“Cina: spendaccioni o strozzini?”. È questo il titolo che ha scelto la Bbc per un recente articolo della sua corrispondente Celia Hatton. “La Cina dà almeno il doppio dei soldi per lo sviluppo economico rispetto agli Stati Uniti e alle altre grandi potenze. E la maggior parte di questo denaro ha la forma di rischiosi prestiti ad alto interesse delle banche statali”, dice l’articolo. “Le voci critiche temono che gli alti interessi stiano caricando di debiti stellari i cittadini ignari”. Fermiamoci un attimo e pensiamo alle parole usate. Le sovvenzioni e i prestiti cinesi sono etichettati come “soldi per lo sviluppo economico”. Ma la Bbc dice che “non molto tempo fa la Cina riceveva aiuti dall’estero”. In nessun punto dell’articolo di Celia Hatton i “soldi per lo sviluppo” cinese sono descritti come “aiuti”. Qual è la differenza?
Un altro articolo di Hatton di quattro anni fa può chiarire alcune cose. Nel pezzo, parlando della scoperta di un “impero segreto degli aiuti cinesi”, la giornalista scrive che il denaro cinese non rientra nella “definizione tradizionale di aiuti su cui c’è accordo tra tutti i paesi industrializzati occidentali”, perché i prestiti dei paesi occidentali “sono concessi con l’obiettivo di aiutare lo sviluppo economico e il benessere dei paesi beneficiari”. A quanto pare, il 93 per cento degli “aiuti finanziari” statunitensi rientra in questa definizione, mentre solo un quinto di quelli cinesi può essere descritto in questi termini. Ma non ci sono prove di questa affermazione. Secondo uno studio del 1997 dell’ufficio di bilancio del congresso degli Stati Uniti, gli aiuti allo sviluppo di paesi esteri stanziati da Washington hanno svolto, nel migliore dei casi, un ruolo marginale nella promozione della crescita economica e nel miglioramento del benessere umano. A volte addirittura potrebbero ostacolarlo, fa notare lo studio.
Molto spesso i mezzi d’informazione occidentali descrivono la loro società come se fosse in qualche modo migliore e più caritatevole delle altre
La verità è che gli “aiuti” occidentali equivalgono, di per sé, a dei prestiti con tassi da usura. Secondo un articolo del 2005 del New York Times “tra il 1970 e il 2002 i paesi a sud del Sahara hanno ricevuto prestiti per 294 miliardi di dollari. Nello stesso periodo hanno restituito 268 miliardi di dollari e hanno accumulato, al netto degli interessi, una montagna di debiti pari a 210 miliardi di dollari”.
Il punto non è dimostrare che lo sfruttamento cinese è simile a quello occidentale, ma far capire che molto spesso i mezzi d’informazione occidentali descrivono la loro società come se fosse in qualche modo migliore e più caritatevole delle altre.
Ci sono altri esempi simili. La giornalista della Bbc Laura Bicker dice che gli “analisti” sono “preoccupati” perché la Corea del Nord sta realizzando dei missili ipersonici, ma il fatto che gli Stati Uniti stiano facendo la stessa cosa non sembra preoccupante, nonostante l’abitudine di Washington ad attaccare e destabilizzare altre nazioni. I conduttori della Bbc sono sconvolti dalla capacità di Kim Jong-un di costruire missili nonostante le sanzioni economiche, e la considerano la dimostrazione che il leader nordcoreano non si preoccupa del popolo affamato. Eppure hanno poco da ridire su Joe Biden, che continua a sviluppare il più grande arsenale del mondo nonostante undici milioni di bambini statunitensi vivano in famiglie povere, molti cittadini non abbiano adeguata assistenza sanitaria e le infrastrutture del paese siano fatiscenti.
Allo stesso modo le notizie sui funzionari pubblici che si approfittano della loro posizione per tornaconto personale sono riportate in modo diverso se avvengono in occidente. Quando il Wall Street Journal ha scoperto che “130 giudici federali statunitensi hanno violato la legge e l’etica occupandosi di casi giudiziari che coinvolgono aziende di cui loro o la loro famiglia possedevano azioni”, non ha usato la parola corruzione. I senatori degli Stati Uniti che vendono il loro voto ai lobbisti sono “vincolati ai loro donatori”. E naturalmente le elezioni statunitensi possono essere manipolate e può essere soppresso il diritto di voto, ma non sono mai truccate. Qualsiasi insinuazione sul fatto che il sistema elettorale non riflette i desideri degli elettori è liquidata come parte della “grande bugia” perpetrata dall’ex presidente Donald Trump, che sostiene senza fondamento di aver vinto le presidenziali del 2020. Ma la verità è che il sistema elettorale statunitense è truccato e a decidere chi vince, molto spesso, non sono gli elettori, ma chi compila le liste elettorali e disegna i collegi.
La lingua conta. Le parole contano. E mostrano che non sono solo gli orchi come Donald Trump a diffondere il vangelo dei suprematisti bianchi. Gran parte della stampa progressista fa la stessa cosa, attraverso una caratterizzazione degli eventi di cronaca che cambia a seconda del luogo del mondo in cui succedono le cose. Inconscio o no, questo comportamento dev’essere denunciato. ◆ ff
Patrick Gathara è un vignettista e scrittore keniano. Cura il sito The Elephant. Questo articolo è uscito su Al Jazeera.
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Questo articolo è uscito sul numero 1430 di Internazionale, a pagina 44. Compra questo numero | Abbonati