Sandy Fawkes atterrò ad Atlanta la notte del 7 novembre 1974. Aveva trascorso la giornata a Washington nel vano tentativo di intervistare l’ex vicepresidente degli Stati Uniti Spiro Agnew. Era parte di una prova di un mese per farsi assumere da un settimanale statunitense che la pagava straordinariamente bene, compresi i viaggi e gli alberghi, molto più di quanto il suo solito datore di lavoro a Londra, il Daily Express, potesse permettersi.
Sandy non aveva progetti per la serata. Com’era sua abitudine quando atterrava in una nuova città, si mise in contatto con il giornale locale – in questo caso, l’Atlanta Constitution – per vedere se c’era qualche collega che potesse portarla un po’ in giro. L’altra opzione era il bar dell’hotel. Sandy era nervosa all’idea di bere da sola in una città del sud degli Stati Uniti. Atlanta non era Londra, dove i pub di Soho le erano familiari come una seconda casa.
La storia di Sandy Fawkes è quella di un trauma, una tragedia. È impressionante, ma sotto c’è anche qualcosa di più complicato, quindi più interessante
Anni passati a frequentare pub e discoteche le avevano insegnato che, anche se era un po’ grassoccia e non proprio di una bellezza travolgente, aveva un magnetismo che attirava gli uomini come un mucchietto di limatura di ferro. Sandy era single, sulla quarantina. Poteva viaggiare, cercare avventure con uomini più giovani – tra i venti e i venticinque erano l’ideale –, bere quanto voleva senza postumi e mantenere l’attenzione sul suo lavoro.
L’anno prima aveva pubblicato il suo pezzo più personale, un commovente resoconto dello spietato omicidio di Maria Colwell, una bambina di sette anni uccisa dal patrigno violento. La rabbia di Sandy aveva catapultato la storia dall’indifferenza alla prima pagina dei giornali. La sua indignazione l’aveva spinta a parlare della propria infanzia travagliata, suscitando molti elogi e simpatie. Ma quella era una reazione atipica, come avrebbe scoperto in seguito.
Sandy non rimase a lungo sola al bar dell’Holiday inn. Un giovane, che aveva notato poco prima con un certo disprezzo perché indossava una cravatta a fiori abbinata alla camicia, le si avvicinò.
“Ti andrebbe di ballare?”, chiese.
“Be’, no, grazie”. Era stata spiazzata dall’avance, ma vedendo la delusione sul suo volto, sbottò: “Sono appena arrivata in città e non ho bevuto nulla per tutto il giorno. Poi devo mettermi a lavorare. Sono una giornalista”.
“Starai via molto? Tornerai? Sei qui in albergo?”.
Non restò via molto. L’Atlanta Constitution si era rivelato una delusione. Tornò, e quel metro e ottanta dai capelli rossi con “un viso dalla bellezza classica sormontato da una chioma del colore di uno scotch whisky con acqua” che si abbinava bene ai capelli rosso fuoco di Sandy, era ancora al bar. Questa volta, accettò il suo invito a ballare. Le disse che stava andando a Miami.
“Buffo”, disse Sandy, “domani devo andare a West Palm Beach”.
“Potrei darti un passaggio”, rispose lui. “Ci vuole solo un giorno e vedresti qualcosa del paese”.
Sandy rimuginò sulla sua proposta. In quale altro modo avrebbe potuto vedere gli Stati Uniti com’erano veramente? Inoltre, il giovane sembrava un viaggiatore esperto. In precedenza, aveva snocciolato un elenco di città e stati in cui era stato: New Orleans, Houston, Dallas, Kentucky, St. Louis, Alabama.
Decise di accettare, a una condizione. “Non verrò a letto con te. Lo so che non me l’hai chiesto, ma non è difficile leggerti in testa! Inoltre”, continuò, “non so nulla di te, per quanto ne so potresti tranquillamente essere il nuovo strangolatore di Boston!”.
Scoppiarono tutti e due a ridere. Nel giro di poche ore, Sandy si portò a letto il giovane, ma anche quell’esperienza si rivelò deludente. “Quindi in fin dei conti non sei un altro strangolatore di Boston”, disse alla fine. “Che peccato”.
Qualche giorno dopo, Sandy avrebbe scoperto quanto si sbagliava e che pericolo aveva corso.
Ci sono due modi per raccontare la storia di Sandy Fawkes. Il primo è quello in cui è sempre stata raccontata, come una barzelletta, una commedia nera, descrivendo la giornalista come una scellerata, una furba, un’ubriacona, un oggetto di derisione e poi, in seguito, di compassione. A volte Sandy si è raccontata così lei stessa ad amici, a sconosciuti e nel 1977 nel libro A ogni tempo il suo delitto (Rusconi 1978), dal quale è tratta la maggior parte delle citazioni di questo pezzo.
L’altro modo è raccontarla come la storia di un trauma. La storia di una tragedia da cui lei non si è mai ripresa del tutto, di decisioni terribili che hanno portato ad altre decisioni terribili, di alcol come automedicazione e anche della soddisfazione ottenuta dopo aver pagato il prezzo più alto possibile. Una storia impressionante, sì, ma sotto la quale c’è anche qualcosa di più complicato, quindi più interessante.
Sandy Fawkes si era fatta completamente da sola, compreso il nome. Poco dopo la sua nascita, il 30 giugno 1929, uno o entrambi i suoi genitori – non conobbe mai la loro identità – l’avevano abbandonata nel Grand Union canal, a Londra. La bambina, che alla fine si sarebbe chiamata Sandra Boyce-Carmichelle, era passata da una famiglia affidataria all’altra, aveva vissuto un’infanzia segnata da varie forme di abuso e ingiustizia. Gli anni dell’adolescenza avevano coinciso con la seconda guerra mondiale, i bombardamenti tedeschi, l’etica che imponeva di “stare calmi”. La cosa da fare era non pensarci, seppellire la rabbia così in profondità da non sentirla quasi più.
Aveva una certa predisposizione per la pittura e aveva frequentato la Camberwell school of art. Non molto tempo dopo aveva incontrato e sposato Wally Fawkes, un clarinettista che in seguito, nel 1949, sarebbe diventato il vignettista del Daily Mail. Avevano avuto quattro figli, tre femmine e un maschio. Il figlio è ancora vivo, e anche due delle figlie, ma la terza era morta in tenera età, a causa di quella che oggi chiamiamo Sindrome della morte in culla. La perdita di un figlio è devastante. Il dolore può andare e tornare, ma non scompare mai. Per Sandy, pulsava con un ritmo da incubo condizionando tutto quello che avrebbe fatto in seguito. Il suo matrimonio con Wally, ovviamente, non era sopravvissuto.
Lei aveva già sviluppato il gusto per l’alcol alla scuola d’arte grazie al suo mentore, John Minton, che le aveva fatto conoscere i suoi pub preferiti di Soho (sarebbe morto suicida a 40 anni). Gli sgabelli dei bar avrebbero attirato Sandy per il resto della vita, e l’alcol sarebbe diventato il suo balsamo per lenire il dolore. Ma non avrebbe mai potuto farlo sparire del tutto. I periodi di astinenza non erano mai durati a lungo, a parte uno di circa tre anni.
Ma Sandy si vantava di poter lavorare su tutto ciò che la faceva soffrire, fisicamente o mentalmente. Poteva scrollarsi di dosso i postumi della sbornia. Poteva seppellire il dolore. Aveva avuto successo come giornalista di moda per la rivista britannica Vanity Fair e quando era diventata più irrequieta e ambiziosa era andata a lavorare per il Daily Mail e il Daily Express, dove era passata al giornalismo di approfondimento. Era una donna sola in mezzo a una folla di uomini, e sentiva che era necessario bere più di loro, resistere più di loro ed essere più spiritosa di loro.
Come scriveva nel 2006 la giornalista Janet Street-Porter, “Sandy indossava gonne a pieghe nere, camicette di seta bianca, magliette attillate nere luccicanti, calze nere e scarpe col tacco alto. Trasudava glamour da tutti i pori, anche nell’atmosfera fumosa delle sale sul retro dei bar, dove avevamo l’impressione di passare ore e ore ogni giorno”. Street-Porter considerava Sandy un modello, fino a quando non si rese conto che non riusciva più a passare così tanto tempo al pub, anche se c’era la possibilità d’incontrare John Hurt o Francis Bacon o qualsiasi altro degli amici famosi di Sandy. Era stato divertente stare con lei, fino a quando non lo era stato più.
Tutto questo prima di quello che sarebbe successo in America nel novembre del 1974.
Sandy si chiedeva perché avesse accettato l’offerta di un passaggio da quell’uomo. Era attraente e giovane. Ma il sesso, quando era in grado di mantenere l’erezione, non era poi così eccezionale. La sua conversazione ruotava attorno a visioni ricorrenti di una vita breve (“Non ho molto da vivere… Sto per essere ucciso. Presto. Potrebbe essere tra due giorni o tra due mesi. Non so quando, ma entro un anno sarò morto. Sto per essere ucciso da qualcuno”) e ad alcuni nastri nascosti nella cassaforte del suo avvocato. Era vero o l’uomo, che alla fine aveva detto di chiamarsi Lester Daryl Golden, la stava prendendo in giro? E perché mai le aveva chiesto di scrivere un libro su di lui?
Nel frattempo, dall’estate era cominciata una serie di omicidi dalla frequenza impressionante. Alice Curtis, 65 anni, morta soffocata nella sua casa di Jacksonville, in Florida. Mylette e Lillian Anderson, due sorelle di appena sette e undici anni i cui corpi non sono mai stati ritrovati. Un’adolescente il cui nome è rimasto ignoto per decine d’anni. Marjorie Howie, 49 anni, che era stata strangolata con una calza di nylon. Donne e ragazze, tutte morte tra l’1 e il 2 agosto 1974.
L’ondata di morti non si era fermata lì. Il 23 agosto, Kathie Sue Pierce era stata strangolata nella sua casa di Musella, in Georgia, davanti al figlio di tre anni. William Bates era stato prelevato in un pub di Lima, in Ohio, il 3 settembre e il suo cadavere nudo era stato scoperto un mese dopo. Emmett e Lois Johnson erano stati trovati uccisi a colpi di arma da fuoco in un campeggio di Ely, in Nevada, il 18 settembre. Charlynn Hicks era stata stuprata e strangolata a Seguin, in Texas. E l’estetista Ann Dawson era scomparsa da Birmingham, in Alabama, il 23 settembre.
Il peggio doveva ancora arrivare tra ottobre e novembre. Karen Wine e la figlia di 16 anni, Dawn, erano state entrambe violentate nella loro casa di Marlborough, nel Connecticut, il 16 ottobre, e poi strangolate con una calza di nylon. Doris Hosey, 53 anni, era stata uccisa a colpi di arma da fuoco due giorni dopo a Woodford, in Virginia. Il 2 novembre, Edward Hillard e Debbie Griffin avevano scelto l’auto sbagliata per chiedere un passaggio. Lui era stato assassinato e il corpo di lei fu ritrovato nell’agosto 1975. Il 6 novembre, Carswell Carr aveva fatto amicizia con il suo assassino in un bar di Milledgeville, in Georgia, ed era stato accoltellato a morte, mentre la figlia di 15 anni, Mandy, era stata strangolata.
Sandy non sapeva nulla di tutto questo. Almeno fino a quando non aveva visto la prima pagina del giornale locale che Daryl (nome che a lei piaceva molto più di Lester) aveva comprato il 9 novembre, giorno in cui avevano finalmente lasciato Atlanta. Una pagina intera dedicata alla recente ondata di omicidi. Ma lei voleva andare in Florida. La sera prima aveva bevuto troppo. Non le importava molto dell’affermazione di Daryl che diceva di avere amici a Macon, a un centinaio di chilometri da Milledgeville. E di certo non ricordava di avergli detto a letto la sera prima che non pensava affatto che lui fosse un “grande assassino, ma piuttosto il suo piccolo assassino”. Cos’era stato quel fugace sguardo d’irritazione? No, era uno scherzo, meglio non pensarci.
Una volta arrivati a West Palm Beach, il 10 novembre, Daryl si rivelò utile. La accompagnò alla redazione locale del giornale con cui era in prova, la portò a casa del procuratore generale della Florida William Saxbe, che lei voleva intervistare, e l’aspettò in auto fino a quando non ebbe finito. Ma il giorno dopo, Sandy capì che era finita. Il sesso non era granché, non aveva proprio senso continuare.
Una volta arrivati a West Palm Beach, il 10 novembre, Daryl si rivelò utile. Ma il giorno dopo, Sandy capì che era finita. Il sesso non era granché, non aveva proprio senso continuare
“Mi dispiace dovertelo dire, ma tornerò a Londra sabato e ho un sacco di lavoro da fare e persone da vedere prima di partire”.
Però prima che si separassero, doveva sapere: cosa c’era su quei nastri?
Lui non voleva dirglielo.
“In questo caso devo concentrarmi sul mio lavoro. È stata una settimana meravigliosa, Daryl, meravigliosa, davvero come una vacanza. Ma la vita deve andare avanti”.
Lui le chiese se non potevano passare solo un’altra notte insieme.
“No, tesoro. No”. Sandy era irremovibile: “Gli addii sono orribili, ma è meglio farla finita subito”. Lo baciò sulla bocca un’ultima volta e si sentì “libera di andare e venire come voleva”. Passò la serata in un bar con alcuni altri giornalisti del posto, che la presero in giro per aver abbandonato un Daryl chiaramente affranto.
Il giorno dopo, Sandy ricevette un messaggio dal sergente Gabbard, un detective della polizia di West Palm Beach. Quando arrivò alla stazione di polizia, pensò che forse Daryl aveva avuto un incidente. Quando Gabbard le chiese se conosceva una certa Susan MacKenzie, Sandy rispose di sì, vagamente. Era la moglie di uno dei giornalisti con cui era uscita a bere la sera prima.
Sandy si vantava di poter lavorare su tutto ciò che la faceva soffrire, fisicamente o mentalmente. Poteva scrollarsi di dosso i postumi della sbornia. Poteva seppellire il dolore
“Stamani il tuo amico ha tentato di violentarla”.
Sandy, sbalordita, sbottò in una risposta di cui si sarebbe pentita per il resto della sua vita: “Santo cielo… E non era nemmeno un granché a letto!”. Dopo un attimo di silenzio, chiese a Gabbard di raccontarle tutto.
“MacKenzie dice che stamattina, quando l’uomo la stava accompagnando dal parrucchiere, lui ha fermato la macchina lontano dalla strada e le ha chiesto di fare l’amore. Quando lei si è rifiutata, lui le ha puntato una pistola contro”. Susan era riuscita a scendere dall’auto, anche se Daryl l’aveva afferrata per i capelli, e aveva chiamato la polizia da un telefono pubblico. Era stato individuato dagli agenti, ma era fuggito, anche se ora conoscevano la marca e il modello della sua automobile.
Prima di essere arrestato, il 21 novembre, dopo una sparatoria che aveva coinvolto agenti di diverse forze dell’ordine, elicotteri e cani, Daryl aveva ucciso altre due persone: l’agente della polizia stradale della Florida Charles Campbell, che aveva fallito nel tentativo di arrestarlo ed era diventato suo ostaggio, e James Meyer, anche lui sequestrato, per poter scambiare un’auto della polizia con una meno vistosa. Quando l’assassino e i due uomini rapiti avevano raggiunto una remota area boscosa a Pulaski, in Georgia, il destino degli ostaggi era segnato: entrambi erano stati ammanettati a un albero e uccisi a colpi di arma da fuoco.
Nei giorni successivi Sandy scoprì la raccapricciante verità sul suo amante: il suo vero nome era Paul John Knowles ed era sospettato della morte di almeno venti persone. “Esattamente una settimana fa ero tra le sue braccia”, scrisse Sandy nel suo libro. “Come avevo fatto a permettermi un errore del genere? Poi, come un flusso di metallo rovente che m’inondava le vene, era arrivato il ricordo della prima mattina, il senso di disagio che mi aveva spinto a correre verso la porta. Mio Dio, l’avevo intuito”.
Il racconto di Sandy Fawkes del tempo passato con Paul John Knowles finì sulla prima pagina dell’edizione del 19 novembre 1974 dell’Atlanta Constitution, due giorni prima che lui fosse arrestato nella contea di Henry, in Georgia. “Era alto, biondo, bello, con i modi impeccabili degli americani ricchi”, cominciava l’articolo. Ma Sandy si era sbagliata anche su quello.
Knowles conosceva bene le case famiglia e i riformatori della Florida, era stato abbandonato da suo padre dopo una condanna per piccoli reati quando era ancora minorenne. Da molto giovane si era sposato, ma il matrimonio era durato poco. Era entrato e uscito di prigione dall’età di diciannove anni e all’inizio del 1974, mentre si trovava nella prigione di stato della Florida, aveva cominciato una corrispondenza con Angela Covic, una divorziata di San Francisco che lui chiamava il suo “angelo yiddish”. Covic stava quasi per sposare Knowles dopo il suo rilascio, ma aveva annullato il matrimonio quando una sensitiva che aveva consultato l’aveva avvertita che un “uomo molto pericoloso” stava per entrare nella sua vita. Knowles era tornato a Jacksonville e ben presto era stato arrestato di nuovo dopo una rissa in un bar. Era evaso dal carcere il 26 luglio 1974 e la sua follia omicida era cominciata qualche giorno dopo.
Tutti volevano sapere com’erano andate veramente le cose. Aveva la sensazione, scrisse, “di essere il fantasma di se stessa”. Le ci sarebbero voluti altri due anni e mezzo per ricostruire la sua versione della storia
Sandy rimase in Georgia. Era una testimone che poteva confermare dove si trovava Knowles dal 7 al 10 novembre. Voleva anche capire la discordanza tra l’uomo che pensava di conoscere e l’assassino. I nastri di cui parlava esistevano sul serio, erano in custodia dall’avvocato di Knowles, Sheldon Yavitz. Aveva ricevuto istruzioni di consegnarli dopo la morte di Knowles, ma se li era tenuti, e in seguito sarebbe stato arrestato con l’accusa di oltraggio alla corte (avrebbe poi scontato un’ulteriore pena detentiva e avrebbe pubblicato un libro sulla vita movimentata che conduceva quando difendeva mafiosi e spacciatori). Sandy incontrò Knowles solo una volta in tribunale. Poi non l’avrebbe più rivisto.
Meno di un mese dopo il suo arresto, in attesa del processo per tutti gli omicidi, Knowles era morto. Aveva cercato di fuggire mentre era ammanettato al sedile posteriore di un’auto guidata dallo sceriffo della contea di Henry, Earl Lee, con l’agente Ronnie Angel al suo fianco. Erano in autostrada, andavano alla ricerca dell’arma che aveva ucciso Charles Campbell. Knowles aveva tentato di afferrare la pistola di Lee tirandogliela fuori dalla fondina mentre lui provava a mantenere il controllo dell’auto, e Angel gli aveva sparato. Il serial killer era morto sul colpo.
A quel punto, Sandy era tornata a casa a Londra. Tutti volevano sapere com’erano andate veramente le cose. Aveva la sensazione, scrisse, “di essere il fantasma di se stessa”. Le ci sarebbero voluti altri due anni e mezzo per ricostruire la sua versione della storia. A ogni tempo il suo delitto fu pubblicato nel 1977 nel Regno Unito e due anni dopo negli Stati Uniti. Le recensioni furono nel migliore dei casi incerte, nel peggiore ingiuriose. Non davano nessuna importanza al suo stile di scrittura e al suo coraggio. L’incolpavano di essere andata a letto con un uomo malvagio e di fare sesso con uomini più giovani fuori del matrimonio, punto. Si chiedevano che tipo di madre fosse per i suoi figli. Il libro avrebbe dovuto esorcizzare quel fantasma di se stessa, ma probabilmente gliene fece sentire ancora di più la presenza per tutto il tempo in cui è vissuta.
Sandy Fawkes è morta nel 2005, all’età di 76 anni. Secondo sua figlia Kate, al suo funerale la chiesa era “piena di amici, alla fine c’erano solo posti in piedi! Ne sarebbe stata entusiasta”. Le fotografie di alcuni di quegli amici dimostrano quanto significasse per loro e per la sua famiglia. C’era stato, come mi ha detto Kate, “un momento in cui da donna impertinente e affascinante, alcolizzata e di successo, era diventata una figura solitaria che beveva di nascosto”. Poi aveva trascorso gli ultimi quindici anni in adorazione dei nipoti.
Eppure i suoi necrologi riflettono più la durezza dell’ambiente giornalistico che la comprensione per una donna distrutta dal dolore e da scelte dovute a impulsi che, a voler essere sinceri, proviamo tutti noi, e che possono spingerci a fare scelte terribili. Il più citato, un pezzo non firmato del Telegraph, sembra più un regolamento di conti che un resoconto della vita di Sandy. Ho attinto a quel pezzo per i fatti, ma ho cercato di attenuarne la durezza.
Dopo A ogni tempo il suo delitto, Sandy continuò a lavorare, anche se con meno regolarità. L’ambiente le voltò le spalle.
Scrisse Nothing but, il libro di memorie di Christine Keeler, la donna al centro del famoso affare Profumo dei primi anni sessanta, poi adattato per lo schermo con il titolo Scandal – Il caso Profumo nel 1989. Ebbe anche una piccola parte nel film Love is the devil, del 1998.
Sarebbe facile dire che non ci saremmo mai gettati a capofitto in una breve relazione con un serial killer. Ma le donne stringono continuamente rapporti con uomini violenti, senza avere idea della loro vera natura fino a quando non è molto, troppo tardi.
Fawkes concludeva l’edizione originale del suo libro mostrando comprensione per Knowles, dicendo che “era una vittima come ognuna delle 18 persone che aveva ucciso” e augurandosi che “la sua povera anima sconvolta riposasse in pace”. Venticinque anni e mezzo dopo, la pensava diversamente. Nella postfazione all’edizione del 2004 del libro, ripubblicato come Natural born killer (Edizioni Clandestine 2007), scrisse:
In un certo senso è una buona cosa che sia morto, ucciso su una strada come molte delle sue vittime. Se Knowles avesse passato anni a marcire nel braccio della morte gli avrei scritto, nel disperato tentativo di capire perché. Allora ero più giovane. Ora non sono sicura di avere tutta questa voglia di trovare in lui qualcosa che sia degno di comprensione, una spiegazione che tenti anche solo un po’ di discolparlo o faccia in modo che altri ne condividano le colpe. Lui e io avevamo in comune il fatto di essere stati emarginati da bambini, ma lo era anche l’adolescente che aveva violentato e strangolato per divertimento nell’agosto del 1974.
A quel tempo, la ragazza non era stata ancora identificata. Nel 2011, la polizia avrebbe abbinato il suo dna a quello della tredicenne Ima Jean Sanders, che era scomparsa dalla casa della madre e del patrigno a Warner Robins, in Georgia. Quando Ima è stata identificata, Betty Wisecup, sua madre, ha commentato: “Non esci di casa, rapisci una ragazza, la violenti e la strangoli solo per divertimento”.
Kate Fawkes, che aveva diciotto anni quando sua madre incontrò Knowles, continua a riflettere su di lei. “Aveva scoperto che la rivoluzione sessuale degli anni settanta non era andata molto oltre le grandi città, e mentre lei e le sue amiche potevano andare a letto con qualcuno senza bisogno di essere ‘fidanzate’, il resto del mondo non si comportava ancora così. Erano tutti sconvolti dal fatto che una madre di tre figli potesse andare a letto con un uomo molto più giovane di lei che aveva appena incontrato. In questo lei era sicuramente all’avanguardia”.
A ogni tempo il suo delitto era la storia che Sandy Fawkes doveva raccontare. Scelse di raccontarla in un modo che metteva in evidenza la sua spavalderia, ma non ne mascherava l’orrore. Aveva bisogno di chiedere perdono, non solo al lettore, ma anche a se stessa. ◆ bt
Sarah Weinman è nata in Canada e vive a New York, negli Stati Uniti. È autrice di libri come The real Lolita (Ecco 2018) e Scoundrel (Ecco 2022). Scrive le rubriche sulla New York Times Book Review e The crime lady su Substack. Questo articolo è uscito sul sito CrimeReads con il titolo Sandy Fawkes: the reporter and the serial killer . La traduzione è di Bruna Tortorella.
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Questo articolo è uscito sul numero 1543 di Internazionale, a pagina 14. Compra questo numero | Abbonati