Qualche anno fa una mia amica si è sposata e mentre stavo parcheggiando davanti al posto in cui si sarebbe svolta la cerimonia uno sconosciuto si è messo dietro la mia auto e ha cominciato a farmi segnali con le mani. Non avevo chiesto aiuto, ma di certo avrà pensato che se ero riuscita a parcheggiare la mia piccola auto in un posto in cui era molto semplice farlo era anche merito suo. In modo inconsapevole, stava cercando di rubare un po’ della mia sicurezza per rafforzare la sua. Ho avuto migliaia di esperienze come questa, intrusioni indesiderate sotto forma di una concessione di aiuto, di un consiglio o di un’approvazione (oppure il contrario). Spesso tutto questo è incarnato da uomini che dicono “giusto” quando io o un’altra donna diciamo qualcosa ad alta voce o in rete, come se avessimo bisogno della loro approvazione.
Quando ho scritto sui social network un post su questo fenomeno sono venute fuori tantissime storie raccontate da altre donne. L’insegnante di fotografia Sarah Detweiler per esempio mi ha raccontato: “Sono un’artista. Vado spesso in negozi di ferramenta. Chiedo dove posso trovare pistole sigillanti o articoli simili. E inevitabilmente mi sento dire: ‘Cosa deve farci con questa?’. Mi è perfino capitato di essere accompagnata di persona da commessi che poi si sono piazzati tra me e lo scaffale chiedendomi di nuovo a cosa stessi lavorando, come se non fosse possibile che io sapessi come usare l’oggetto in questione”. Una stimata scienziata mi ha raccontato che alcuni uomini sentono il bisogno di ripetere quello che ha detto, come se fosse stata una loro idea o come se la frase avesse bisogno di essere pronunciata da un uomo per essere valida. È demoralizzante.
Spesso tutto questo è incarnato da qualcuno che dice “giusto” quando io o un’altra donna diciamo qualcosa ad alta voce o in rete, come se avessimo bisogno della sua approvazione
Naturalmente ci sono forme peggiori di oppressione al mondo e discriminazioni che colpiscono altre categorie di persone. Per esempio mi viene in mente il caso della donna ispanica a capo di un’organizzazione non profit letteraria che a una cena di gala è stata scambiata per una cameriera, o di tutte le volte che uomini neri sono accusati di aver rubato una macchina o una bicicletta. Questa misoginia però ha conseguenze molto pesanti.
La scrittrice Meredith Jacobson mi ha detto: “A parte i milioni di casi in cui dei tizi si prendono la briga di scrivere ‘Hai ragione’ sui social network, mi viene in mente quella volta in cui da giovane studente mi è capitato di bucare una gomma davanti al mio appartamento. Ho letto le istruzioni su come cambiare una ruota, ho tirato fuori quella di scorta e mi sono messa all’opera. Mentre stavo stringendo gli ultimi bulloni, il mio vicino di mezza età si è avvicinato e mi ha fatto segno di passargli la chiave inglese. Ora mi vorrei prendere a schiaffi per averlo fatto, ma all’epoca gliel’ho data. Lui ha fatto finta di stringere i bulloni, anche se erano già stretti. Mi ha detto ‘bel lavoro’ e mi ha restituito la chiave, come un prete che dà una sorta di non richiesta benedizione patriarcale. A decenni di distanza mi brucia ancora”. Come nel caso dell’uomo che mi controllava mentre parcheggiavo, il vicino stava solo facendo finta di aiutarla. In realtà stava aiutando se stesso e sminuendo lei.
Nel 2014 ho scritto un saggio che ha segnato la nascita della parola mansplaining, ossia la situazione in cui gli uomini ritengono di sapere qualcosa quando in realtà non è così e le donne ritengono di non sapere qualcosa quando in realtà la sanno, o comunque si comportano seguendo questo presupposto. Il fenomeno ha un cugino: gli uomini che danno istruzioni e aiuto non richiesto. È un po’ come avere qualcuno che si offre di fare da genitore o da capo, ma che in realtà è uno sconosciuto.
A volte m’imbarazzo a fare anche le cose più semplici in pubblico, temendo che spunti fuori un tizio desideroso di tenermi d’occhio mentre mi allaccio le scarpe o quando metto il lucchetto alla bicicletta, due cose che per inciso sono successe davvero. C’è una profonda mancanza di curiosità in tutto questo. Mi capita di vederlo in continuazione in episodi che archivio nella rubrica “Prove olimpiche di mansplaining”: uomini che spiegano le vagine a ginecologhe, il personaggio di un fumetto alla sua autrice, il mercato azionario all’ex dirigente di Morgan Stanley Amy Siskind, o che dicono a scienziate di leggere ricerche scritte da quelle stesse scienziate.
Potrebbero cominciare facendo qualche domanda, anche se questo richiederebbe un po’ d’interesse verso le donne con cui parlano. Virginia Woolf ha scritto: “Per secoli le donne sono state gli specchi magici e deliziosi in cui si rifletteva la figura dell’uomo, raddoppiata”. Questi uomini usano le donne come quegli specchi, assegnandogli il ruolo di migliore attrice non protagonista a supporto del loro ruolo da protagonisti. Non capiscono che la sceneggiatura è una farsa e che le persone intorno a loro sono protagoniste di altri film, scritti molto meglio. ◆ gim
Questo articolo è uscito sul Guardian.
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Questo articolo è uscito sul numero 1485 di Internazionale, a pagina 46. Compra questo numero | Abbonati