Per far ripartire l’economia dopo la fine della guerra, l’Ucraina avrà bisogno dei milioni di profughi che nell’ultimo anno e mezzo hanno abbandonato il paese, scrive Bloomberg. Il fatto che agli uomini tra i diciotto e i sessant’anni sia vietato andare all’estero spiega perché il 68 per cento dei profughi ucraini – in totale sei milioni di persone – è formato da donne e perché la ripresa del paese sarebbe molto più difficile senza il loro ritorno. Secondo alcune stime costerebbe all’Ucraina il 10 per cento del pil di prima della guerra. Nel peggiore dei casi si tratta di ricchezza per venti miliardi di dollari in un anno, una cifra superiore al pacchetto di aiuti previsto dall’Unione europea, che stanzierà 12,5 miliardi di euro all’anno. Il governo di Kiev sta pensando a una serie d’incentivi per far tornare le donne, tra cui delle nuove misure che riducano il divario salariale con gli uomini e aiuti a fondo perduto per chi ha il marito al fronte e vuole avviare un’attività economica. L’obiettivo non sarà facile da raggiungere: da un sondaggio condotto a luglio su settemila profughi ucraini in Germania è emerso che il 44 per cento vuole restare nel paese per qualche anno e cercarsi
un lavoro.
Più donne per la ripresa
Parchi eolici in crisi
Diversi progetti per produrre energia eolica usando piattaforme in mezzo al mare sono entrati in crisi proprio mentre il mondo ha bisogno di aumentare il ricorso alle fonti d’energia rinnovabili e il caldo estivo fa crescere il consumo di elettricità. L’azienda spagnola Iberdrola ha deciso di rinunciare a un parco eolico che doveva costruire al largo delle coste statunitensi, scrive Bloomberg. La danese Ørsted ha perso la possibilità di aprire un impianto a Rhode island, mentre la svedese Vattenfall ha ritirato il progetto di un parco eolico al largo del Regno Unito. In tutti e tre i casi la crisi è stata scatenata dall’aumento eccessivo dei costi. Insieme, avrebbero fornito una potenza di 3,5 gigawatt, più dell’11 per cento di quella garantita attualmente dai parchi eolici offshore in Europa e negli Stati Uniti. Ma il numero dei progetti in crisi potrebbe presto salire.
Di nuovo malata
Nel 1999 l’Economist aveva definito la Germania il malato d’Europa. L’economia del paese soffriva a causa dei costi della riunificazione e di problemi come il rallentamento delle esportazioni. Poi però le riforme approvate negli anni successivi hanno permesso alla Germania di diventare uno dei paesi con la crescita maggiore. Oggi, tuttavia, quel periodo d’oro sembra finito e l’economia tedesca registra preoccupanti battute d’arresto. Secondo il Fondo monetario internazionale, nei prossimi cinque anni la Germania crescerà meno di Stati Uniti, Regno Unito, Francia e Spagna. La situazione, precisa il settimanale britannico, non è grave come nel 1999: la disoccupazione è al 3 per cento e in generale il paese è più ricco. “Ma i tedeschi ammettono che non tutto sta funzionando come dovrebbe”. Il paese è messo alle strette, in particolare, dall’eccessiva dipendenza dalla Cina, dove le aziende non registrano più i profitti di una volta, e dalla transizione energetica, che penalizza l’industria pesante. ◆
Articolo precedente
Articolo successivo
Inserisci email e password per entrare nella tua area riservata.
Non hai un account su Internazionale?
Registrati