Il rito si ripete spesso durante i mesi più freddi a Chico, nella California del nord. La polizia arriva tra le nove e mezzogiorno di un martedì, forse nella speranza di sorprendere le persone mentre sono ancora in casa. Le “case” sono tende di fortuna coperte da teli cerati, tese tra i pini, fissate alle staccionate o nascoste sotto i viadotti della superstrada. I poliziotti leggono ordini a voce alta e distribuiscono volantini: avete 72 ore per portare via i vostri effetti personali o saranno distrutti. Prima che scada il termine, dei volontari arrivano sul posto con rimorchi e camion per dare una mano. Gli sfollati caricano biciclette, borse frigo e gatti, infilano i vestiti nelle valigie, in cesti di plastica per la biancheria o in sacchi della spazzatura e partono alla ricerca di un nuovo posto dove accamparsi in questa caotica cittadina della Sacramento valley. Dopo qualche giorno o qualche settimana la polizia torna, e le spietate operazioni di sgombero ricominciano.

Ad aprile del 2021 gli sgomberi di Chico sono stati duramente criticati da un giudice federale, che ha accusato la città di violare la legge che la obbliga a garantire un adeguato riparo alle persone senza fissa dimora. In California la mancanza di alloggi popolari è un problema da tempo – particolarmente grave a Los Angeles e a San Francisco – ma la cittadina universitaria di Chico si distingue per la sua crudeltà. Di recente l’American civil liberties union ha criticato la città per non aver “provveduto ai bisogni della popolazione senza fissa dimora, approvando ordinanze che criminalizzano i comportamenti di chi cerca di sopravvivere”.

Alla vicenda si aggiunge un aspetto distopico: secondo uno studio del Butte countywide homeless continuum of care, circa un quarto degli abitanti senza fissa dimora di Chico ha perso la casa nel Camp fire, il grande incendio che nel 2018 ha raso al suolo la città di Paradise e ucciso 85 persone. La guerra ai senzatetto di Chico rischia di essere la triste anticipazione di un futuro autoritario, in cui le vittime dei disastri provocati dal cambiamento climatico saranno trattate come rifiuti umani da chi, grazie alla propria ricchezza, sarà riuscito temporaneamente a sfuggire alle conseguenze più drammatiche del riscaldamento globale.

Due anni e mezzo fa, quando la regione è stata colpita dal più devastante incendio nella storia della California, in pochi potevano immaginare che Chico sarebbe diventata l’epicentro della repressione contro i poveri. La città era finita sulle prime pagine dei giornali per la generosità con cui aveva dato ospitalità a migliaia di sfollati. Erano state create aree di accoglienza, con il parcheggio di Walmart trasformato in un enorme accampamento con tanto di mensa; gli abitanti di Chico avevano donato tende e sacchi a pelo, i volontari avevano servito pasti caldi e gli studenti dell’università avevano organizzato attività per i bambini di Paradise. Molti residenti avevano aperto le loro case a dei perfetti sconosciuti. In quei giorni Mark Stemen, professore di geografia della California state university (Csu) di Chico, scriveva: “Uno tsunami di fuoco e terrore è sceso dalla collina di Paradise”, ma “lo tsunami è stato soffocato da una coperta di amore e conforto”.

Una brutale repressione

Ho scritto per la prima volte di Chico quando la città ha presentato il suo new deal verde, un piano promosso da Alex Brown, all’epoca vicesindaca, sviluppato con un gruppo di esperti del clima della Csu e sostenuto dagli attivisti locali per il clima. Come il piano nazionale a cui era ispirato – quello proposto dalla deputata democratica Alexandria Ocasio-Cortez – il programma di Chico elencava una serie di obiettivi per ridurre le emissioni di anidride carbonica, un piano per l’edilizia residenziale, un sistema alimentare sicuro e sostenibile, investimenti in trasporti puliti e la creazione di posti di lavoro in settori sostenibili.

L’esperimento era particolarmente urgente. Subito dopo l’incendio la popolazione di Chico era passata da centomila a 120mila abitanti. Per di più già da anni Chico non riusciva a garantire alloggi a prezzi accessibili ai suoi residenti, molti dei quali erano finiti a vivere nei parchi e nelle strade. Anche per questo la contea di Butte, dove si trovano Chico e Paradise, aveva dichiarato lo “stato di emergenza” abitativo già un mese prima dell’incendio, che poi ha causato altri 50mila sfollati.

Era chiaro che, senza nuove politiche abitative e per i trasporti, Chico non sarebbe riuscita a mantenere viva l’ondata iniziale di solidarietà. In un’intervista Brown spiegava che in un’era di sconvolgimenti climatici dobbiamo aspettarci che aumenteranno le persone costrette a spostarsi da una comunità all’altra. Anche per questo il suo piano prevedeva investimenti per gli alloggi popolari. Per Brown, l’impatto dell’incendio sia a Paradise sia a Chico dimostrava il bisogno urgente di costruire “comunità in grado di rispondere meglio a questi cambiamenti. Possiamo dimostrare come funziona un new deal verde a livello locale”.

Tutto questo succedeva a novembre del 2019. Un anno dopo Chico, con il suo giro di vite contro i senzatetto nel pieno di una pandemia e durante una serie di catastrofi ambientali, sta dimostrando una cosa diversa: cosa succede quando alla crisi climatica si aggiunge una bolla immobiliare e un’infrastruttura sociale indebolita da decenni di austerità. Non solo: la vicenda di Chico è la dimostrazione di cosa succede quando un piano locale per la giustizia climatica non viene sostenuto dal governo federale.

La combinazione di fattori che ha provocato la crisi a Chico non riguarda solo la California del nord. Dopo anni di tagli ai programmi sociali e di finanziamenti a pioggia alla polizia, molte comunità sono troppo fragili per assorbire uno shock di grandi dimensioni, soprattutto per quanto riguarda gli alloggi e l’assistenza a chi ha problemi mentali. Senza nuovi strumenti, ogni difficoltà diventa subito una questione di “sicurezza pubblica”.

Dal mio articolo su Chico, un anno e mezzo fa, questa vicenda ha preso una piega ancora più sgradevole. Il consiglio comunale, a maggioranza democratica, ha faticato ad attuare i provvedimenti del new deal verde di Brown. Con Donald Trump ancora alla Casa Bianca e il senato a maggioranza repubblicana che si opponeva a qualsiasi spesa per il clima, è stato impossibile ottenere finanziamenti.

Poi è arrivato il covid-19, che ha messo tante persone della contea di Butte in una condizione di sofferenza economica e sociale. Stemen dice che prima della pandemia gli attivisti stavano per organizzare una grande manifestazione per un “nuovo decennio verde”. “Avevamo gli striscioni, i cartelli ed eravamo pronti a entrare in azione”, racconta. Poi è stato imposto il lockdown, e i cartelli sono rimasti per mesi accatastati nel suo cortile. “Non c’era più spazio per discutere di progetti per il futuro, perché dovevamo affrontare una serie di crisi immediate”. Tra la fine di agosto e l’inizio di settembre del 2020, un altro incendio si è abbattuto sulla zona, riducendo in cenere due città e provocando altri sfollati. La città ha messo a disposizione alcune camere d’albergo per le persone anziane e più vulnerabili al covid-19, ma non c’era spazio sufficiente per tutti quelli che avevano bisogno di un riparo.

In questi due anni e mezzo di crisi, a Chico i prezzi delle case sono aumentati ancora. Dopo l’incendio c’è stato un picco della domanda provocato dagli sfollati di Paradise e dai lavoratori impegnati nella ricostruzione, che hanno spinto al rialzo gli affitti, trasformando Chico in uno dei mercati immobiliari più attivi del paese. Da allora il boom non si è mai fermato, ma negli ultimi tempi è stato alimentato soprattutto dall’arrivo di persone da San Francisco: lavoratori che hanno scelto di continuare a lavorare a distanza e pensionati che vogliono riposarsi in una comunità tranquilla e non troppo costosa. Secondo l’associazione degli agenti immobiliari della California, nel 2020 il prezzo medio di una casa unifamiliare nella contea di Butte è aumentato del 16,1 per cento, soprattutto per via del boom immobiliare a Chico.

Paradise dopo l’incendio Camp fire, febbraio 2019  - Justin Sullivan, Getty Images
Paradise dopo l’incendio Camp fire, febbraio 2019  (Justin Sullivan, Getty Images)

In una zona in cui è ancora vivo il ricordo della febbre dell’oro (ogni anno Paradise organizza una festa chiamata Gold nuggets days, le giornate delle pepite d’oro, e incorona la sua Miss pepita d’oro), gli immobiliaristi e le imprese edili hanno guadagnato molto investendo negli immobili di lusso. “Arrivano con i soldi in mano e si piazzano qui”, dice Katy Thoma, presidente della camera di commercio di Chico, parlando delle persone che arrivano dalle grandi città. I prezzi delle case, sia di quelle esistenti sia di quelle in costruzione, stanno schizzando alle stelle. Brown spiega che la città sta “puntando su appartamenti di lusso e case unifamiliari con cinque vani per chi arriva dall’area di San Francisco”.

È un problema non solo per i residenti con un reddito medio-basso, che rischiano di essere sfrattati dalla loro comunità, ma anche per il clima: molti dei nuovi arrivati, infatti, andranno a ingrossare ulteriormente la flotta dei “superpendolari” che passano ore in macchina per raggiungere le sedi delle loro aziende, peggiorando il problema delle emissioni dovute ai trasporti in California, che già nel 2019 pesavano per il 40 per cento del totale ed erano in costante aumento.

Affitti alle stelle

A Chico la crisi abitativa è cominciata prima del Camp fire. Secondo un rapporto commissionato dalla città, tra il 2014 e il 2019 sono state costruite 2.724 nuove unità abitative destinate a residenti con un reddito “sopra la media”. Nello stesso periodo, le nuove unità abitative per i residenti a basso reddito sono state solo quindici. Questo è dovuto in buona parte al piano regolatore, che favorisce le case unifamiliari rispetto ai palazzi con molti appartamenti. Ma anche al fatto che i complessi condominiali a prezzi popolari non offrono grandi margini di profitto. Di recente a Chico è stato approvato un piano per la costruzione di palazzine a sei piani per gli abitanti più poveri, ma il terreno su cui dovevano sorgere è stato messo in vendita a cinque milioni di dollari. “Molti fattori spingono al rialzo i prezzi degli immobili residenziali”, scrivono gli attivisti locali che si battono per il diritto alla casa. “Tra questi ci sono le pretese eccessive dei proprietari dei terreni, che vogliono speculare”.

Dopo l’incendio di Paradise, Jessie Mercer, un’artista locale, ha raccolto 18mila chiavi di case, chiese, aziende e automobili distrutte dalle fiamme e le ha fuse per creare una grande fenice. L’opera è stata svelata il giorno dell’anniversario della catastrofe. L’immagine ha fatto il giro del mondo. Quella sarebbe stata Paradise, pensavano in molti: una fenice trionfante che risorge dalle sue ceneri.

La mappa con le aree più vulnerabili ai cambiamenti climatici negli Stati Uniti L’intensità dei colori mostra il livello di rischio: basso (più chiaro), alto (più scuro) - fonte: the new york times
La mappa con le aree più vulnerabili ai cambiamenti climatici negli Stati Uniti L’intensità dei colori mostra il livello di rischio: basso (più chiaro), alto (più scuro) (fonte: the new york times)

Purtroppo non è andata così. Le strade dei sopravvissuti all’incendio si sono separate. Le famiglie della classe media sono riuscite quasi tutte a superare l’emergenza e a ripartire. Nonostante gli avvertimenti sul pericolo di incendi, centinaia di famiglie sono tornate a Paradise e – grazie ai soldi dell’assicurazione – si sono costruite case più spaziose di quelle distrutte dall’incendio. Altri hanno venduto i terreni ai costruttori e si sono stabiliti in zone vicine dove il rischio di incendi è minore, come Chico. Ma a Paradise vivevano anche molte persone povere, spesso in appartamenti e case mobili in affitto senza assicurazione. Dopo essere stati sgomberati dal parcheggio di Walmart per non intralciare lo shopping del giorno del ringraziamento, molte di loro non hanno più trovato una sistemazione stabile e sono state costrette a fare il giro dei dormitori di Chico per poi spostarsi nei parchi e lungo i fiumi, mischiandosi alle altre persone e famiglie senza fissa dimora della città.

Quando è arrivato il covid-19, il consiglio comunale ha ordinato alla polizia di lasciare in pace le persone che si erano accampate in città, perché gli sgomberi avrebbero aumentato il rischio di diffusione del virus. Ma le autorità non hanno messo a disposizione abbastanza alloggi temporanei con servizi di base sanificati né un’area campeggio autorizzata, come hanno fatto molte altre amministrazioni. Nel frattempo veniva introdotto un programma di scambio di siringhe per affrontare la crisi legata all’epatite C. Gli attivisti per il diritto alla casa denunciano che dopo il blocco degli sgomberi i poliziotti – molti dei quali sono contrari alle misure di riduzione del danno per i tossicodipendenti – si sono di fatto messi in sciopero, rifiutandosi di far rispettare anche le regole minime della convivenza, come l’obbligo di tenere i cani al guinzaglio.

Questo ha portato allo scontro con i residenti della classe media di Chico, per i quali una passeggiata, una corsa o un giro in bicicletta nel parco sono state l’unica forma autorizzata di svago per lunghi tratti della pandemia. La frustrazione per i nuovi problemi – gli animali domestici, la spazzatura e le siringhe – unita alla rabbia per il lockdown, ha contribuito a far peggiorare il clima nei parchi di Chico.

È in questo contesto che, prima delle elezioni del 2020, un comitato civico formato dalla borghesia locale, chiamato Cittadini per la sicurezza di Chico, ha dichiarato guerra ai senzatetto, definiti “vagabondi” violenti e drogati. Con 250mila euro di fondi a disposizione, durante la pandemia il comitato ha pubblicato video sensazionalistici e intervistato imprenditori arrabbiati per dimostrare che la città stava andando in rovina. Secondo i documenti consultati da The Intercept, quasi tutti i principali finanziatori (aziende e singoli cittadini) del comitato hanno legami con il settore immobiliare o edilizio.

In tutta la città sono spuntati lapidi e murales per ricordare le vittime

La campagna è stata un successo. Il 3 novembre 2020, mentre il paese votava per cacciare Donald Trump dalla Casa Bianca, il consiglio cittadino di Chico è passato nelle mani dei repubblicani. Brown ha conservato il seggio ma ha perso la carica di vicesindaca. È stata sostituita da Kasey Reynolds, proprietaria di una gelateria e pasticceria locale che in campagna elettorale regalava gelati con lo slogan “Per una Chico dolce e sicura”. La sua “ricetta” – bilancio in pareggio, sostegno alla polizia e “repressione del vagabondaggio criminale” – le è valsa il soprannome di “gelataia fascista” (lei rifiuta categoricamente l’etichetta). Il primo provvedimento del nuovo consiglio è stato ordinare alla polizia di sgomberare i senzatetto dai parchi. E poi sgomberarli ancora. E ancora.

Cuori duri come le case

La maggior parte degli sfollati non è vittima dell’incendio. Molti sono sopravvissuti a catastrofi più private e meno improvvise: debiti per spese mediche, violenza domestica, malattie mentali gravi. Alcuni, che hanno perso la casa per l’impennata del costo degli affitti, sono stati colpiti dall’incendio in modo indiretto. Altri, invece, sono passati direttamente dalle fiamme alla strada. Secondo uno studio fatto poco prima del lockdown, il 23 per cento dei senzatetto della contea di Butte ha perso la casa durante il Camp fire.

Tra loro c’è Jamie Jamison, che si è accampato a Chico sulla riva di un fiume. “Siamo tutti in difficoltà, proviamo ad afferrare il nostro capo della corda e tirare”, ha detto Jamison a un giornalista locale. “Abbiamo bisogno di viveri, medicine, aiuti economici e assistenza dal governo, viviamo una catastrofe”.

Adrianna Marciella Orozco e Kaleb Ne​lson nella loro casa mobile a Chico, l’8 dicembre 2018 - Max​ Whittaker, The New York Times/Contrasto
Adrianna Marciella Orozco e Kaleb Ne​lson nella loro casa mobile a Chico, l’8 dicembre 2018 (Max​ Whittaker, The New York Times/Contrasto)

Molti di questi sopravvissuti di Paradise hanno ricevuto abiti, tende e sacchi a pelo dai residenti di Chico, ma dopo la prima ondata di solidarietà la polizia ha minacciato di buttare tutto nelle discariche. È una situazione che solleva questioni scomode. Gli esperti di prevenzione degli incendi parlano del bisogno di “indurire” gli edifici contro le fiamme, estirpando la vegetazione troppo vicina alle pareti esterne o sostituendo i tetti di legno con materiali come la terracotta o la ceramica. Ma a Chico sembra che si stiano indurendo anche i cuori, e questo non lascia presagire nulla di buono per le catastrofi future.

Quando ho chiesto a Addison Wins­low, attivista per il diritto alla casa, perché l’atteggiamento verso i senzatetto è cambiato così rapidamente, mi ha spiegato che il comitato civico ha preso di mira la solidarietà che c’è stata dopo l’incendio. Parlava di “compassione tossica”: il tentativo di prestare aiuto, secondo il comitato, aveva “incoraggiato” una “cultura” di dipendenza dalle droghe e campeggio libero. In base a questa logica, vietando i campeggi e tagliando i programmi per la distribuzione di siringhe pulite, le persone troverebbero posti letto e cure adeguate per le malattie mentali e le dipendenze. È un ragionamento simile alla teoria della “deterrenza” applicata al confine con il Messico: se sono trattate con un minimo di umanità, le persone si sentono incoraggiate a mettersi in viaggio verso gli Stati Uniti, rischiando la vita; quindi la crudeltà è la vera compassione.

Come succede al confine, il giro di vite a Chico ha conseguenze letali. In tutta la città sono spuntati lapidi improvvisate e murales per ricordare le vittime. Gli attivisti locali per il diritto alla casa stimano che almeno venti persone senza fissa dimora siano morte in città in meno di un anno. Alcune per la strada, altre in ospedale o nei dormitori temporanei.

Uno di loro, un uomo di trent’anni sopravvissuto all’incendio di Paradise, è morto sotto una raffica di proiettili sparati dalla polizia. Stephen Vest viveva per strada e aveva problemi di dipendenza e salute mentale. Secondo gli amici aveva cercato di farsi aiutare, ma i servizi sociali di Chico erano oberati. A ottobre del 2020 ha avuto una crisi psicotica ed è entrato in un negozio di animali armato di un coltello. Sono arrivati tre agenti di polizia e hanno provato a tramortirlo con un taser. Poi gli hanno sparato undici volte.

Forse è eccessivo dire che Vest è stato in qualche modo una vittima dell’incendio di due anni prima. Ma gli eventi non sono completamente scollegati. Come ha detto al giornale britannico Guardian Laura Coot­sona, direttrice generale dell’associazione non profit Jesus center, “le calamità naturali causano il vagabondaggio, soprattutto in California. Colpiscono principalmente chi è già in difficoltà e paga troppo per la casa”. Alcuni perdono la casa per colpa di incendi e alluvioni provocate dalla crisi climatica; altri la perdono dopo, vittime della gentrificazione climatica.

La storia che ritorna

La guerra di Chico ai senzatetto è diventata così feroce che molte persone prese di mira hanno fatto causa alla città per i suoi “metodici sforzi volti a sgomberare le tendopoli e a confiscare i beni”, ottenendo un’ingiunzione temporanea contro gli sgomberi. A inizio maggio un giudice federale di Sacramento ha prolungato il divieto, sostenendo che la campagna della città per cacciare i senzatetto dai parchi e da altri spazi pubblici è in contrasto con i precedenti giuridici e forse anche con la costituzione. Il giudice ha citato un precedente del 2018, quando un tribunale ha stabilito che le amministrazioni locali non possono impedire alle persone senza fissa dimora di accamparsi o di dormire sul suolo pubblico a meno di non offrire alternative come dormitori pubblici o aree campeggio autorizzate. Dicendosi “sconvolto per dove siamo arrivati”, il giudice ha detto all’avvocato della città: “State criminalizzando la gente solo perché non ha un posto dove vivere”. Poi ha invitato le parti a incontrarsi per trovare una soluzione. Indifferente alle sollecitazioni del giudice, il consiglio comunale ha subito respinto una mozione per trovare spazi da destinare ai campeggi autorizzati.

La mozione era stata presentata dal consigliere Scott Huber. Secondo lui, il vero obiettivo della repressione non è incoraggiare i senzatetto ad andare nei dormitori ma rendergli la vita impossibile, in modo che siano “talmente stanchi o talmente malati che alla fine se ne vanno o muoiono”. Winslow è convinto che sia tutto collegato al boom del mercato immobiliare e al tentativo di trasformare Chico in una “enclave di lusso” per i professionisti delle grandi città in cerca di una migliore qualità della vita. I poveri senza fissa dimora di Chico, regolarmente etichettati come “vagabondi” e criminali, sono semplicemente d’intralcio.

Meders-Knight vuole reintrodurre le pratiche indigene di gestione del territorio

Per i nativi mechoopda, una popolazione che storicamente ha vissuto nella zona dove oggi sorge Chico, questa situazione ricorda un passato doloroso. A metà dell’ottocento, quando migliaia di coloni arrivarono in California in cerca di oro, le tribù indigene come i mechoopda erano considerate un ostacolo alla ricchezza. Incoraggiate dal governo, le milizie bianche razziarono i villaggi indigeni e massacrarono i loro abitanti, a cui spesso strappavano parti del corpo che poi vendevano. Secondo molti storici, quello che successe in California in quel periodo corrisponde alla definizione internazionale di genocidio, dato che l’obiettivo spesso esplicito era lo sterminio dei “diavoli rossi”.

Un modo molto efficace per cacciare i nativi dalle loro terre consisteva nel definirli “vagabondi”. Lo storico James Rawls spiega che in quel periodo “qualsiasi persona bianca poteva denunciare per vagabondaggio un nativo che stava solo passeggiando. Il giudice poteva poi far arrestare il nativo e ordinare che fosse messo in vendita a un’asta pubblica. Il compratore poteva avvalersi della sua manodopera per quattro mesi senza pagarlo”.

Ho chiesto ad Ali Meders-Knight, rappresentante della tribù mechoopda, ecologa e attivista, cosa pensasse della crociata del consiglio comunale contro i nuovi “vagabondi”. È andata su tutte le furie, e non solo perché gli indigeni sono sovrarappresentati tra le persone senza fissa dimora. Parlando della polizia mi ha detto: “Avete già fatto la stessa cosa con i miei antenati. Li avete strappati da quei fiumi. Questi luoghi sono stati l’epicentro dello sterminio dei nativi”. L’eco delle rimozioni del passato, dice, è impossibile da ignorare. “Ho sentito gente dire dei senzatetto di Chico: ‘Caricateli sui treni e spediteli nel deserto’. Il linguaggio è quasi lo stesso. C’è una storia dietro. E non è cominciata con il Camp fire. È cominciata nel 1850”.

Katy Thoma, presidente della camera di commercio di Chico, sembra fare di tutto per dare ragione a Meders-Knight. A febbraio ha rilasciato delle dichiarazioni brutali: “Ogni mattina dovevamo scavalcare qualcuno per entrare in ufficio. Da un punto di vista operativo non va bene che dormano davanti alla porta d’ingresso di una casa mettendo a repentaglio la capacità di chi ci abita di lavorare e guadagnare”. Quando è stato trovato il corpo di un senzatetto vicino alla camera di commercio, Thoma ha detto che è stato “molto traumatico”.

La posizione di Thoma naturalmente non rappresenta tutta la città di Chico, che ha una vasta comunità progressista, per gran parte di origine operaia. Dopo aver trovato un cadavere davanti a casa sua, Heather Bonea ha scritto un post su Facebook riflettendo sullo stato della sua città: “Ieri un uomo è morto a meno di quindici metri dalla mia porta. Si è sdraiato di notte sotto le grondaie di una chiesa con solo un paio di scarponi pesanti e una coperta. Non si è mai svegliato. È morto alle prime ore del mattino ed è rimasto lì fino al pomeriggio, quando qualcuno se n’è accorto. È sbagliato da tutti i punti di vista possibili. Ripensandoci, avrei potuto portargli almeno un sacco a pelo. Prima o poi dovremo fare i conti con le atrocità che commettiamo, non importa se per ignoranza, negligenza, pigrizia o violenza”.

Niente fiori a maggio

Reazioni come queste portano Alex Brown a pensare che forse c’è ancora speranza. La città che ha accolto i superstiti dell’incendio di Paradise con una “coperta d’amore” c’è ancora, sotto la retorica della durezza e del cinismo. Brown dice che i cittadini hanno votato per la promessa di pulizia e sicurezza, ma dopo aver visto che questi obiettivi vengono perseguiti a scapito dei diritti delle persone, molti “non riescono più a voltarsi dall’altra parte”. Vogliono ancora che i parchi e i fiumi siano puliti, ma chiedono anche case popolari e programmi per aiutare le centinaia di persone che sono rimaste indietro. Il problema, a Chico come in tante altre comunità, è che le persone sono provate da una serie interminabile di disastri: il covid-19, gli incendi, i licenziamenti. Jessie Mercer, l’artista che ha realizzato la scultura della fenice, dice che oggi la città non somiglia per niente al mitico uccello che risorge dalle sue ceneri. E purtroppo non ci sono motivi per sperare che le cose migliorino, almeno a breve. Dopo una primavera torrida con relativa siccità, buona parte del nordovest degli Stati Uniti si sta preparando all’ennesima catastrofica stagione di incendi.

“Ci risiamo”, mi ha scritto in un’email Mark Stemen, il professore di geografia, dopo che il servizio meteorologico nazionale ha decretato l’allerta meteo con “bollino rosso” per la zona di Chico e Paradise. I bassi livelli di umidità e i forti venti hanno creato “condizioni meteorologiche che potrebbero favorire gli incendi”. Stemen dice che per quanto ricorda non c’è mai stata un’allerta meteo con bollino rosso “così presto”. L’oggetto della sua email era “niente fiori a maggio”.

In un contesto del genere, sostiene Stemen, servono politiche intelligenti per sostenere la solidarietà sociale dopo lo shock iniziale provocato da una calamità. Secondo lui le divisioni di Chico sono il frutto di un duplice fallimento del sistema: da una parte l’incapacità di affrontare il cambiamento climatico come una vera crisi e quindi di ridurre radicalmente le emissioni; dall’altra, il mancato sostegno a comunità che sono in prima linea nel processo di migrazione prodotto dalla crisi climatica.

Paradise, novembre 2018 - Mason Trinca, The Washington Post/Getty Images
Paradise, novembre 2018 (Mason Trinca, The Washington Post/Getty Images)

“Dobbiamo modernizzare le case per renderle a prova di incendio e sfoltire gli alberi intorno alle comunità boschive”, dice. “Ma devono essere coinvolte anche le città a valle, che sono la meta dei rifugiati del clima”. Secondo Stemen, bisogna investire in alloggi popolari e in assistenza alla salute mentale per assorbire i traumi di calamità sempre più frequenti. Inoltre serviranno finanziamenti costanti per le attività di mutuo soccorso, che tendono a moltiplicarsi durante il picco di una crisi ma poi si riducono. Winslow, che ha lavorato a stretto contatto con la comunità dei senzatetto della città, dice che la cosa più importante è costruire in tempi rapidi alloggi popolari, rimuovendo i vincoli regolatori e le barriere urbanistiche che favoriscono le case unifamiliari rispetto alle strutture con molti appartamenti. E siccome sappiamo che né il covid-19 né il Camp fire saranno gli ultimi disastri in California, bisogna costruire in modo che le comunità abbiano un cuscinetto in grado di assorbire il colpo quando, inevitabilmente, arriverà la prossima ondata di sfollamenti.

Cambiamento di sistema

È un’emergenza che non riguarda solo Chico. Gli incendi, gli uragani, l’innalzamento del livello dei mari e i mancati raccolti stanno già causando migrazioni in molte zone del mondo. Prevedere l’impatto dei cambiamenti climatici sulle migrazioni è difficile, perché molto dipenderà da quanto riusciremo a ridurre le emissioni nei prossimi dieci anni. Ma anche nella migliore delle ipotesi, l’innalzamento del livello dei mari e le inondazioni costringeranno milioni di persone a spostarsi. Capire come assorbire questi spostamenti improvvisi di persone in modo dignitoso – senza preoccuparsi se fuggano da un uragano in Honduras o da un incendio a Paradise – è una delle sfide fondamentali della nostra epoca. Daniel Aldana Cohen, assistente di sociologia all’università della Pennsylvania ed esperto di bioedilizia, sostiene che “ci sarà un’altra grande migrazione. Dove si sposterà la gente? Come fare per rendere gli spostamenti meno traumatici?”. In altre parole: come facciamo a ridurre in tempi rapidi le emissioni di anidride carbonica e gli stress sociali, tutto nello stesso momento?

Il tentativo di rispondere a queste domande è al centro di una serie di proposte di legge e risoluzioni sul new d eal verde presentate da alcuni deputati di sinistra al congresso statunitense. L’obiettivo è spingere il presidente Joe Biden ad aumentare gli investimenti nelle infrastrutture, ad affidarsi sempre meno a meccanismi di mercato come i crediti d’imposta e sempre di più alle sovvenzioni dirette alle comunità, e ad allargare la definizione di infrastrutture a tutte le forme di sostegno sociale che incoraggiano la solidarietà e scoraggiano la criminalizzazione.

Il deputato Jamaal Bowman ha presentato, insieme alla senatrice Elizabeth Warren, una proposta per destinare grandi somme all’assistenza per la salute mentale e a tutte le forme di assistenza e sostegno sociale. Secondo Bowman, “queste spese sono una parte fondamentale dell’intervento contro la crisi climatica, perché sono essenziali per affrontare gli effetti sanitari del riscaldamento globale”.

Nell’ambito del loro new deal, la deputata Alexandria Ocasio-Cortez e il senatore Bernie Sanders hanno proposto di spendere più di cento miliardi di dollari per modernizzare gli edifici di proprietà del governo sparsi per il paese, a lungo trascurati. Pur concentrandosi soprattutto sul patrimonio immobiliare esistente, la proposta favorirebbe anche la costruzione di nuove case popolari in comunità come Chico, dove questa esigenza è particolarmente sentita.

Ancora più importante, per posti come Chico, è il new deal verde per le città, presentato dalla deputata Cori Bush. Il progetto destinerebbe mille miliardi di dollari di finanziamenti alle amministrazioni locali che hanno presentato un new deal verde. Anche questa proposta dà la priorità agli alloggi popolari, e chiede alle amministrazioni locali di prendere delle iniziative per prevenire l’aumento dei costi degli alloggi, come “il controllo e la stabilizzazione degli affitti e altri metodi per evitare la gentrificazione e tenere sotto controllo il valore degli immobili”. Nel testo si specifica che i nuovi finanziamenti non potranno andare alle forze dell’ordine: esattamente il contrario di quello che sta succedendo a Chico, dove le autorità hanno lasciato crescere il costo degli alloggi e hanno affidato alla polizia il compito di gestire la crisi.

Un programma del genere avrebbe fatto la differenza a Chico? Brown è convinta di sì. “Le comunità locali hanno un disperato bisogno di soldi per poter davvero cambiare le cose”. La sua proposta per un new deal verde a Chico si è arenata, dice, “perché mancavano i finanziamenti necessari, mentre gli oppositori continuavano a ripetere che la spesa per le infrastrutture verdi è insostenibile”.

Nel frattempo sono già nate iniziative interessanti. Una è stata promossa da Ali Meders-Knight. Con la collaborazione di alcune agenzie statali e federali, l’attivista sta lavorando per reintrodurre le pratiche tradizionali indigene di gestione del territorio, come la coltivazione di piante native che si adattano al fuoco e alla siccità, e l’antica pratica del “fuoco culturale”: roghi controllati per evitare l’accumulo di vegetazione secca che aumenta la possibilità di incendi. Più di cento studenti sono stati formati alle pratiche ecologiche tradizionali in un programma creato in collaborazione con l’università. Il problema, osserva Stemen, è che si possono studiare tutti i programmi di lavoro ecologico possibili, ma se almeno alcuni di questi lavoratori non saranno coinvolti nella costruzione e nell’adeguamento degli alloggi popolari sostenibili, “molti di loro non avranno un posto dove vivere”.

È un test importante per Chico e per gli Stati Uniti. Parliamo di una comunità progressista in uno stato democratico guidato da un governatore sensibile ai temi ambientali, in un paese guidato da un presidente che ha promesso di combattere la crisi climatica e di creare posti di lavoro nell’economia verde. Se Chico non troverà il modo di risorgere dal disastro attraverso la lotta alle emissioni e alla povertà – oltre a riparare i torti storici – non so davvero chi potrà riuscirci. ◆ fas

Naomi Klein è una scrittrice e giornalista canadese. Il suo ultimo libro pubblicato in Italia è Il mondo in fiamme (Feltrinelli 2019).

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Questo articolo è uscito sul numero 1412 di Internazionale, a pagina 52. Compra questo numero | Abbonati