Il 20 maggio 2024 Salman Rushdie ha dichiarato che se oggi nascesse uno stato palestinese il governo di Hamas sarebbe “simile a uno stato governato dai taliban”. Lo scrittore ha anche criticato le proteste studentesche contro Israele, dicendo che è “strano” che dei giovani progressisti appoggino Hamas, “un gruppo terrorista fascista”. Capisco la sua posizione dura, dopo quello che ha subìto a causa della fatwa dell’ayatollah Khomeini e poi dell’accoltellamento che l’ha quasi ucciso. E sono solidale con lui quando alcuni suoi amici di sinistra lo rimproverano di aver “inutilmente provocato” i musulmani.
Queste accuse ovviamente poggiano sulla paura patologica di alcuni progressisti di sinistra occidentali di essere islamofobi. Qualunque critica rivolta all’islam diventa un’espressione dell’islamofobia occidentale. Salman Rushdie è accusato di aver inutilmente provocato i musulmani e quindi (almeno in parte) di essere responsabile della fatwa che l’ha condannato a morte, eccetera. Il risultato è scontato: più gli occidentali di sinistra s’interrogano sulle proprie colpe, più i fondamentalisti musulmani li accusano di essere degli ipocriti che nascondono il loro odio per l’islam. Ed ecco che si riproduce perfettamente il paradosso del superego: più obbedisci a quello che l’altro ti chiede più sarai colpevole. È come se più tolleri l’islam più forte sarà la sua pressione nei tuoi confronti…
Il riconoscimento dello stato palestinese è l’unico modo per mettere un freno a Israele, ma anche per costringere i palestinesi a comportarsi da forza politica legittima
Tuttavia, nel caso dello stato palestinese, non sono d’accordo con Rushdie. Quando cita i taliban, la prima cosa che mi chiedo è come abbiano fatto i taliban ad arrivare al potere in Afghanistan. Il paese era stato relativamente aperto alla modernizzazione fino al 1978, quando i comunisti presero il controllo con un colpo di stato e l’Unione Sovietica intervenne militarmente a sostegno della loro fragile autorità, mentre gli Stati Uniti e il Pakistan fornivano armi alla resistenza musulmana (i taliban erano guidati dai servizi segreti pachistani). Il resto è storia. Quindi sono stati gli interventi stranieri (di Unione Sovietica, Pakistan e Stati Uniti) a spingere un paese relativamente pacifico e pluralista verso un regime fondamentalista e autoritario.
In modo simile, quello che spinge i palestinesi dei territori occupati nelle braccia della brutale resistenza di Hamas è il fatto che Israele non permette ai palestinesi di organizzarsi in quanto soggetto politico autonomo. Per dirla in una battuta, Israele “hamasizza” i palestinesi per giustificare la pulizia etnica e per presentare l’espansione di Israele “dal fiume al mare” come un’autodifesa.
Per questo riconoscere lo stato palestinese e definire senza mezzi termini un crimine contro l’umanità quello che Israele sta facendo nei territori occupati è l’unico modo non solo di mettere un freno al terrore militare israeliano contro i civili, ma anche di costringere i palestinesi a comportarsi da forza politica legittima vincolata dal diritto e dalle regole internazionali.
Di recente ci sono state alcune piacevoli sorprese in questo senso. Gli studenti con le loro proteste non sono gli unici a essersi attivati: Spagna, Irlanda e Norvegia riconosceranno la Palestina, e altri paesi occidentali sono pronti a fare lo stesso. Il 20 maggio il ministro degli esteri francese Stéphane Séjourné si è espresso a sostegno della Corte penale internazionale (Cpi) e dei mandati di arresto emessi nei confronti del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e di tre leader di Hamas per crimini di guerra e crimini contro l’umanità a Gaza e in Israele. Nel suo mandato la corte non fa nessun paragone diretto tra Israele e Hamas, se non per dire che entrambi hanno commesso dei crimini. Qualche giorno dopo alla Francia si è aggiunto anche il Belgio.
Non c’è da stupirsi se l’amministrazione Biden minaccia sanzioni nei confronti del procuratore della Cpi Karim Khan. Il senatore statunitense Lindsey Graham ha avvertito: “Se fanno questo a Israele, i prossimi saremo noi”.
Graham ha ragione: finora si dava per scontato che la Cpi si sarebbe occupata di paesi dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina, ora invece vuole applicare l’“ordine internazionale basato sul diritto” in tutto il mondo, senza eccezioni. Credo che questi sviluppi siano importanti proprio perché rifiutano di usare i diritti umani come un pretesto per il dominio occidentale e li prendono più sul serio di quanto siano stati concepiti.
Respingo l’equazione tra la distruzione israeliana di Gaza e la difesa di Kiev dall’attacco russo, cioè il fatto di considerare “guerra imperialista” la lotta per la sopravvivenza ucraina
La minaccia non proviene solo dall’ipocrita promozione dei diritti umani in occidente: in un modo o nell’altro, tutti i grandi blocchi di potere oggi fanno lo stesso gioco. Non si tratta solo del fatto che le regole universali non sono applicate con coerenza: c’è anche una falsa universalità che mette aggressori e vittime sullo stesso piano.
Prendiamo per esempio un episodio recente che, come succede spesso, mi ha fatto vergognare della “sinistra” slovena. Quando il 23 maggio 2024 la nave mercantile Borkum è approdata nella città costiera slovena di Koper hanno cominciato a circolare voci secondo cui l’imbarcazione trasportava armi destinate a Israele e, come previsto, i manifestanti filopalestinesi hanno chiesto al governo sloveno di impedire l’attracco della Borkum.
Ma quando un’agenzia governativa ha chiarito che non c’erano armi sulla nave diretta in Israele, 43 organizzazioni che avevano partecipato alla protesta hanno aggiunto la seguente dichiarazione: “Indipendentemente da quale sarà la destinazione finale delle armi, Israele o la Repubblica Ceca, e da lì magari l’Ucraina, si tratta di armi per le forze armate di stati imperialisti che non contribuiscono alla pace e non difendono i lavoratori. Noi, firmatari di questa dichiarazione, ci schieriamo per la pace e siamo contrari agli armamenti. Trafficare armi per le guerre imperialiste è inaccettabile”.
Personalmente respingo l’equazione di fondo tra la distruzione israeliana di Gaza (e non solo) e la difesa di Kiev dall’attacco russo, cioè il fatto di considerare una “guerra imperialista” la disperata lotta per la sopravvivenza dell’Ucraina. È questo il motivo per cui il recente impegno di Putin per una “Palestina libera” è una menzogna sostenuta da una verità fattuale: serve a offuscare l’impegno per una ”Ucraina libera” violato dalla Russia.
Ma adesso arrivano dei segnali di speranza. Il 24 maggio 2024 la Corte internazionale di giustizia (Cig), il più importante tribunale delle Nazioni Unite, ha ordinato a Israele di “fermare immediatamente” la sua offensiva militare a Rafah.
I pronunciamenti della Cig sono definitivi e vincolanti, ma non esiste un meccanismo per farli rispettare. E qui entrano in gioco i cinici, secondo i quali questi grandi gesti pubblici di condanna sono vuoti e senza alcun effetto rilevante sul campo di battaglia. Ma è un giudizio sbagliato: lo prova chiaramente la reazione dell’establishment filoisraeliano, in preda al panico davanti al mandato della Cpi e alle iniziative per il riconoscimento della Palestina. Jean-Paul Sartre l’aveva detto in modo preciso: “Quando le autorità trovano utile dire la verità, è perché non riescono a trovare una bugia migliore. Immediatamente questa verità, pronunciata da bocche ufficiali, diventa una menzogna avvalorata dai fatti”.
È quello che succede quando i paesi occidentali esprimono “preoccupazione” per la violenza dell’esercito israeliano a Gaza e in Cisgiordania: nonostante le critiche al governo di Tel Aviv, continuano a mandare armi al suo esercito. Ma la tesi di Sartre non è universale: ci sono modi di dire la verità che non diventano menzogna.
Riconoscere lo stato di Palestina e obbedire al mandato della Cpi per l’arresto di Netanyahu rientrano tra questi casi. Nell’attuale inflazione di dichiarazioni solenni, non dobbiamo mai dimenticare che le parole non sono tutte uguali, che ci sono ancora parole che producono l’effetto della verità.
La maggior parte di noi conosce bene la scena del film Codice d’onore (Rob Reiner, 1992) in cui Tom Cruise si rivolge a Jack Nicholson dicendo “Io voglio la verità!”, e Nicholson gli risponde gridando: “Tu non puoi reggere la verità!”. È una risposta più ambigua di quanto possa sembrare: non dovrebbe essere intesa solo nel senso che la maggior parte di noi è troppo debole per reggere la brutale realtà delle cose. Se qualcuno dovesse chiedere a un testimone la verità sull’Olocausto, e quel testimone rispondesse “Tu non puoi affrontare la verità!”, non bisognerebbe intenderlo solo come un modo di affermare che la maggior parte di noi non è in grado di elaborare l’orrore dell’Olocausto.
A un livello più profondo, furono gli stessi carnefici nazisti a non essere in grado di affrontare la verità: erano incapaci di accettare il fatto che la loro società fosse attraversata da un antagonismo totalizzante, e per evitare di comprenderlo si lanciarono in una furia omicida contro gli ebrei, come se quello sterminio potesse ristabilire un corpo sociale armonioso.
E qui risiede la lezione definitiva degli orrori a Gaza e in Ucraina: non solo scappiamo nella fantasia per evitare di affrontare a fondo la realtà, ma scappiamo anche nella realtà (delle azioni brutali) per evitare la verità sulla futilità delle nostre fantasie. Israele sta fuggendo nella realtà della distruzione di Gaza per evitare la verità sulla sua difficile situazione in Medio Oriente, allo stesso modo in cui la Russia sta fuggendo nella realtà della distruzione dell’Ucraina per evitare la verità riguardo la futilità delle sue fantasie euroasiatiche. Il luogo comune che dice “Non limitarti a parlare, fa’ qualcosa!”, dovrebbe essere rovesciato: “Non limitarti a fare cose , dì la parola giusta!”. ◆ fdl
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Questo articolo è uscito sul numero 1565 di Internazionale, a pagina 39. Compra questo numero | Abbonati