Il 28 maggio i video e le foto sono diventati virali. Due campionesse di wrestling sono stese per strada in mezzo a una selva di braccia in uniforme che cercano di trascinarle via. Vinesh Phogat, due volte medaglia di bronzo ai campionati del mondo, e sua cugina Sangeeta Phogat cercano di resistere alla carica della polizia e le immagini le mostrano abbracciate. Accanto a loro un bastone con la bandiera dell’India.

Non è durata molto. Nel giro di poco sono state sopraffatte e spinte a forza nelle camionette che aspettavano di portarle in carcere. Anche il marito di Phogat, Bajrang Punia, medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Tokyo, è stato portato in carcere, insieme a Sakshi Malik, medaglia di bronzo a Rio nel 2016. Entrambi sono stati spintonati e maltrattati dagli agenti. Tutto questo non sarebbe mai dovuto succedere. Stiamo parlando di alcune tra le atlete più celebrate del paese, premiate sui podi più prestigiosi; alle olimpiadi, ai campionati del mondo, ai giochi asiatici, ai giochi del Commonwealth. Se nemmeno loro sono risparmiate dalla furia della polizia, qual è il messaggio per le altre donne indiane che vorrebbero denunciare le molestie sessuali subite?

Le lottatrici protestavano da più di un mese al Jantar Mantar di New Delhi, il luogo delle manifestazioni per eccellenza nella capitale, per chiedere dei provvedimenti contro Brij Bhushan Sharan Singh, presidente della Federazione indiana di lotta e parlamentare del Bharatiya janata party (Bjp), accusato di molestie sessuali e intimidazione. La polizia di New Delhi ha accettato di registrare le due prime denunce solo dopo aver ricevuto un ordine dalla corte suprema.

Cosa ci dice questa vicenda di un paese che dichiara con orgoglio di voler emancipare le Bharat ki betiyan (figlie dell’India)? Di certo c’è stato tempo a sufficienza per evitare questa situazione, poiché le due lottatrici hanno denunciato per la prima volta le molestie a gennaio. La lotta in India affonda le sue radici nella parampara (tradizione) e nel samman (rispetto), valori che in alcuni casi sono usati come giustificazione per mettere a tacere gli abusi. Pur essendo imbevute di questa etica e ben sapendo che qualsiasi forma di dissenso avrebbe messo fine alle loro carriere, a gennaio le lottatrici hanno cominciato a protestare contro Singh, un uomo a cui in passato tutti erano obbligati a toccare in piedi in segno di saluto. Stava cominciando un anno importante per lo sport, con l’avvio delle gare di qualificazione per Parigi 2024 e i Giochi asiatici di settembre. Ma il ministero dello sport ci ha messo più di un giorno a ricevere le due atlete. Il 23 gennaio ha annunciato l’istituzione di una commissione d’inchiesta di cui avrebbero fatto parte la pugile Mc Mary Kom e il lottatore Yogeshwar Dutt, vincitori di medaglie olimpiche ed entrambi del Bjp.

L’anno scorso, quando un allenatore di ciclismo e uno di vela erano stati accusati di molestie sessuali, il ministero era entrato in azione immediatamente. Dopo le denunce, l’autorità sportiva dell’India aveva cancellato i contratti dei due uomini e pubblicato delle linee guida per tutte le federazioni sportive nazionali a sostegno delle atlete. L’hanno potuto fare senza problemi perché i due allenatori non avevano alcuna protezione politica.

Ora però la cosa riguarda un parlamentare del partito al governo e il ministero dello sport sta procedendo con i piedi di piombo. Come se non bastasse, il presidente dell’associazione olimpica indiana, il leggendario velocista Pt Usha, ha accusato le lottatrici di mancanza di disciplina. Il sottosegretario dell’associazione, Kalyan Chaubey, vicino al Bjp, ha detto che le atlete stavano facendo una “pubblicità negativa” all’India.

Il primo ministro Narendra Modi finora ha reagito con un silenzio inquietante. Il 28 maggio, alla cerimonia inaugurale della nuova sede del parlamento, Modi ha dichiarato: “C’è un nuovo entusiasmo. Un nuovo viaggio, un nuovo pensiero. La direzione è nuova, la visione è nuova. Il proposito è nuovo, la fede è nuova”. A tre chilometri di distanza, dal finestrino della camionetta della polizia che la stava portando in prigione, Vinesh Phogat si sporgeva con un messaggio amaro: “Congratulazioni al nuovo paese”. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1514 di Internazionale, a pagina 31. Compra questo numero | Abbonati