Sono isolati, o forse no. Privilegiati, o forse no. Temprati, o forse no. Nella vita tutto ha due facce. Tutto dipende dal punto di vista di chi osserva e dalla reazione, positiva o negativa, della mente. Ma per Maximos Tsitonis, 12 anni, non è una questione di reazioni o punti di vista. Ogni giorno si alza e prende il traghetto con altri sette studenti. Cinque minuti dopo sbarca nella città di Ioannina e va a scuola. Non gli importa di lasciare l’isola. E se perde il traghetto non c’è problema. Sale sulla barca del padre e fa la traversata da solo. È così che i bambini crescono sull’isola, nell’acqua.
Più o meno alla stessa ora Kostas Lappas, presidente della cooperativa dei pescatori, la più antica di tutta la Grecia, prende il suo caicco e naviga verso Ntrampatova, nella nebbia che ogni mattina cala sul lago Pamvotida. Nelle sue reti finiscono carpe e carassi che vende incassando tra uno e 2,5 euro al chilo. La maggior parte del pescato finisce in Romania. “Pamvotida significa ‘colei che nutre ogni cosa’. Il nostro lago ha sempre salvato i suoi abitanti. È stato così con l’occupazione italiana durante la seconda guerra mondiale, quando scambiavano i pesci con il grano e altre materie prime. La stessa cosa è successa durante la recente crisi economica e quando c’è stata la pandemia. Tutti abbiamo una barca e sappiamo pescare. Nei momenti di difficoltà sopravviviamo facendo i pescatori”, racconta Aris Liubos, presidente del consiglio comunale dell’isola dove vivono 150 persone, una delle poche isole lacustri abitate nel mondo.
Ardesia sui tetti
Ogni famiglia ha la sua barca: pescatori, barcaioli, pensionati e chi lavora nel turismo. I traghetti vanno e vengono ogni mezz’ora o ogni ora, a seconda della stagione. Dalle otto del mattino alle nove di sera. I cinquanta barcaioli dell’isola si sono uniti in una cooperativa e gestiscono i 13 piccoli traghetti in modo che tutti possano lavorare senza farsi concorrenza. Il tragitto dura dieci minuti e nelle giornate di nebbia lo indicano delle boe. La costa continentale dove si trova Ntrampatova dista 180 metri dall’isola. Da lì fa la spola chi parcheggia le auto sulla riva del lago. A volte in inverno il vento rende difficili gli spostamenti. Il lago, però, non ghiaccia più come un tempo. C’è una storia che sull’isola raccontano tutti: una volta arrivò un ospite del pascià, che mentre galoppava sul lago pensò di trovarsi su una pianura. C’è una frase che capita di sentire spesso: “Tizio è annegato”. E tutti ridono. Da queste parti quando qualcuno cade dalla barca si dice che è “annegato”. Qui ognuno è “annegato” almeno una volta.
L’isola, coperta di pini, occupa un’area di circa 90 ettari. Nel settecento era popolata dai prigionieri manioti di Aslan Pascià, ma in realtà i primi residenti sono stati i monaci. In epoca bizantina e post-bizantina furono costruiti sette monasteri, che formarono la terza comunità monastica della Grecia dopo quelle del monte Athos e di Meteora. I monasteri più importanti sono quello dei Filantropeni e quello degli Stratigopoulos. Entrambi prendono il nome dalle famiglie aristocratiche bizantine che li hanno eretti dopo aver abbandonato Costantinopoli in seguito all’assedio del 1204 ed essersi rifugiate nel despotato d’Epiro. I monasteri hanno una grande rilevanza architettonica, artistica – con i loro meravigliosi dipinti murali, tra cui una rara raffigurazione degli antichi filosofi – e storica, per il loro ruolo di scuole. È grazie a questi monasteri che Ioannina si è guadagnata la fama di “città delle lettere e delle arti”. Oggi nel monastero di Eleusa abita una comunità di tre monaci, mentre in quello dei Filantropeni risiedono due monache.
“I monasteri dell’isola purtroppo hanno pochi visitatori”, spiega Fotis Papakousis, fondatore del museo Alì Pascià all’interno del monastero di San Pantaleone, sede dell’ultimo atto del dramma di Alì, il suo assassinio. Papakousis ha deciso di esporre nel monastero la sua collezione personale di oggetti originali dell’epoca, favorendo il turismo sull’isola. “Da quando nel 2012 abbiamo ristrutturato il museo, sono arrivati più turisti dando una spinta all’economia locale. Di sicuro la costruzione dell’autostrada, da Ioannina a Patrasso, ha aiutato”, spiega.
L’esperienza degli isolani con il turismo ha una lunga storia. Si racconta che ai tempi dell’impero ottomano, in un periodo di crescente ricchezza della città di Ioannina, i più benestanti affollassero l’isola per le gite notturne in barca, la caccia e le feste, mentre gli isolani si offrivano come barcaioli e cacciatori esperti.
Oggi, però, sull’isola non ci sono alberghi. Il centro abitato, con le caratteristiche lastre di ardesia sui tetti, occupa solo una piccola parte dell’isola. Sarà così anche in futuro, perché l’area rimanente è del dipartimento forestale e della chiesa. Ma gli isolani considerano un problema il divieto di costruire in modo indiscriminato.
Ogni casa, infatti, viene ereditata da due-tre figli e da molti nipoti, ma solo un erede può continuare ad abitarci. Certo, non tutti vogliono trasferirsi sull’isola, dove le famiglie si stabiliscono se è la moglie a esserci cresciuta. Spesso le donne che si trasferiscono qui si sentono intrappolate e vogliono andarsene quasi subito. Dal 1975 è cominciato il declino demografico dell’isola. Fino ad allora la scuola era frequentata da una quarantina di bambini, ma nel 2002 è stata chiusa. Delle 150 case dell’isola, quelle abitate tutto l’anno sono circa settanta. Le altre sono di villeggiatura o sono finite al centro di dispute legali tra eredi. I tentativi di creare alloggi in affitto sono sulla buona strada, ma gli isolani non sembrano disposti a scomodarsi troppo e vorrebbero conservare la pace che c’è ogni giorno alla partenza dell’ultimo traghetto.
“Finora non si è ritenuto necessario offrire servizi di qualità dato che i turisti se ne andavano alla sera. Ma le cose stanno cambiando: la soddisfazione dei turisti sta acquistando grande importanza. Le persone devono andare via con un bel ricordo. La verità, però, è che la sera ci piace stare tranquilli”, spiega il barcaiolo Kostas Thaumatos, che gestisce anche un chiosco di souvlaki. Carne tra anguille e cosce di rana? Anche se le rane non vengono più pescate, gli abitanti del posto le acquistano per conservare l’attrazione. Tra i ciottoli del centro si vedono acquari dove nuotano anguille, gamberi e carpe, mentre i commercianti offrono baclava e klostari (entrambi ottimi). La frenesia dei turisti non è svanita, anche se è meno aggressiva rispetto agli anni scorsi.
Tranquillità nei vicoli
Poti Karatsari cucina per noi il piatto caratteristico dell’isola: gamberi d’acqua dolce con noci e skordalia (una salsa d’aglio). “In città non sanno nemmeno che esiste, è un piatto tipico dei pescatori dell’isola. Ora che nel lago gamberi non ce ne sono più, siamo costretti a comprarli. La carpa pilaki, però, si può trovare solo da noi, visto che nel lago ci sono ancora le carpe”, mi spiega.
Il lago comunque ha una storia dolorosa. Da quando è stato prosciugato quello vicino di Lapsista, negli anni cinquanta, l’approvvigionamento idrico è limitato e le anguille hanno perso la loro via d’accesso attraverso il fiume Kalama, di ritorno dal mar dei Sargassi, dove si riproducono. Inoltre gli interventi edilizi lungo la costa hanno bloccato le sorgenti e fatto scomparire i canneti che filtravano l’acqua, mentre per anni gli scarichi fognari e i metalli pesanti l’hanno inquinato. L’agenzia per la gestione delle aree protette dell’Epiro afferma che sono stati avviati diversi progetti per migliorare la situazione. Il pescatore Tasos Charatsaris, dice che la quantità di pesce si è molto ridotta.
Verso le sei del pomeriggio, quando ormai fa buio, se ne vanno anche gli ultimi visitatori. Nei vicoli torna la tranquillità. Da lontano si sente il suono di un bouzouki. Gli isolani hanno l’abitudine di organizzare banchetti attorno alle stufe, come se nulla li sfiorasse, nemmeno l’umidità che a volte è del 100 per cento. Nella casa di Rena e del consigliere comunale Nikos Siorokas, che hanno accettato di ospitarci, il fuoco scoppietta nel camino. “Non cambierei la vita sull’isola con niente al mondo”, assicura Nikos. È una frase che da quando siamo arrivati qui abbiamo ascoltato decine di volte. Rena ci augura la buona notte con un’altra frase che abbiamo già sentito: “Entrate e uscite liberamente. La chiave resta appesa alla porta”. ◆ as
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Questo articolo è uscito sul numero 1539 di Internazionale, a pagina 78. Compra questo numero | Abbonati