Negli ambienti conservatori si discute molto delle elezioni legislative del 2024 e ci si chiede se somiglieranno di più alla vittoria di misura del 1992 o alla sconfitta del 1997. Nessuno, però, ha proposto finora un paragone con il Canada del 1993. Eppure, dopo che alle suppletive del 19 ottobre due collegi considerati fedelissimi ai tory (Tamworth e Mid-Bedfordshire, nell’Inghilterra centrale) sono stati nettamente espugnati dal Partito laburista, è ora che i conservatori comincino a riflettere anche sul 1993.
Le elezioni di quell’anno in Canada si conclusero con una sconfitta catastrofica per i conservatori locali, che passarono da una solida maggioranza al parlamento di Ottawa ad appena due seggi. Sarebbe sorprendente vedere i tory sprofondare così in basso, ma l’ipotesi di una batosta, peggiore di quella che nel 1997 li lasciò con appena 165 seggi alla camera dei comuni, sembra realistica.
Per i conservatori britannici la portata dei cambiamenti che hanno reso possibile il recentissimo trionfo laburista è difficile da digerire. Nel collegio di Mid-Bedfordshire i tory sono passati da una maggioranza di più di 25mila voti a una sconfitta per 1.200 preferenze. A Tamworth, dove nel 2019 avevano vinto con un margine di ventimila voti, il Labour si è imposto con 1.300 voti di scarto. Nel primo collegio i conservatori hanno preso sottogamba anche i socialdemocratici, che hanno invece raccolto quasi il 25 per cento dei consensi.
Promesse e impegni
Naturalmente, vista la bassa affluenza, i tory possono consolarsi pensando che i loro elettori abituali non sono passati ai laburisti ma sono semplicemente rimasti a casa. Ma chi può garantire che torneranno alle urne il prossimo anno? Sembra che molti di quei vecchi sostenitori siano diventati i più convinti avversari del partito. A un anno esatto dell’insediamento di Rishi Sunak a Downing street, è ovvio che si tratta di una sconfitta da addebitare al primo ministro e alla sua leadership debole e poco incisiva. Un premier che non gode di nessuna di popolarità, se non tra i suoi colleghi parlamentari, e che ha deluso l’elettorato britannico. Le cinque grandi promesse che aveva fatto a gennaio – in particolare il blocco degli arrivi di migranti attraverso la Manica e la riduzione delle liste d’attesa negli ospedali – non sono state mantenute, e anche gli impegni presi al congresso tory dell’inizio di ottobre sono caduti nel vuoto. La proposta di riformare gli esami di maturità e innalzare di un anno l’età legale per fumare non erano certo le idee rivoluzionarie che Sunak e la sua ristretta cerchia immaginavano.
Anche aver demolito l’operato dei leader conservatori che l’hanno preceduto negli ultimi tredici anni, cercando di convincere l’elettorato che il governo attuale rappresenta un grande cambiamento, non è sembrata un’idea così brillante. Il problema è che gli elettori hanno creduto a Sunak quando criticava i vecchi primi ministri, ma non quando prometteva una leadership diversa.
Tutto fa pensare che per i conservatori ci siano due problemi cruciali. In primo luogo, i loro sostenitori tradizionali non hanno più paura dei laburisti. La scelta di Keir Starmer di isolare la sinistra del Labour ha funzionato e la sua leadership ha acquisito una certa solidità, impressione rafforzata anche dalla posizione chiara assunta sulla crisi di Gaza. È un risultato significativo, che toglie ai tory la loro principale arma – l’idea dell’inadeguatezza dell’opposizione – e introduce il secondo fattore: milioni di persone non hanno più intenzione di turarsi il naso e continuare a votare i conservatori. Oggi possono punire il partito per le promesse non mantenute e gli altri errori fatti.
La vittoria nelle due roccaforti conservatrici “dimostra che i britannici vogliono a tutti costi un cambiamento e sono pronti a dare fiducia ai laburisti”, ha detto Starmer , nel suo stile tradizionalmente poco retorico e molto concreto. Forse qualcuno saprà trovare un’argomentazione convincente per confutare quest’affermazione. A me non ne viene in mente neanche una. ◆ bt
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Questo articolo è uscito sul numero 1535 di Internazionale, a pagina 35. Compra questo numero | Abbonati