Rose Johnson ha passato il mese di agosto al Fringe festival di Edimburgo otto volte, la prima nel 2008. Come parte del trio Birthday Girls, questa comica e scrittrice ha spesso condiviso l’alloggio con le sue due colleghe. Quando finalmente ha potuto permettersi una stanza tutta sua, non le è sembrato un passo avanti. “Non aveva né una finestra né una porta”, ricorda Johnson.

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Il suo collega Jack Evans ha una storia simile. “Al primo Fringe che ho fatto”, dice, “ho dormito per terra in una cucina. Mai più”. Altri hanno dormito su divani, letti condivisi, tende. Eppure gli artisti sopportano tutto questo perché altrimenti non potrebbero permettersi di partecipare al festival: soprattutto tra i cabarettisti circola ancora l’idea che sia una tappa obbligata per la carriera.

Ma le cose stanno cambiando. Nel 2022 molti comici hanno deciso di rinunciarci. “Il Fringe dovrebbe essere un’opportunità per gli artisti” dice Evans, “ma sembra soprattutto una risorsa per i proprietari di case”. Johnson è d’accordo: “Alcuni stanno facendo un sacco di soldi con il Fringe, ma gli artisti no”.

Pagare per esserci

Arrivato al suo settantacinquesimo anniversario, il festival era nato come alternativa accessibile, economica e aperta a tutti del Festival internazionale di Edimburgo e offre ancora la possibilità di esibirsi, sperimentare e collaborare. Ma se una volta si poteva arrivare a Edimburgo con grandi idee e poco altro, molti artisti oggi ritengono l’evento, di fatto, basato sul modello pay to play, paga per esibirti.

I grandi nomi non mancano, anche se lo “spirito del Fringe” dovrebbe far emergere artisti sconosciuti. Come ha dichiarato Jon Richardson al Guardian nel 2019: “Preferirei che la gente vedesse qualcuno di nuovo, e non me che faccio uno spettacolo che ho già fatto in tournée”. Gli artisti partecipano nella speranza di diventare i prossimi Fleabag, Mighty Boosh o Garth Marenghi. Ma molti sostengono che il Fringe sia diventato un festival per nomi affermati della tv, e non la vetrina di nuovi talenti come invece era un tempo.

Partecipare con un gruppo di comici ha permesso a Johnson di dividere le spese per l’affitto dell’alloggio e delle sale dove esibirsi, che a suo dire si aggiravano intorno alle diecimila sterline (quasi dodicimila euro). Adesso sta mettendo a punto uno spettacolo da solista e dovrà intaccare i suoi risparmi per produrlo, ma si chiede se Edimburgo sia il posto giusto per lanciarlo: “Solo chi ha già successo può permettersi di andarci”, dice. “Non voglio contribuire a questo sistema”.

Royal mile, Edimburgo, agosto 2021 (Skully, Alamy)

Donagh Horgan, dell’università di Strathclyde, ha studiato il Fringe nell’ambito di una ricerca della Commissione europea sull’impatto che il turismo ha sull’esclusione sociale. I risultati sono sorprendenti: anziché beneficiare della crescita del festival, gli artisti sono diventati i suoi principali clienti. “Pagano per lavorare in condizioni poco sicure. E la speculazione sugli affitti è peggiorata”.

I proprietari d’immobili, comprese le università della città, affittano gli edifici sia per gli spettacoli sia come alloggi, ma non esistono regole su costi o condizioni. “Molte infrastrutture legate al Fringe”, dice Horgan, “non si prendono nessuna responsabilità e puntano solo al profitto”.

Dopo aver partecipato al festival come regista, nel 2017, Claire Stone ha avviato il progetto Cost of Edinburgh, per avere un quadro più completo delle tariffe imposte dai locali (“non c’è nessun controllo”) e delle spese effettive per gli artisti. Nel 2018 ha condotto un sondaggio coinvolgendo 368 artisti. Tre quarti di loro hanno descritto i costi per esibirsi al Fringe ingiusti. L’affitto dell’alloggio e del luogo in cui fare lo spettacolo sono le spese maggiori, per un totale medio di oltre quattromila sterline. Oltre alla vendita dei biglietti, l’autofinanziamento è stato il modo più comune con cui gli artisti hanno coperto i costi. La perdita media alla fine del festival è di 812 sterline.

Leroy Brito, un comico che vive a Cardiff, in Galles, illustra questa triste realtà. “Quando ho cominciato a fare cabaret undici anni fa, l’idea era che si dovesse andare per forza a Edimburgo. Poi vedi gente che si esibisce in sale vuote e torna indebitata”.

Siân Docksey ha partecipato al Fringe quattro volte. Nel 2019, un po’ esasperata dalle spese, ha condiviso il suo budget online. Secondo lei il Fringe può intrappolare gli artisti in uno “strano ciclo di vita”, in cui si risparmia per il festival, ci si esibisce e poi ci si riprende dall’impatto. “Quest’anno non avevo abbastanza soldi. E non volevo neanche che tutto ruotasse intorno a Edimburgo”. Evans dice che i comici costretti a fare altri lavori per mantenersi si ritrovano a “risparmiare soldi e giorni di ferie pur di andare al Fringe. I tentacoli di Edimburgo si estendono al resto della tua vita”.

Giù dal piedistallo

Durante la pandemia, i comici sono stati costretti a trovare nuovi modi per raggiungere il pubblico e gli operatori del settore, e molti hanno capito che forse, in fin dei conti, non hanno bisogno del Fringe. Quest’anno Evans si concentrerà sul suo podcast, Mandatory redistribution party, e su spettacoli mensili dal vivo a Manchester con il duo Foxdog Studios. Brito si è costruito un pubblico affezionato a Cardiff e ha preferito investire nell’attrezzatura per filmare il suo lavoro. Alla fine il suo spettacolo è stato scelto per uno speciale della Bbc dedicato al cabaret. Johnson sta mettendo a punto il suo primo spettacolo di cabaret a Londra e sta realizzando il podcast Birthday Girls house party. È tentata dall’idea di un debutto da solista a Edimburgo, ma forse “ci sono altri modi per farsi notare”, dice.

A giugno la Fringe society, l’azienda non profit che patrocina il festival, ha presentato i suoi obiettivi di sviluppo. Tra questi c’è essere un “Fringe equo”. Shona McCarthy, amministratrice delegata della Fringe society, dice: “Non sono in disaccordo con nessuna delle cose che dicono gli artisti”. E rendere il festival più accessibile richiederà “un enorme sforzo collettivo”, aggiunge. La Fringe society ha insistito sullo sfruttamento di chi lavora e sui costi degli alloggi, ottenendo alcuni risultati, come un tetto massimo di 280 sterline a settimana per un migliaio di stanze per gli artisti.

“Ma la Fringe society non può fare molto di più”, aggiunge McCarthy. Il Fringe non è come le olimpiadi e altre manifestazioni che beneficiano di grandi investimenti pubblici. Gli artisti possono ancora trarne notevoli vantaggi, ma devono valutare bene costi e rischi.

Molti artisti sperano che disertare il festival possa produrre un cambiamento. “Quest’anno mi sto impegnando per qualcosa di diverso”, dice Evans. “Se altri faranno come me, potremo finire di mettere il Fringe su un piedistallo”. ◆ ff

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Questo articolo è uscito sul numero 1469 di Internazionale, a pagina 90. Compra questo numero | Abbonati