anche se ha portato avanti politiche per una distribuzione del reddito più equa. Secondo il Pt, sotto i governi progressisti il reddito medio dei brasiliani è aumentato del 38 per cento rispetto all’inflazione, ma quello dei più poveri è aumentato molto di più, dell’84 per cento. Molti brasiliani poveri considerano Lula uno di loro, perché ha conosciuto la miseria.

Nato nel Pernambuco, uno stato povero e afflitto dalla siccità, nel 1952 viaggiò con la madre e i fratelli in un furgone per tredici giorni verso São Paulo. Aveva sette anni. Morais racconta che si stabilirono a casa della seconda famiglia del padre, uno scaricatore di porto che faticava a sfamare i figli e li trattava male. La vita era dura, ma c’erano delle opportunità e Lula le colse. Fece il lustrascarpe e il fattorino prima di entrare in una scuola professionale, che gli servì per trovare un lavoro da tornitore. Un mestiere che gli è costato il mignolo della mano sinistra. Bolsonaro lo chiama spesso “Nove dita”.

Senza rancore

A Lula piace ascoltare molte opinioni prima di prendere una decisione. È bravo a rimanere nel vago e sa muoversi tra poveri, banchieri e re senza sembrare un impostore. Ha “una personalità multipla”, dice Morais, che sottolinea anche la sua capacità di non serbare rancore. Neanche il periodo in carcere ha cambiato il suo carattere. “Sa stringere alleanze con gli ex nemici più della maggior parte delle persone che conosco”, dice.

Basta guardare chi ha scelto come compagno di viaggio. Il suo vicepresidente sarà Geraldo Alckmin, ex avversario alle presidenziali del 2006, un politico di centrodestra che aveva detto di lui: “Dopo aver rovinato il paese, Lula vuole tornare al potere, sulla scena del crimine”.

Lula è anche testardo. Era ancora in carcere quando affermava: “Uscirò da qui per candidarmi alla presidenza della repubblica”. Quando è stato arrestato, nel 2018, pensava che sarebbe uscito in pochi giorni. Invece è rimasto in prigione per diciannove mesi. Un tempo sufficiente per scrivere centinaia di lettere alla sua fidanzata Rosângela da Silva, Janja, 55 anni, che ha sposato da poco, e di leggere come mai in vita sua. Quelle letture “hanno dato consistenza ai suoi princìpi e obiettivi”, dice Morais. Non digerisce alcune questioni della modernità, come l’uso dei telefoni cellulari. E s’infastidisce particolarmente quando qualcuno guarda il telefono durante una riunione.

È un leader ammirato all’estero. L’ex presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha detto di lui, parlando informalmente al G20: “Adoro quest’uomo. È il politico più popolare del mondo”. Quando ha lasciato la presidenza, nel 2010, aveva un indice di gradimento dell’87 per cento, come lui stesso ama ricordare. Dopo aver girato ovunque da ex presidente, è finito nella palude dell’inchiesta di corruzione lava jato. È molto amato e altrettanto odiato, anche se dopo l’arresto e il carcere il risentimento verso di lui e il Pt si è in parte attenuato. La vita gli ha riservato prove difficili: la prima moglie morì insieme al bambino che aspettavano. La seconda, Marisa Letícia, è morta nel 2017. Lula si è ammalato di tumore alla laringe ed è guarito.

Riscrivere la storia

Ama il calore dei comizi e il contatto diretto con la gente. Ma nessuno si ricorda di averlo visto intento in attività terrene come andare al supermercato, al cinema, al ristorante o allo stadio del Corinthians, la squadra di São Paulo per cui Lula tifa e che negli anni ottanta era guidata dal calciatore Sócrates (famoso per l’esperimento della democrazia corinthiana).

Prima di essere arrestato nel 2018, Lula giocava ancora qualche partita a calcio con gli amici e il sabato organizzava un barbecue a casa sua con i vecchi compagni che si erano opposti alla dittatura militare a colpi di scioperi. Ora si dedica solo alla politica. In campagna elettorale è sempre stato accompagnato dalla moglie e ha ripetuto che la sua missione era sconfiggere Bolsonaro, salvare la democrazia e tornare al potere per “includere di nuovo i poveri nel bilancio e far sì che tutti i brasiliani possano mangiare tre volte al giorno”.

Il nuovo presidente sa bene che lo aspetta una sfida difficile, perché il contesto internazionale è cambiato rispetto ai primi anni duemila, quando il paese poteva contare sul boom delle materie prime. “È per questo che faccio ginnastica ogni giorno”, ha detto. Per servire il Brasile. E riscrivere la sua storia . ◆ fr

Da sapere
Transizione delicata

◆ Il 30 ottobre 2022 Luiz Inácio Lula da Silva, del Partito dei lavoratori (sinistra), è stato eletto presidente con il 50,9 per cento dei voti. Il leader uscente di estrema destra, Jair Bolsonaro, ha ottenuto il 49,1 per cento delle preferenze. Con la sua elezione le maggiori economie dell’America Latina saranno guidate da governi di sinistra: Alberto Fernández in Argentina, Gustavo Petro in Colombia, Gabriel Boric in Cile e Andrés Manuel López Obrador in Messico. Dal 31 ottobre in ventidue stati del Brasile ci sono centinaia di blocchi stradali di camionisti e sostenitori di Bolsonaro. Decine di voli sono stati cancellati. Il presidente uscente ha parlato solo il 1 novembre, due giorni dopo il voto. Non ha condannato le proteste dei camionisti e non ha nominato espressamente Lula, ma il suo portavoce ha detto che comincerà il processo di transizione. Tra i principali problemi che Lula dovrà affrontare dal 1 gennaio 2023 c’è la fame, che oggi colpisce più di trenta milioni di brasiliani.


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Questo articolo è uscito sul numero 1485 di Internazionale, a pagina 18. Compra questo numero | Abbonati