Il 16 febbraio si è concluso a New York un processo civile per frode finanziaria contro Donald Trump ( nella foto ). L’ex presidente era accusato di aver gonfiato il valore degli immobili dell’azienda di famiglia, per ingannare i finanziatori, gli assicuratori e le autorità finanziarie e ottenere tassi migliori su prestiti bancari e polizze. Trump è stato condannato a pagare un risarcimento di 354 milioni di dollari (328 milioni di euro). “Inoltre il giudice ha stabilito che non potrà svolgere attività imprenditoriali né chiedere prestiti nello stato di New York per tre anni”, scrive il New York Times. L’ex presidente ha commentato il verdetto accusando il giudice di essere corrotto e annunciando un ricorso. Al livello economico la sanzione gli costerebbe tra il 14 e il 17 per cento del suo patrimonio (che nel 2021 ammontava a 2,6 miliardi di dollari). Trump deve anche dare 83,3 milioni di dollari alla scrittrice E. Jean Carroll, che ha vinto una causa per diffamazione contro di lui, e deve pagare milioni di dollari per le spese legali nei quattro processi penali in cui è imputato. Favorito nelle primarie repubblicane per scegliere il candidato alle presidenziali, Trump il 24 febbraio dovrà affrontare Nikki Haley nel voto in South Carolina, dove è in vantaggio.
Multa salata per Trump
Brasile e Israele ai ferri corti
Il 18 febbraio durante un summit dell’Unione africana ad Addis Abeba, in Etiopia, il presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva ha affermato che “quella in corso nella Striscia di Gaza non è una guerra ma un genocidio”. Lula poi ha paragonato l’offensiva israeliana contro il popolo palestinese a Gaza allo sterminio degli ebrei durante il nazismo. Queste parole hanno aperto una crisi diplomatica tra i due paesi: il ministro degli esteri israeliano, Israël Katzha, ha dichiarato Lula persona non grata in Israele fino a quando non si scuserà ufficialmente. In risposta il suo collega brasiliano, Mauro Vieira, ha convocato il 19 febbraio l’ambasciatore israeliano in Brasile. Nell’editoriale la Folha de S.Paulo scrive che “la banalizzazione di temi come il genocidio e l’Olocausto non dovrebbe far parte del repertorio di un capo di stato”.
Difendere le istituzioni
“Decine di migliaia di persone (700mila secondo gli organizzatori) il 18 febbraio si sono riunite nella piazza dello Zócalo, a Città del Messico, per chiedere elezioni trasparenti e il rispetto delle istituzioni democratiche del paese”, scrive Milenio. In particolare i manifestanti difendono l’indipendenza dell’Instituto nacional electoral (Ine) e accusano il governo del presidente di centrosinistra Andrés Manuel López Obrador di volerlo indebolire e smantellare. Dal 2018, quando è stato eletto, Obrador sostiene che l’Ine è corrotto e spinge per riformarlo e ridurne il personale. Il 2 giugno in Messico ci saranno le elezioni presidenziali. Obrador non può ricandidarsi – la costituzione messicana autorizza un solo mandato – ma l’alleata del presidente Claudia Sheinbaum, ex sindaca della capitale, ha registrato ufficialmente la sua candidatura proprio il 18 febbraio ed è favorita nei sondaggi. ◆
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