Cosa dovrebbe fare il Partito democratico statunitense? È una domanda importante non solo per il partito ma per gli Stati Uniti in generale. A parte il senatore Bernie Sanders, che sta viaggiando in tutto il paese per mobilitare le persone contro Trump, sono pochi i democratici che stanno cercando di farsi sentire, e ancora meno quelli che oppongono una qualche forma di resistenza politica al presidente. Non c’è stata contestazione alla sua politica incoerente sui dazi e nessuno ha battuto ciglio davanti alla proposta di ridurre le tasse ai ricchi e alle imprese, una misura che metterebbe il paese in una posizione fiscale molto difficile. Su questo sono stati i mercati a lanciare l’allarme. Perfino alcuni conservatori sono preoccupati dell’incapacità dei democratici di opporsi a Trump, soprattutto per il rischio che le sue politiche economiche possano spingere il paese in recessione. Peggy Noonan, che in passato ha scritto discorsi per Ronald Reagan, ha riassunto così la situazione: “Se i democratici non si daranno una svegliata, Trump e i repubblicani sapranno che non c’è nessun partito in grado di fermarli. L’assenza ingiustificata del Partito democratico è pericolosa”.
Eppure alcuni commentatori di sinistra difendono questa linea. James Carville, influente stratega democratico, ha sostenuto che il partito dovrebbe “fare il morto” e lasciare che Trump imploda. Altri suggeriscono di saturare lo spazio informativo per catturare l’attenzione dell’opinione pubblica, proprio come fa Trump. Entrambe le posizioni ignorano un punto cruciale: i democratici non riusciranno a comunicare con successo finché non avranno una posizione politica coerente. In questo momento non ce l’hanno, e questo perché non hanno ancora fatto la scelta cruciale tra la redistribuzione economica e una versione leggermente aggiornata del neoliberismo. La loro stella polare sarà Franklin D. Roosevelt o Bill Clinton?
Una manciata di grandi aziende ha troppo denaro e potere – come dimostra la grande influenza di Elon Musk su Trump – mentre i lavoratori ne hanno troppo poco
Mentre alcuni, come Sanders e la senatrice Elizabeth Warren, spingono per seguire la strada progressista, la leadership del partito e la maggioranza dei finanziatori democratici sembrano voler tornare a una versione neoliberista simile a quella dell’era Clinton-Obama. Una versione concentrata più sull’identità che sulla classe, a favore del libero mercato e focalizzata non tanto sulla politica industriale (e di conseguenza sugli interessi dei lavoratori) ma su come rendere il governo più efficiente.
È la tesi dei giornalisti Ezra Klein e Derek Thompson, che nel libro Abundance sostengono che è stato soprattutto l’eccesso di regolamentazione a mettere gli elettori contro i democratici. I due autori offrono ottimi esempi di come l’eccesso di regole, l’inefficienza e gli interessi particolari abbiano reso impossibile fare cose come costruire reti ferroviarie ad alta velocità in California o affrontare la crisi abitativa. Secondo loro i democratici devono togliersi dai piedi e lasciare che il governo possa fare le cose con più facilità.
Questa posizione sorvola su quella che secondo me è la disfunzione principale dell’economia statunitense: l’asimmetria di potere. Il settore privato, e in particolare una manciata di grandi aziende, ha troppo denaro e potere – come dimostra l’influenza politica di Elon Musk – mentre i lavoratori ne hanno troppo poco. E se la ricchezza e la popolazione sono concentrate in poche aree urbane, per lo più costiere, le aree centrali del paese hanno un peso politico enorme a causa del sistema elettorale. Gli eccessi di regolamentazione in California o a New York non hanno inciso sulla vittoria di Trump, ma è stato decisivo il fatto che gli abitanti delle comunità post-industriali impoverite in tre stati in bilico hanno votato in massa per lui, illudendosi che avrebbe protetto i loro posti di lavoro.
Finché questo sistema sarà in vigore, e se crediamo che i mercati senza vincoli non riescano a fornire beni fondamentali, allora dobbiamo pensare che un autentico programma progressista sarà la formula vincente per i democratici. Ma questo vuol dire che i ricchi di sinistra devono pensare al di là dei loro interessi. La tensione è evidente nell’incapacità del partito di opporsi al taglio delle tasse voluto da Trump: se i democratici dovessero un giorno tornare al potere, si troveranno davanti dei vincoli fiscali così soffocanti da bloccare tutte le loro proposte. I democratici non alzarono la voce nemmeno nel 2017, quando furono approvati tagli simili, perché ai ricchi finanziatori piace pagare meno tasse. Allo stesso modo, progressisti e neoliberali sono divisi tra chi è favorevole a una strategia incentrata sul midwest (dove le guerre commerciali di Trump potrebbero far lievitare i prezzi dell’energia per i produttori) e chi preferisce concentrarsi sul sud, dove si può parlare di razzismo evitando le grandi questioni economiche. A prescindere da come la si pensi, i democratici devono fare una scelta chiara. Fino ad allora, non avranno alcun messaggio da trasmettere. ◆ gim
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Questo articolo è uscito sul numero 1606 di Internazionale, a pagina 42. Compra questo numero | Abbonati