Il 26 febbraio il Partito democratico (Pd) ha compiuto un’inaspettata svolta a sinistra. Elly Schlein, 37 anni, una donna dichiaratamente bisessuale che otto anni fa aveva lasciato il partito, ha vinto le primarie ed è diventata la prima segretaria del Pd da quando è stato fondato nel 2007. Oggi molti occhi sono puntati su di lei, considerando il programma di estrema destra portato avanti dalla presidente del consiglio Giorgia Meloni.
Schlein ha vinto le primarie con un programma radicale su temi come la precarietà del lavoro, il salario minimo, il matrimonio tra persone dello stesso sesso e l’immigrazione. Per anni il Partito democratico ha affrontato solo a parole questi argomenti, senza mai dimostrarsi capace o interessato a impegnarsi in modo concreto. Per una forza d’opposizione è semplice essere critica, ma Schlein avrà a disposizione solo quattro anni per riorganizzare una sinistra divisa e fare passi avanti sui temi progressisti, in attesa delle prossime elezioni politiche.
La sconfitta del suo avversario alle primarie, Stefano Bonaccini, figura di spicco del Pd, è il segno dell’esasperazione degli elettori di centrosinistra nei confronti di una formazione di centro e moderata. Schlein si è presentata come un’outsider decisa a spostare il partito a sinistra, conquistando molti elettori delusi che da tempo avevano perso le speranze di trovare nel Pd il partito del cambiamento. Tra loro un tempo c’era anche Schlein. Dopo aver cominciato la sua carriera politica all’interno del movimento giovanile del Pd, ha mantenuto un rapporto conflittuale con il partito. Inizialmente considerata un talento da coltivare, è presto diventata una spina nel fianco per i dirigenti. Nel 2013 Schlein si è affermata come voce di #OccupyPd, un movimento nato per protestare contro quei democratici che cambiavano continuamente idea per opportunismo. Poco tempo dopo è uscita dal partito, per tornarci nel 2022. Alle primarie Schlein ha vinto mobilitando più di cinquecentomila non iscritti, a cui lo statuto del Pd permette comunque di scegliere il leader. La distanza tra l’offerta politica del partito e ciò che molti italiani vorrebbero dalla principale forza progressista del paese non sorprende, ora la segretaria dovrà convincerli che possono contribuire a reinventare il Pd. Affermando di voler dare la priorità al “contrasto a ogni forma di disuguaglianza, di lavoro precario, alla necessità di affrontare con massima urgenza l’emergenza climatica”, Schlein incarna un cambiamento potenziale nell’identità del partito, con il passaggio da una forza politica decisa a governare a ogni costo a una capace di fare opposizione.
Allargare la base
Il governo è quello più a destra nella storia della repubblica italiana e il Pd non ha mai vinto un’elezione dall’anno della sua fondazione. Pur avendo governato nel corso degli anni all’interno di una serie di coalizioni improbabili, non è mai stato capace di allargare la propria base elettorale: dai dodici milioni di voti del 2008 è passato ai 5,5 milioni del 2022. Schlein ha cominciato con il piede giusto, attaccando Meloni per la sua gestione dell’ennesima tragedia nel Mediterraneo, cosa che gli altri segretari del Pd avevano spesso evitato di fare.
Ma inevitabilmente sarà giudicata rispetto alla sua capacità di riportare i suoi al governo. La prima sfida sarà conquistare la base del partito, che ha votato in gran parte per Bonaccini. Per riuscirci dovrà fare delle concessioni importanti al potente gruppo interno che sostiene il presidente della regione dell’Emilia-Romagna. Intanto lo ha nominato presidente del Pd. Questo limiterà il margine di manovra della segretaria, una debolezza aggravata dal fatto che Schlein, pur sostenuta da alcune figure illustri del partito, si è iscritta solo in tempo per candidarsi alle primarie. Con pochi alleati e collaboratori rischia di trovarsi in balia di interessi interni. Chi la considera una minaccia allo status quo farà il possibile per sabotare qualsiasi spostamento a sinistra, usando la sua immagine pubblica per sfoggiare un cambiamento solo di facciata.
Oggi Schlein è nella difficile posizione di dover cavalcare il malcontento di chi le ha fatto vincere le primarie e allo stesso tempo di dover fare attenzione a non irritare chi per anni ha deciso e difeso la linea del partito. Per sua fortuna la segretaria è percepita come una figura interna ed esterna al sistema, anche se contraria alle sue dinamiche. Ma questo non durerà fino al prossimo appuntamento elettorale, visti gli ostacoli sul suo cammino. Il primo è legato alla composizione demografica dell’elettorato del partito. Le ultime elezioni hanno dimostrato che il Pd ha buoni risultati nelle grandi città e tra i più ricchi e istruiti. Per questo è considerato una forza che rappresenta una minoranza e che non riesce a convincere gli elettori dei piccoli centri e quelli con i redditi più bassi.
Schlein fa parte della classe media intellettuale contro cui è rivolta parte della rabbia populista. La sua storia personale – è nipote di un senatore italiano e figlia di due professori universitari – è stata strumentalizzata per dimostrare che è lontana dalle cause che ha promesso di difendere. È stata attaccata sia dalla destra sia dalla sinistra, anche con stereotipi antisemiti, e ritratta come paladina della sinistra liberale, interessata solo alle politiche identitarie e non alle difficoltà quotidiane. Per tornare a convincere un elettorato più vasto dovrà dimostrare di saper tener conto anche dei problemi considerati più reali da molti italiani.
Il secondo ostacolo è legato alla legge elettorale italiana, che obbliga a coalizzarsi per vincere le elezioni. Uno dei compiti più difficili per Schlein sarà gestire i rapporti con il Movimento 5 stelle e con i centristi, rappresentati da Matteo Renzi e Carlo Calenda. Nonostante il programma della segretaria sia più vicino ai cinquestelle che a Renzi, non è chiaro se le correnti centriste del Pd, tradizionalmente filoatlantiste, saranno disposte a un’alleanza con il partito guidato da Giuseppe Conte, contrario all’invio di armi in Ucraina.
In ogni caso non bisogna sopravvalutare la possibilità che una sola persona riesca a cambiare le cose. L’elezione di Schlein ha aperto un nuovo spazio per il dibattito su politiche tradizionalmente di sinistra, che oggi sono assolutamente necessarie. Fino a pochi mesi fa nessuno nell’ampio spettro della sinistra italiana avrebbe sognato di avere un’intelocutrice come lei, a prescindere dallo scetticismo che si possa avere nei suoi confronti. Le organizzazioni di base, i movimenti e i sindacati dovrebbero quindi cogliere questa occasione per dimostrare che la svolta a sinistra è indispensabile per convincere chi ha perso ogni fiducia nella democrazia partecipativa e per fermare la crescita della destra. ◆ as
Niccolò Barca è giornalista e fotografo.
Tommaso Grossi è un analista politico.
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Questo articolo è uscito sul numero 1509 di Internazionale, a pagina 32. Compra questo numero | Abbonati