Dieci anni fa Kamal Bhattarai è arrivato per la prima volta in Portogallo dal Nepal grazie a un visto. Non conosceva nessuno e non parlava portoghese. Per anni ha sbarcato il lunario facendo lavori saltuari nei ristoranti e nelle aziende agricole, nella speranza di costruire una nuova vita per sé e la sua famiglia. “Tutti vogliono andare via dal Nepal. C’è poco lavoro, le crisi politiche ed economiche sono frequenti e i giovani vogliono una vita migliore, con salari più alti. Chi lavora guadagna appena 200 euro al mese”, spiega Bhattarai.
Negli ultimi vent’anni la politica sull’immigrazione dello stato portoghese è stata estremamente liberale e ha rappresentato un’eccezione nell’Unione europea, attirando persone provenienti da tutto il mondo, compresa l’Asia meridionale. “Nel 2007 potevi entrare in Portogallo da turista e se trovavi lavoro era facile regolarizzare la tua posizione”, spiega Alberto Matos, un avvocato che si occupa dei diritti dei lavoratori immigrati per l’associazione Solidariedade imigrante.
Per Bhattarai e molti altri stranieri provenienti dall’Asia meridionale il Portogallo era l’unica via d’accesso all’Europa. “Quando sono arrivato, ho visto che molte persone del mio paese e altre immigrate da paesi vicini avevano grande difficoltà a integrarsi, a trovare una casa e ad affrontare la burocrazia”, racconta. Appena si è adattato alla vita nel nuovo paese, Bhattarai ha creato la Nialp, l’Associazione interculturale nepalese di Lisbona, con l’intenzione di aiutare i nuovi arrivati. “Gli immigrati hanno bisogno di un lavoro per sopravvivere e sostenere le famiglie rimaste a casa”, spiega. La sua associazione offre ai lavoratori dell’Asia meridionale corsi di portoghese gratuiti e assistenza sociale e legale.
Nel corso degli ultimi decenni molti giovani portoghesi sono andati in cerca di opportunità economiche migliori in altri paesi dell’Unione europea. Di recente i vuoti nel mercato del lavoro creati dall’emigrazione giovanile sono stati riempiti dai nepalesi, dagli indiani e dai bengalesi, che sono andati a lavorare nelle aziende agricole dell’Alentejo, con l’obiettivo di ottenere un passaporto portoghese dopo cinque anni di residenza. “Abbiamo lasciato il nostro paese esattamente come hanno fatto i giovani portoghesi. Anche se a qualcuno non sta bene che siamo qui, la verità è che stiamo rivitalizzando il Portogallo e portiamo molto denaro”, sottolinea un lavoratore nepalese che preferisce restare anonimo. “Il motivo principale per cui c’è stato un aumento degli immigrati in Portogallo è che il paese ne ha bisogno”, sottolinea Luis Pinheiro, ex capo dell’Agenzia per l’integrazione, la migrazione e l’asilo (Aima). Negli ultimi cinque anni gli stranieri che risiedono in Portogallo sono raddoppiati. Secondo gli studi del sito Infomigrants.net, le autorità di Lisbona ritengono che “più di 86mila cittadini dell’Asia meridionale abbiano regolarizzato la loro posizione tra il 2018 e il 2022”. Le statistiche della Commissione europea indicano che la manodopera straniera sta rafforzando l’economia portoghese. Nel 2022, si legge in un documento, “ottocentomila immigrati hanno versato più di un miliardo di euro nel sistema previdenziale, ricevendo circa 257 milioni. Il guadagno netto è stato di 1,6 miliardi di euro”.
Diritto di precedenza
Nel giugno 2024 la porta si è improvvisamente chiusa. Il governo portoghese di centrodestra, anche a causa della pressione esercitata dal partito di estrema destra Chega, ha modificato radicalmente le leggi sull’immigrazione, mettendo fine al meccanismo della “manifestazione d’interesse”, in base al quale i cittadini di paesi esterni all’Unione europea potevano venire in Portogallo senza un contratto di lavoro e, dopo aver effettuato un anno di pagamenti per la sicurezza sociale, potevano ottenere la residenza. Il quotidiano Público ha scritto che “chi viene da paesi come l’India, il Nepal e il Bangladesh sarà più colpito dalle modifiche”. Le nuove norme assegnano un diritto di precedenza a chi viene dai paesi lusofoni (dove si parla portoghese). “In Portogallo abbiamo bisogno di persone che ci aiutino a costruire una società più giusta e prospera”, ha dichiarato il primo ministro Luís Montenegro. “Ma non possiamo arrivare all’estremo opposto, aprendo le porte a tutti”.
I politici contrari a questo cambiamento, come il leader socialista Pedro Nuno Santos, sostengono che la fine del meccanismo della “manifestazione d’interesse” potrebbe creare gravi problemi per chi arriva senza un visto di lavoro, sottolineando che molti “potrebbero ritrovarsi in una situazione disumana senza via d’uscita”.
“Al momento ci sono almeno quattrocentomila persone, soprattutto immigrati indiani e nepalesi, in attesa del rinnovo del permesso di soggiorno. Vivono in condizioni precarie, perché i datori di lavoro li sfruttano: dal momento che non possono permettersi di perdere il posto, devono accettare qualsiasi abuso”, spiega Alexandra Pereira, ricercatrice dell’Università cattolica portoghese di Lisbona specializzata nei flussi migratori provenienti dal Nepal. “C’è una grande richiesta di manodopera, in modo particolare nelle aziende agricole del sud. Molte persone arrivano qui da altri paesi europei con visti scaduti. Sono impiegate nell’agricoltura, nel turismo e nell’accoglienza, ma ora non hanno alcuna possibilità di ottenere i documenti. In questo momento sono molto vulnerabili, perché il governo non ha specificato se il meccanismo sarà riattivato. L’ha sospeso senza fornire dettagli. Con il passare del tempo, però, è apparso evidente che non intende tornare indietro”, spiega Pereira.
Supermercati tedeschi
Il settore agricolo portoghese è in grande crescita, soprattutto grazie alla domanda in costante aumento di frutti rossi (per esempio, fragole, ciliege, lamponi, mirtilli rossi, ribes, bacche di Goji, more), la cui produzione è affidata principalmente agli immigrati dell’Asia meridionale. Nel 2023 le esportazioni di frutti rossi hanno raggiunto il valore di trecento milioni di euro, in gran parte per soddisfare la richiesta dei supermercati tedeschi e britannici. “Il Portogallo ha bisogno di molta manodopera in alcuni settori. I migranti continuano ad arrivare perché il loro contributo è necessario, ma ora gli asiatici sono in pericolo perché sono più esposti agli abusi dei trafficanti e dei criminali che gestiscono il loro arrivo in Portogallo, oltre che allo sfruttamento da parte delle imprese”, dice Pereira.
Secondo un avvocato che lavora con gli immigrati dell’Asia meridionale nel centro commerciale Mouraria, nel cuore di Lisbona, “le strutture governative non erano pronte a un aumento della domanda così sostanzioso. Negli ultimi due anni si è diffusa la notizia che in Portogallo era facile ottenere un permesso di soggiorno, ma per chi arriva oggi le cose sono molto diverse”. L’avvocato, che ha chiesto di mantenere l’anonimato, aggiunge che “per queste persone sarà molto difficile ottenere un visto, anche perché nelle ambasciate e nei consolati c’è una forte carenza di personale. La porta è chiusa, ma molti immigrati continuano a sentir parlare delle condizioni favorevoli del Portogallo anche se ormai è impossibile ottenere un passaporto”.
“Continueranno ad arrivare, ma la loro sofferenza non farà che aumentare. I datori di lavoro sanno che le persone arrivate dopo il 3 giugno 2024 non hanno diritto ai documenti, ma le ingannano consegnandogli documenti falsi”, spiega l’avvocato.
Molte agenzie che hanno uffici nel centro commerciale Mouraria continuano a ottenere enormi profitti imbrogliando i nuovi arrivati, a cui consegnano una documentazione insufficiente, convincendoli a comprare servizi di cui non hanno bisogno e illudendoli che sia ancora possibile regolarizzare la loro posizione. “Dato che ci sono migliaia di migranti in attesa del rinnovo dei permessi, queste agenzie promettono di sveltire il processo in cambio di 200-300 euro. Ma non è così, è una truffa”, spiega Pereira.
Matos dipinge un quadro della situazione sconfortante. Con l’entrata in vigore delle restrizioni aumenta il timore che si diffondano il lavoro nero e lo sfruttamento, perché le aziende agricole hanno un bisogno insaziabile di manodopera a buon mercato proveniente dall’Asia meridionale. “Sappiamo che il 23 per cento dell’economia portoghese è in nero”, sottolinea Matos. “Ma ora hanno chiuso le porte del meccanismo di regolarizzazione e hanno aperto quelle del mercato nero. Anche nelle ambasciate e nei consolati portoghesi non si riescono a gestire tutte le richieste. Per non parlare dell’attività delle bande criminali a New Delhi, Dhaka e Kathmandu”.
A New Delhi è impossibile ottenere un appuntamento per un visto, anche se la capitale indiana è l’unica città dove sono rilasciati visti anche per i nepalesi e i bengalesi (in Nepal e in Bangladesh non sono attivi servizi consolari). Tutto dev’essere fatto attraverso i mediatori, che chiedono centinaia o anche migliaia di dollari, approfittando dell’aumento delle richieste. Molti lavoratori arrivano in Portogallo pesantemente indebitati, perché hanno dovuto versare somme enormi per un visto turistico o di lavoro (molti hanno un visto europeo scaduto). “Mi dicono: ‘Ho pagato quindici o ventimila euro in India per venire in Portogallo a lavorare’. Hanno sulle spalle un debito enorme di cui sono schiavi. Sanno che dovranno ripagarlo per anni. Anche le famiglie rimaste a casa sono costrette a lavorare per ripagare il debito e sono minacciate dalle bande criminali”.
Sono condizioni ideali per lo sfruttamento di chi dipende dal lavoro per rimanere nel paese e sperare di ottenere la cittadinanza
Attualmente il salario minimo in Portogallo è di 820 euro al mese, appena sufficienti per garantire la sopravvivenza di chi lavora. Dopo aver pagato per l’alloggio, il debito e le rimesse inviate a casa, a molti immigrati restano 100-150 euro per arrivare alla fine del mese. “La situazione sta peggiorando. Quando arrivano, di solito, lavorano agli ordini di intermediari che sono quasi tutti indiani, legati alle bande criminali che forniscono al lavoratore ciò di cui ha bisogno: un ‘contratto’, il lavoro, un alloggio che spesso è disumano e i trasporti in furgone fino ai campi. I lavoratori pagano per questi servizi”, spiega Matos.
In una casa di Saõ Teotónio, nel sud dell’Alentejo, abbiamo trovato 55 lavoratori bengalesi e nepalesi che vivevano in condizioni di estremo squallore e affollamento. I migranti hanno dichiarato che l’alloggio era fornito dal datore di lavoro e molti hanno rivelato di pagare duecento euro a testa per vivere in quattro in una stanza. Nella regione le strutture di questo tipo sono numerose.
Altri migranti raccontano che alcuni lavoratori vivono all’interno dell’azienda agricola in condizioni proibitive, se non peggiori. Molti devono pagare il datore di lavoro o un intermediario per l’alloggio, privandosi di buona parte dei guadagni. I villaggi che ospitano gli immigrati sono spesso lontani dalle città e si trovano nella regione scarsamente popolata dell’Alentejo. Questo rende difficile rilevare le violazioni dei diritti umani e delle leggi sul lavoro. Le condizioni sono ideali per lo sfruttamento e gli abusi nei confronti di persone che dipendono dal lavoro per restare in Portogallo e sperare di ottenere la cittadinanza. “È una forma di militarizzazione del lavoro. Devono obbedire a qualsiasi ordine, anche i più inconcepibili. Se lavori dodici ore dovresti ricevere lo straordinario, invece la paga è di appena 6,50 euro e le pretese dei capi sono impossibili. Questo vale per i lavoratori permanenti, quindi immaginate cosa possano subire quelli saltuari”, spiega Matos.
Facebook e altri social media come TikTok sono pieni di offerte di lavoro temporaneo nella raccolta di frutti di bosco in Portogallo. Ma spesso si tratta di truffe o di inserzioni pubblicate da imprenditori che pagano salari inadeguati. Di solito le grandi aziende usano degli intermediari per non essere responsabili delle condizioni in cui vivono gli immigrati.
“Il modo principale per sfruttare i lavoratori è la scarsità di contatti diretti. Le aziende si rivolgono a intermediari che ‘affittano’ il lavoratore”, spiega Matos. Durante la stagione della raccolta, la forza lavoro aumenta esponenzialmente: “Dopo il mese di marzo il settore passa da cinquemila a ventimila lavoratori. Lo sfruttamento è enorme”, aggiunge. Anche i piccoli produttori subiscono una forte pressione per accelerare le operazioni, perché altrimenti rischiano di perdere i guadagni. “Durante la stagione più intensa devono assolutamente raccogliere i frutti e hanno poco tempo per farlo”.
Spariti nel nulla
Nonostante gli sforzi per combattere gli abusi attraverso i canali legali, i lavoratori continuano a incontrare enormi ostacoli. “In precedenza gli intermediari venivano processati per le violazioni, ma non si otteneva nulla. Di solito erano cittadini indiani e pachistani che sparivano, cambiando nome e codice fiscale. Portarli in tribunale era impossibile, perché di solito dichiaravano indirizzi di residenza falsi. I grandi proprietari terrieri raramente erano considerati responsabili degli abusi”.
Matos sottolinea che a volte le autorità hanno provato a contrastare il fenomeno. “Quasi ogni anno la polizia arresta 40-50 persone tra i piccoli intermediari”, spiega.
Abbiamo incontrato un bengalese che recluta immigrati attraverso una piccola attività commerciale. Ci ha spiegato che spesso i braccianti agricoli sono contattati da persone che già conoscono: “I connazionali si approfittano di loro perché sono in una situazione disperata e hanno bisogno di ottenere e mantenere un posto di lavoro. Inoltre i nuovi arrivati non parlano portoghese e non sanno come gestire la burocrazia. Sono in trappola perché devono ripagare enormi debiti e spesso hanno diversi familiari a carico. Gli intermediari, le aziende locali e le multinazionali lo sanno benissimo”. L’uomo ci assicura che le persone che mette in contatto con le aziende agricole ricevono una paga equa, ma ammette di incassare due euro per ogni ora del loro lavoro.
Matos sostiene che questo sistema permette alle multinazionali attive nella regione di sottrarsi quasi interamente alle responsabilità per gli abusi di cui si lamentano i lavoratori, che tra l’altro sono stati accertati da numerosi mezzi d’informazione portoghesi e internazionali. “La multinazionale alimentare Driscoll’s controlla interamente il territorio di Odemira”, spiega Matos. “Vendono le licenze e da quel punto in poi c’è molto sfruttamento. Al termine della catena le stesse aziende dicono: ‘Per favore, dateci i frutti rossi perché sappiamo come venderli sui mercati internazionali’. Per noi la regione di Odemira è come una madre surrogata per la Driscoll’s”.
Dopo che i salari insufficienti pagati ai lavoratori hanno attirato l’attenzione del quotidiano britannico The Guardian, la più grande multinazionale del commercio dei frutti di bosco ha respinto ripetutamente le accuse. La Driscoll’s ha dichiarato di “impegnarsi per combattere qualsiasi violazione delle leggi sul lavoro locali e internazionali nelle aziende agricole portoghesi dove si coltivano i suoi frutti”. E ha aggiunto che “le politiche aziendali vietano il lavoro minorile, il lavoro forzato, il traffico di esseri umani, la coercizione, l’abuso, la persecuzione e le condizioni rischiose o insalubri”.
Gli immigrati nepalesi, indiani e bengalesi che ho intervistato a Saõ Teotónio sostengono che la realtà è molto diversa. Molti hanno raccontato di essere sottoposti a turni sfiancanti e a condizioni di lavoro proibitive. Inoltre, non sanno a che punto è la pratica per la loro regolarizzazione né se una pratica è stata effettivamente avviata. Shollomian, arrivato dal Bangladesh con un visto turistico, lavora per un’azienda di frutti di bosco di Saõ Teotónio. Ogni giorno comincia alle cinque del mattino e va avanti per otto o dodici ore. Gli era stato garantito che avrebbe ricevuto un permesso di soggiorno entro 12-14 mesi, ma due anni dopo sta ancora aspettando. Eppure trova il modo di mandare tra i cento e i quattrocento euro al mese alla sua famiglia e crede ancora che alla fine tutto si metterà a posto.
Asystama, 24 anni, nepalese di Kathmandu, è più pessimista. Ogni tanto va in spiaggia per scattare fotografie con indosso vestiti puliti e mandarle alla famiglia, per dare l’impressione di passarsela bene. “Sono venuto qui due anni fa, dopo aver visto un annuncio sui social media. Ho pagato tremila euro per un visto un’agenzia di New Delhi, più il prezzo del biglietto. Raccolgo frutta per otto-dodici ore al giorno in condizioni molto difficili, guadagnando cinquanta euro al giorno. Ogni quattro ore dobbiamo raccogliere almeno otto chili. Lavorare in un’azienda agricola è durissimo. Fa caldo e non ci danno neanche l’acqua. A volte mi sanguina il naso. Non ci danno da mangiare, dobbiamo pensarci noi. Ogni mese mando tra 230 e 450 euro alla mia famiglia in Nepal. Dopo due anni non ho ancora un permesso di soggiorno. Il mio consiglio per gli altri è di non venire. Il lavoro è durissimo e non ce n’è per tutti”.
Secondo il dipartimento per la migrazione e gli affari interni della Commissione europea, “la maggior parte delle vittime accertate della tratta di esseri umani è destinata a essere sfruttata sul lavoro (72,8 per cento). Di queste persone, il 73,2 per cento fornisce manodopera nel settore agricolo”.
◆ Negli ultimi anni nella regione portoghese dell’Alentejo si è diffusa la coltivazione dei frutti rossi, in particolare nella zona del comune di Odemira. Oltre ai produttori locali, l’attività ha attirato varie multinazionali. Oggi si coltivano circa dodicimila ettari di terreno, su cui è impiegata soprattutto manodopera straniera a basso costo: nel 2011 gli immigrati erano 2.800, mentre dieci anni dopo avevano superato quota quindicimila e formavano più di un terzo della popolazione locale. Il polo di Odemira, per il quale è stato anche lanciato il marchio “made in Odemira”, oggi ha un giro d’affari di trecento milioni di euro, in massima parte grazie alle esportazioni. La gestione di una comunità molto varia , formata da migliaia di persone provenienti da ottanta paesi, ricade però quasi per intero sugli esili bilanci dei comuni della zona, come Odemira, São Teotónio, Cavaleiro, Almograve. Il sindaco di Odemira, Hélder Guerreiro, parla di “una sfida impari”, visto che nella zona molti servizi pubblici delle zone rurali portoghesi – scuole, ospedali, tribunali, pubblica sicurezza – hanno subìto tagli drastici. Ad Almograve, per esempio, il comune si è ritrovato con una classe di venti bambini di quindici nazionalità diverse. Tutto penalizza i tentativi di integrare i lavoratori stranieri. L’amministrazione di Odemira sostiene che nella cittadina mancano poliziotti e circa quaranta funzionari pubblici. In particolare, Guerreiro sottolinea il fatto che le multinazionali presenti sul territorio realizzano enormi profitti, ma non pagano le tasse in Portogallo. Secondo alcune stime, questo settore milionario alla fine versa nella casse dei comuni dell’Alentejo appena settantamila euro all’anno. Díario de Notícias
Le statistiche peggiorano se si prende in considerazione solo l’Alentejo, dov’è stato rilevato il 51,7 per cento dei casi di tratta di persone in Portogallo tra il 2008 e il 2021. Il 75,5 per cento delle vittime era destinato a essere sfruttato sul lavoro. Bruxelles ha precisato che “a causa dell’enorme estensione geografica dei luoghi in cui lavorano gli immigrati, generalmente nelle zone interne dell’Alentejo o nella parte occidentale del Portogallo, le autorità incaricate di controllare le condizioni di lavoro e di residenza incontrano grandi difficoltà nell’individuare gli abusi”.
Il 5 marzo 2024 il consiglio europeo e il parlamento europeo hanno trovato un accordo per bandire i prodotti del lavoro forzato. L’intesa introduce una serie di modifiche che chiariscono le responsabilità della Commissione europea e delle autorità nazionali nel processo investigativo e decisionale. Alle autorità dei singoli paesi dell’Unione spetterà il compito di indagare sulle aziende sospettate di ricorrere al lavoro forzato nelle catene di produzione. In teoria l’industria dei frutti rossi portoghese dovrà garantire che i sistemi di lavoro rispettino le nuove regole comunitarie.
Per evitare che i possibili divieti, multe o sequestri si limitino ai prodotti all’interno del mercato comunitario, le nuove regole “si applicano a tutti i prodotti, i settori e gli operatori economici, a prescindere dall’origine e dalle dimensioni. La normativa copre i prodotti importati e quelli interni, mentre i divieti riguardano ogni fase della catena di produzione, dai materiali grezzi ai prodotti confezionati”.
Futuro incerto
Mentre il governo portoghese valuta l’evoluzione delle politiche migratorie, per migliaia di lavoratori asiatici il futuro resta incerto. Matos sottolinea che la rapida espansione dell’industria dei frutti di bosco nell’Alentejo sta raggiungendo un punto critico. “A Odemira c’è una grave carenza d’acqua. Il livello nella diga di Santa Clara è molto basso e ora stanno cercando di trovare altre risorse. I sistemi agricoli attuali sono insostenibili”, spiega l’avvocato.
A prescindere dall’evoluzione del settore, Matos continuerà a chiedere condizioni migliori e paghe eque per gli immigrati che lavorano nell’Alentejo. “L’estrema destra”, dice, “sostiene che le nostre leggi erano troppo permissive e che per gli immigrati era troppo facile la regolarizzazione. Ma senza i frutti rossi, le serre, l’agricoltura, gli alberghi, i ristoranti e i lavori edili nessuno verrebbe qui. Naturalmente la criminalità approfitta delle leggi sbagliate. Se qualcosa diventa illegale per i criminali è un affare, perché i lavoratori devono pagare molto di più”, conclude Matos.
Secondo Bhattarai, gli immigrati dovrebbero pensarci due volte prima di venire in Portogallo, ora che la situazione è cambiata: “Se volete una vita migliore e un reddito adeguato, qui non li troverete. Ci sono molti trafficanti che danno informazioni false e alimentano speranze che non si possono realizzare. Le persone devono assolutamente verificare le informazioni prima di partire”. ◆ as
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Questo articolo è uscito sul numero 1591 di Internazionale, a pagina 60. Compra questo numero | Abbonati