“Quando voglio capire la storia d’Italia prendo un treno e vado a Ravenna”. È la pubblicità che accoglie i turisti alla stazione di Bologna. Per alcuni giorni però a Ravenna non si è fermato nessun treno. La città, celebrata in tutto il mondo per i suoi mosaici, è stata colpita da inondazioni di portata storica, come una quarantina di altri centri abitati dell’Emilia-Romagna. Sulla linea ferroviaria Bologna-Ravenna c’è Faenza, sessantamila abitanti, che con l’alluvione è stata l’ultima città raggiungibile in treno. Più avanti il terreno intriso d’acqua era franato sui binari.
Gli abitanti ricorderanno a lungo la notte tra il 16 e il 17 maggio. “Tutti e quattro i fiumi intorno alla città si sono riversati giù dalla montagna con la stessa furia”, racconta il sindaco di Faenza Massimo Isola. “È la prima volta che gli strumenti di calcolo usati per rilevare le precipitazioni misurano questa quantità d’acqua in trentasei ore”.
Lungo le rive del Lamone, il fiume che attraversa Faenza, si percepisce la violenza della piena: la vegetazione sugli argini è stata piegata dalla forza dell’acqua e sono molte le tracce di smottamenti. Le strade sono state devastate. Su via Leonardo Bettisi l’acqua è entrata nelle cantine, nei garage ed è salita ai piani superiori. Gli abitanti si sono rifugiati sui tetti in attesa dei soccorsi. Davanti a ogni edificio o padiglione si ammassano detriti rappresi nel fango: mobili, soprammobili ed effetti personali ormai inutilizzabili. Ci sono anche auto ammassate dalla forza dell’acqua. Sopra il portico di un palazzo si notano le tracce lasciate da mani infangate sulla facciata a tre metri di altezza. Sembrano pitture rupestri.
“Erano state annunciate delle forti piogge”, racconta Davide, un adolescente che sta liberando la strada insieme ad alcuni amici. “Di sera ho visto un uomo correre, urlava che il cortile dell’edificio si era trasformato in una piscina. Sono corso nell’appartamento dei miei nonni al primo piano per metterli in salvo e portare via le loro cose”. Dopo l’alluvione decine di abitanti tra cui moltissime ragazze e ragazzi si sono infilati gli stivali di gomma e, scope e badili in mano, sono andati nelle zone più colpite ancora ricoperte di fango.
Piani non attuati
Di solito il Lamone è alto cinquanta centimetri. “A 3,5 metri si passa all’allerta gialla, a 4,5 metri l’allerta è arancione e a sei metri l’allerta è rossa”, racconta Isola. La notte tra il 16 e il 17 maggio il fiume è salito fino a dodici metri, riversandosi sulla città. “I nostri strumenti di gestione dell’acqua sono stati elaborati con un sistema di calcolo delle soglie ormai obsoleto”, spiega. “Bisogna ricostruire una rete idrica che tenga conto di questi nuovi rischi naturali”. All’inizio del mese alcuni quartieri di Faenza avevano già subìto delle inondazioni, ma niente a che vedere con la piena del 17 maggio. “Avevamo già materiali, ruspe e uomini pronti a entrare in azione”, continua il sindaco, “ma adesso ci rendiamo conto che non eravamo affatto pronti”.
A Ravenna, più a valle, la protezione civile ha dovuto costruire in fretta e furia dighe in terra (un tipo di diga fatto con pietrame, argilla, bitume) per bloccare l’innalzamento delle acque. La zona industriale Fornace Zarattini si è trasformata in un gigantesco lago. “Per poco non è stato inondato anche il centro della città”, ha raccontato alla stampa locale il sindaco Michele de Pascale, del Partito democratico.
L’Emilia-Romagna sommersa ci ricorda quanto l’Italia sia vulnerabile agli sconvolgimenti climatici. Nel suo ultimo rapporto sui rischi idrogeologici, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) evidenzia un dato sconvolgente: il 94 per cento dei comuni italiani è minacciato da inondazioni, smottamenti o dall’erosione delle coste. Per quanto riguarda le prime due categorie, l’Emilia-Romagna è la regione più fragile. Un dato poco sorprendente per uno dei territori più irrigati del paese, dove il successo economico è il frutto della ricchezza agricola e delle terre bonificate. Anche altri indicatori, però, sono un drammatico promemoria dei limiti strutturali della regione nella gestione del territorio. “L’Emilia-Romagna è la terza regione italiana per consumo del suolo”, spiega Paolo Pileri, che insegna pianificazione urbanistica e ambientale al Politecnico di Milano. Oltre duecentomila ettari di terreno sono stati cementificati. “È anche la prima regione italiana per edificazioni su aree alluvionali”, prosegue Pileri.
Il 18 maggio Legambiente ha lanciato un appello perché si attivi il piano nazionale contro il consumo del suolo bloccato in parlamento. Inoltre ha chiesto al governo di approvare in via definitiva il piano di adattamento ai cambiamenti climatici promesso a novembre del 2022 dopo lo smottamento a Ischia.
Ripensare tante cose
Pileri denuncia “anni di cattiva pianificazione degli spazi urbani e agricoli, che hanno contribuito ad aggravare le conseguenze di quello che stiamo vivendo”. La pensa così anche Michele Orlando, professore di storia. Nella notte tra il 16 e il 17 maggio è dovuto fuggire dal suo appartamento, inghiottito dalle acque, non prima di aver salvato la vita a un uomo con l’aiuto dei vicini. Ora è un profugo del clima nella sua città: vive in un albergo nella zona più sicura di Faenza. “Bisogna ripensare tante cose, a partire dagli accessi ai corsi d’acqua. Ci sono tante costruzioni in zone soggette a inondazioni che dovrebbero essere abbattute”.
La manutenzione degli argini lascia a desiderare. Sulle rive o vicino ai ponti si accumulano regolarmente alberi o rami secchi, come testimoniato da diverse foto postate sui social in questi giorni. Un problema aggravato da una burocrazia che sconfina nell’assurdo. “Un tempo si permetteva agli abitanti di pulire gli argini dei fiumi. Oggi se un privato cittadino volesse farlo si prenderebbe una multa perché è un compito che spetta ai servizi pubblici!”, si arrabbia Marco, che gestisce un albergo di Faenza e ha preferito non dire il suo cognome.
La presidente del consiglio Giorgia Meloni ha incontrato il 20 maggio alcune persone colpite dall’alluvione. “Lo stato c’è, è nostro dovere garantire risposte immediate”, ha detto Meloni. Si stimano danni per cinque miliardi di euro, una cifra che però potrebbe aumentare. ◆ gim
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Questo articolo è uscito sul numero 1513 di Internazionale, a pagina 18. Compra questo numero | Abbonati