Il ministro degli esteri cinese Wang Yi ( nella foto, a sinistra ) è andato a Mosca il 18 settembre, dove ha incontrato il suo collega, Sergej Lavrov, scrive la Bbc. In quanto potenze globali e membri permanenti del consiglio di sicurezza dell’Onu, Cina e Russia hanno una responsabilità speciale nella stabilità strategica mondiale, ha detto Wang. Il giorno prima Wang aveva visto il consigliere per la sicurezza nazionale statunitense Jake Sullivan a Malta, dove hanno sondato il terreno per un eventuale vertice tra il presidente cinese Xi Jinping e quello statunitense Joe Biden.
Wang Yi vola a Mosca
Il premier mancato
Pita Limjaroenrat , leader e candidato primo ministro di Move forward, si è dimesso dalla guida del partito, scrive il Bangkok Post. A maggio Move forward aveva vinto le elezioni ma Pita non era riuscito a farsi nominare premier dai senatori, scelti dall’esercito, ed era anzi stato sospeso dal parlamento perché accusato di aver violato le regole elettorali. Il compito di formare il governo è andato quindi al Pheu Thai, il secondo partito per numero di voti.
Ai ferri corti con il Canada
Il 18 settembre il primo ministro canadese Justin Trudeau ha accusato il governo indiano di essere responsabile della morte dell’attivista separatista sikh Singh Nijjar, cittadino canadese, ucciso a giugno a colpi di arma da fuoco da uomini con il volto coperto davanti a un tempio sikh nella British Columbia. Ottawa ha espulso il capo dei servizi segreti indiani in Canada. New Delhi ha definito assurda l’accusa e ha espulso un importante diplomatico canadese. Nijjar si batteva per uno stato sikh indipendente da ricavare dividendo lo stato indiano del Punjab e nel 2020 il governo indiano l’aveva indicato come terrorista.
Kashmir senza voce
Il 20 agosto il sito del Kashmir Walla, l’ultima testata indipendente del Kashmir indiano, è stato oscurato. Il giorno dopo l’autorevole settimanale, che dal 2010 raccontava la vita nella porzione di Kashmir dilaniata da un lungo conflitto, è stata sfrattata dalla sua sede di Srinagar. I suoi account social sono stati sospesi. “Fare i giornalisti in Kashmir non è mai stato facile”, scrive la reporter kashmira Arjumand Shaheen su Nikkei Asia, “c’è sempre stato il rischio di ritorsioni dei ribelli o delle autorità. La situazione è peggiorata da quando New Delhi ha rafforzato il suo controllo togliendo al Kashmir lo status di semiautonomia”, continua Shaheen. “In India molti giornali vivono delle inserzioni pubblicitarie del governo e per sopravvivere diverse testate kashmire hanno ridotto le critiche contro le autorità”. ◆
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