Come la maggior parte delle persone in cerca di una casa in affitto, Tanakit Phaopin è abituato a lunghe file. Con una disponibilità che si aggira intorno all’1,7 per cento a Sydney, la principale città australiana, e all’1,3 per cento al livello nazionale, le visite agli alloggi sono sempre molto affollate. “Fanno entrare quattro persone per volta”, racconta Tanakit, studente universitario e istruttore di nuoto part-time. “C’è molta concorrenza”.
Assicurarsi un alloggio a un costo accessibile è un’impresa non da poco in Australia. A causa di una quota di abitazioni libere quasi ai minimi storici, gli affitti nel paese aumentano a un tasso annuo di circa il 9 per cento, il più alto dal 2008. È quanto emerge da una ricerca pubblicata dalla Commonwealth bank of Australia (Cba). Secondo l’istituto di ricerca Sqm nell’ultimo decennio i prezzi iniziali di vendita degli immobili sono aumentati del 90 per cento. L’agenzia immobiliare Domain calcola che a giugno il prezzo medio delle case nelle capitali dei vari stati australiani era di 1,1 milioni di dollari australiani (662mila euro). Sydney è la città più costosa, con un prezzo medio di 1,6 milioni di dollari (971mila euro).
Tanakit e la compagna, che lavora in un asilo nido, condividono una casa con un’altra famiglia e nel frattempo cercano una sistemazione per sé. In due mesi hanno presentato dodici domande per alloggi che rientravano nelle loro disponibilità. Secondo la Cba gli affitti alle stelle stanno spingendo molte persone a condividere la casa. Circa il 5 per cento degli australiani sopra i 15 anni vive in un’abitazione condivisa, mentre nel 2020 la percentuale non superava il 4 per cento. “Questo potrebbe ritardare il momento in cui le coppie vanno a vivere insieme”, osserva lo studio della Cba, aggiungendo che la tendenza potrebbe avere un impatto sulla formazione di nuovi nuclei familiari.
Anche se con l’aumento delle dimensioni di case e appartamenti e con il rallentamento della pressione demografica ad agosto la crescita degli affitti è rallentata, resta la spinta al rialzo dovuta alla grave carenza di alloggi del paese, dove vivono 26 milioni di persone. Una combinazione di politiche fiscali e abitative di lungo periodo, vincoli edilizi e carenza di manodopera, crescita della popolazione, questioni legate ai piani regolatori e cambiamenti demografici hanno determinato, secondo gli esperti, una situazione in cui la domanda supera di gran lunga l’offerta. “Decenni di decisioni politiche e fattori economici hanno gonfiato i costi spingendoli oltre la portata di molti australiani”, spiega Richard Tucker, condirettore dell’Home strategic research and innovation centre della Deakin university di Melbourne.
Il problema sta diventando un terreno di scontro politico cruciale in vista delle elezioni del prossimo anno. Il primo ministro laburista Anthony Albanese ha promesso di destinare 32 miliardi di dollari australiani (19 miliardi di euro) al piano Homes for Australia, con l’obiettivo di costruire 1,2 milioni di nuove case entro il 2029 e di adottare una serie di altre misure di sostegno all’abitare. Il Partito laburista si è inoltre impegnato a dimezzare l’immigrazione entro il prossimo anno fiscale, limitando l’arrivo di studenti stranieri. Una decisione criticata da molti nel settore dell’istruzione, convinti che gli studenti stranieri siano ingiustamente incolpati di problemi che sono invece strutturali.
Tra due fuochi
I laburisti sono stretti tra due fuochi. A sinistra, i Verdi lo accusano di non fare abbastanza: vorrebbero che il governo limitasse le agevolazioni sulle plusvalenze e gli accordi fiscali che consentono agli investitori di compensare le perdite immobiliari. A destra, il leader della coalizione d’opposizione Peter Dutton ha proposto una stretta ancora più decisa sull’immigrazione. In una improbabilie alleanza, Verdi e conservatori si sono coalizzati in senato per rallentare, spinti da ragioni diverse, le proposte di legge dei laburisti sull’istituzione di un programma di prestiti ipotecari per aiutare chi acquista una prima casa e di incentivi fiscali per la costruzione di alloggi da affittare.
I progetti edilizi destinati al mercato degli affitti (i cosiddetti build to rent, btr) in Australia stentano a decollare ma sono considerati parte di una possibile soluzione. Secondo un rapporto del 2022 della società di consulenza Ernst and Young, il btr valeva 1,8 miliardi di dollari australiani (poco più di un miliardo di euro), cioè lo 0,2 per cento del valore totale dell’edilizia residenziale (nel Regno Unito è il 5,4 per cento e negli Stati Uniti il 12 per cento). Ma i progressi in questo settore sono stati rallentati da vari ostacoli. Michael Dzięgielewski, responsabile per lo sviluppo dell’azienda immobiliare Hines, che ha investito nel btr in Australia, per il 2025 prevede un alleggerimento dei costi e un aumento dell’offerta grazie agli incentivi del governo. “Ci aspettiamo di veder nascere molti altri consorzi tra pubblico e privato per rispondere alla carenza di alloggi in Australia”. Come nota Michael Fotheringham, direttore dell’Australian housing and urban research institute, le case in affitto in Australia sono per lo più di proprietà di piccoli investitori, per i quali l’immobile affittato rappresenta un modo per guadagnare e assicurarsi la pensione. “Il 70 per cento di questi immobili appartiene a investitori che non ne possiedono altri, il 20 per cento è di investitori che ne possiedono due, e solo una percentuale infinitamente più bassa è di proprietà di investitori che possiedono quello che potremmo definire un portfolio”, spiega. “Proprio a causa di questo modello basato sugli investimenti di mamma e papà finora non abbiamo visto investimenti istituzionali nell’offerta di alloggi”.
Il percorso dei piani del governo è in salita. Secondo Abs nell’ultimo anno fiscale l’approvazione e l’avvio di progetti edilizi sono crollati ai livelli più bassi degli ultimi tredici anni: sull’edilizia, e soprattutto sulla costruzione di condomini, pesano tassi d’interesse e costi di materiali e manodopera più elevati. Scott Kuru, fondatore della società di consulenza Freedom property investor,sostiene che il governo dovrebbe alleggerire la burocrazia e introdurre incentivi per l’edilizia per orientare gli investitori alla costruzione di nuovi alloggi invece che all’acquisto di proprietà già esistenti.
Più o meno un terzo delle famiglie australiane vive in affitto, un terzo paga un mutuo e un terzo possiede per intero la casa in cui vive. Il panorama abitativo sta alimentando un dibattito più ampio sul divario generazionale che contrappone le persone più anziane, spesso prorietarie della casa in cui abitano e favorite dall’aumento dei prezzi, ai titolari di mutui più recenti, con meno capitale proprio, che devono fare i conti con l’aumento dei tassi d’interesse. Allo stesso tempo i locatari spendono per l’affitto in media il 30 per cento del reddito, quindi non riescono a risparmiare.
Secondo Tucker nel lungo periodo la carenza di alloggi accessibili rischia di far peggiorare gli indici sanitari e occupazionali, di aumentare le disuguaglianze sociali e consolidare la povertà intergenerazionale. Un sondaggio condotto dal Centre for equitable housing rileva che più del 40 per cento degli ultimi compratori di prime case si è fatto aiutare dai familiari per mettere insieme i soldi dell’anticipo.
Anche la scarsa disponibilità di manodopera è un problema. Secondo le stime di settore per raggiungere gli obiettivi fissati dal governo serviranno circa 90mila nuovi lavoratori. Importare manodopera per sostituire quella persa durante la pandemia è diventata però una questione “molto difficile e politicizzata”, afferma Fotheringham. “L’argomentazione secondo cui sarebbero gli immigrati a determinare l’aumento dei prezzi delle case è semplicistica e poco utile”, osserva.
Il mercato australiano degli affitti è, secondo Fotheringham, ancora “immaturo”, un “settore artigianale” caratterizzato da molti sfratti per vendere gli immobili e trarre profitto dalle plusvalenze. A parte qualche riforma per aumentare i meccanismi di protezione dei locatari, il mercato opera ancora per molti versi sulla base di un’idea obsoleta di “transitorietà”. “Si considera l’affitto una condizione temporanea, che riguarda gli anni dell’università. Ora però la situazione è molto diversa”. ◆ gim
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Questo articolo è uscito sul numero 1578 di Internazionale, a pagina 20. Compra questo numero | Abbonati