Le immagini sorridenti di Mary Lou McDonald e Michelle O’Neill, le due leader dello Sinn féin, dominavano le prime pagine dei quotidiani del 31 gennaio. I sostenitori del partito irlandese (cattolico e repubblicano, attivo sia nella Repubblica d’Irlanda sia nell’Irlanda del nord, e favorevole all’unificazione dell’isola) saranno di certo rimasti estasiati. Ma l’elemento più significativo è senz’altro il messaggio che McDonald ha inviato: un’Irlanda unita è “a portata di mano”. La nomina di O’Neill come first minister del governo nordirlandese, ha aggiunto McDonald, “significa che la nuova Irlanda sta emergendo, insieme al dibattito su una nuova organizzazione costituzionale che metta fine alla divisione dell’isola”.

Le parole di McDonald non sono improvvisate. Possono essere interpretate come una provocazione verso la comunità unionista (protestante e favorevole alla permanenza dell’Irlanda del Nord nel Regno Unito) o come una mossa per rassicurare la propria base elettorale dopo alcuni mesi problematici. O magari entrambe le cose. Le affermazioni di McDonald sono state criticate dagli unionisti, consapevoli di essere stati stuzzicati. Perché la presidente dello Sinn féin, che sicuramente aveva previsto questa reazione, ha deciso di farle?

Il governo che sta per insediarsi a Belfast avrà già abbastanza problemi anche senza le polemiche sull’Irlanda unita. Dovrà gestire, infatti, una competizione serrata per le attenzioni di Londra e soprattutto per i suoi soldi. Certo, ci saranno i tre miliardi di sterline che il premier britannico Rishi Sunak e il segretario di stato per l’Irlanda del Nord, Chris Heaton-Harris, promettono da mesi come una sorta di mazzetta. Ma non basteranno a soddisfare tutte le aspettative e le necessità. Prima o poi i nodi verranno al pettine.

Tra gli unionisti circola da tempo il sospetto (comune ad alcuni ambienti dublinesi) che lo Sinn féin non abbia mai davvero voluto che l’Irlanda del Nord funzionasse. D’altronde, perché favorire un’entità politica a cui si è radicalmente ostili? È un dubbio legittimo, ma poco convincente. Lo Sinn féin ha partecipato ai governi di power sharing abbastanza a lungo. Ed è rimasto una forza repubblicana.

Questo ci porta alla seconda interpretazione delle parole di McDonald: il loro obiettivo era rassicurare la sua base elettorale. Secondo un sondaggio pubblicato di recente dal Business Post, i consensi per lo Sinn féin in Irlanda sono in calo. Anche se non bisogna dare troppo peso ai singoli sondaggi, è chiaro che gli ultimi mesi non sono stati incoraggianti. L’impressione è che il partito sia in crisi su diversi temi: ordine pubblico, immigrazione e politiche abitative. Non a caso a McDonald è stato ricordato l’impegno che aveva preso per ridurre il prezzo delle case a Dublino.

La verità è che la presidente dello Sinn féin deve rispondere a due basi elettorali: una nell’Irlanda del Nord, l’altra nella repubblica, dove ci sono i suoi nuovi elettori. Per questo il suo messaggio è duplice e contraddittorio: una volta al governo nel sud, lo Sinn féin porterà enormi cambiamenti, tuttavia non modificherà le cose che agli elettori vanno bene così; la repubblica è stata mal governata per un secolo, ma il governo dello Sinn Féin non altererà il suo modello economico. Le cose saranno uguali ma diverse, ci saranno novità e ci sarà continuità. Far passare questo messaggio non è impossibile, ma è molto difficile. E a quanto pare la cosa sta cominciando a diventare evidente. ◆ as

Da sapere
Potere condiviso

◆ Dal 3 febbraio l’Irlanda del Nord (nazione costitutiva del Regno Unito) ha un governo, dopo che il Partito democratico unionista (Dup) ha sospeso il boicottaggio delle istituzioni di Belfast dovuto ad alcuni dissensi con Londra sulle regole doganali previste dagli accordi sulla Brexit. Nel governo di power sharing, che prevede una condivisione del potere tra le due comunità (nazionalisti cattolici e unionisti protestanti), per la prima volta è stata nominata una first minister cattolica, Michelle O’Neill, dello Sinn féin. Sarà affiancata dalla viceprima ministra Emma Little-Pengelly, del Dup. Reuters


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Questo articolo è uscito sul numero 1549 di Internazionale, a pagina 27. Compra questo numero | Abbonati