L’azienda farmaceutica Eli Lilly ha presentato i risultati preliminari dei test clinici sul farmaco donanemab contro l’alzheimer, a cui hanno partecipato più di 1.700 pazienti con i primi sintomi della malattia. Rispetto al placebo, scrive Science, il medicinale, somministrato per diciotto mesi, avrebbe rallentato del 35 per cento il declino cognitivo e funzionale. I risultati, però, non sono ancora stati sottoposti a revisione paritaria (peer review). Inoltre, ci sono stati alcuni effetti collaterali, anche gravi, tra cui microemorragie e rigonfiamenti temporanei in alcune aree del cervello. Tre pazienti sono morti durante la sperimentazione. Come il lecanemab, in fase di approvazione negli Stati Uniti, il donanemab è un anticorpo monoclonale che rimuove gli accumuli di betamiloide, una delle possibili cause della demenza. Non cura l’alzheimer, ma potrebbe rallentarlo se somministrato all’inizio della malattia.
Rallentare l’alzheimer
Morte di un pianeta
Un gruppo di ricercatori ha osservato per la prima volta una stella che inghiotte un pianeta. Studiando delle immagini acquisite nel maggio 2020, hanno notato che una stella nella costellazione dell’Aquila, che si trova a circa dodicimila anni luce dalla Terra, era diventata cento volte più luminosa nello spettro del visibile. L’evento, chiamato ztf slrn-2020, è durato una decina di giorni. Osservazioni agli infrarossi successive hanno permesso di stabilire che con ogni probabilità la stella aveva assorbito un pianeta delle dimensioni di Giove, che orbitava nelle sue vicinanze. Il pianeta è stato prima inglobato nell’atmosfera della stella e poi nel nucleo. Poco dopo la stella ha perso alcuni degli strati esterni, emettendo materiale nello spazio. Nei mesi successivi sono stati registrati altri cambiamenti, interpretati come il raffreddamento del guscio di polvere depositato intorno alla stella. Alcune caratteristiche dell’evento porterebbero a escludere che si sia trattato di una collisione tra stelle. Secondo le stime, tra cinque miliardi di anni anche il Sole potrebbe inghiottire i pianeti che gli orbitano intorno, compresa la Terra. ◆
Batteri preistorici
I frammenti di dna estratti dal tartaro presente sui denti di esemplari di esseri umani moderni, Homo sapiens e neandertal, hanno permesso ad alcuni ricercatori di ricostruire 459 metagenomi batterici. In alcuni campioni di dna antico è stato individuato il Chlorobium, un batterio verde sulfureo sconosciuto. Inserendo tre dei suoi geni in batteri viventi, scrive Science, i ricercatori hanno ottenuto delle molecole probabilmente coinvolte nella fotosintesi. Confrontare i batteri preistorici con quelli moderni potrebbe aiutare a mettere a punto nuovi antibiotici.
La sintassi delle scimmie
Gli scimpanzé sono in grado di combinare due richiami diversi. Il primo di solito è usato per segnalare ai propri simili sorpresa e il secondo per cercare compagni per la caccia o in caso di aggressione. Ma in alcune situazioni, per esempio quando incontrano un serpente, gli scimpanzé combinano i due richiami, scrive Nature Communications. La capacità di unire due richiami diversi per trasmettere un messaggio ricorda un po’ la sintassi umana, e sarebbe resa possibile da strutture cerebrali simili.
L’emergenza è finita
Il 5 maggio l’Organizzazione mondiale della sanità ha proclamato la fine dell’emergenza sanitaria legata alla pandemia di covid-19. Nel mondo sono infatti in calo i decessi e i ricoveri in ospedale, mentre il livello d’immunità nella popolazione è alto. Il virus sars-cov-2 non è però scomparso e continuerà a essere monitorato con attenzione. Si apre quindi una fase di gestione a lungo termine del covid, simile a quella di altre malattie infettive, scrive Nature.
Salute Nel 2020 circa un quarto dei bambini nati vivi era vulnerabile a causa di una gravidanza troppo breve o di un peso troppo basso. Secondo uno studio pubblicato su The Lancet, il problema è diffuso soprattutto in Asia meridionale e in Africa subsahariana. La mancanza di dati in molti paesi ostacola però i progetti di prevenzione.
Ambiente Nel golfo del Messico ci sono circa quattordicimila pozzi di petrolio e gas abbandonati. I pozzi, da cui non è più possibile estrarre idrocarburi, non sono mai stati chiusi e continuano a inquinare. Secondo uno studio pubblicato su Nature Energy, il 90 per cento dei pozzi si trova vicino alla terraferma e comporta quindi costi di chiusura ridotti. Dato che per chiudere tutti i pozzi servirebbero trenta miliardi di dollari, gli autori sostengono che sia meglio concentrarsi su quelli vicino alla costa.
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