Nelle ultime settimane Israele è riuscito a piegare Hezbollah? La risposta è complessa. In primo luogo, perché il Libano non è mai stato tanto vicino a una guerra totale, a prescindere dalle intenzioni dei protagonisti. In secondo luogo perché, anche se Hezbollah ha subìto uno schiaffo di rara violenza simbolica e psicologica con l’esplosione di cercapersone e walkie-talkie il 17 e 18 settembre, le risorse del partito sciita sono molte.

Certo, il bilancio finora è estremamente pesante. Sono stati eliminati diversi comandanti di alto livello. L’operazione del 20 settembre ha decapitato lo stato maggiore della forza Al Radwan – un’unità d’élite del braccio armato di Hezbollah, la cui missione è infiltrarsi in territorio israeliano – uccidendo sedici esponenti, tra cui il capo Ibrahim Akil. Quattro missili israeliani hanno colpito l’edificio dove si stava svolgendo una riunione del comitato di comando, confermando una nuova realtà: l’eccezione sembra diventata la norma. Dopo l’omicidio di Fuad Shukr, il massimo comandante militare di Hezbollah, e di altri leader del partito, il messaggio è chiaro: nonostante le precauzioni che prenderanno i suoi nemici, Israele, grazie alla superiorità tecnologica, può scovarli tutti. E ucciderli.

A questi “grandi nomi” vanno aggiunti i 505 combattenti di Hezbollah morti in questi mesi in Libano e in Siria. E, soprattutto, le conseguenze dell’operazione del 17 e 18 settembre, che ha trasformato cercapersone e walkie-talkie in bombe, facendo 39 morti e quasi tremila feriti. “Le azioni di Israele contro Hezbollah vanno oltre il fatto di colpire i comandanti; stanno smantellando la fiducia tra il gruppo e la comunità circostante, che si è sempre creduta protetta da un apparato militare e di sicurezza altamente professionale”, ha notato il giornalista Ali Hashem su X.

Gli attacchi israeliani hanno evidenziato una falla nella sicurezza di una gravità senza precedenti per il partito. “Gli israeliani sono riusciti a penetrare nei ranghi di Hezbollah e tutte le misure che il partito ha adottato dall’8 ottobre per proteggere i suoi affiliati non stanno funzionando”, sottolinea Nicholas Blanford, ricercatore dell’Atlantic council. Hassan Nasrallah deve essere molto preoccupato. “Israele ha dimostrato di poter individuare una riunione del gruppo e ucciderne i partecipanti. Questo mette in discussione la loro reputazione in termini di sicurezza interna e riservatezza”. Il susseguirsi di fallimenti indebolisce il partito e solleva dubbi sulla sua capacità di portare a termine eventuali azioni all’interno di Israele. Senza contare che l’attacco ai cercapersone ha probabilmente compromesso la comunicazione all’interno dell’organizzazione.

Catena di comando

I danni però potrebbero essere minori del previsto. “È difficile valutarli”, osserva Blanford. “Hezbollah dispone di altri mezzi di comunicazione, tra cui, per esempio, una rete in fibra ottica che copre l’intero paese”. Mohanad Hage Ali, ricercatore del Carnegie Middle East center, aggiunge: “C’è stato un attacco ai metodi di comunicazione e alla struttura di comando di Hezbollah. Questo ha conseguenze sulle operazioni. Ma non possiamo parlare di un colpo fatale. L’organizzazione funziona a compartimenti stagni: le varie unità di Hezbollah nel sud e nella valle della Beqaa continuano a lavorare in maniera autonoma, indipendentemente da quello che succede al centro. Proprio come durante la guerra del 2006”.

Dunque Hezbollah può continuare a funzionare anche quando perde un pezzo grosso. L’organizzazione esiste da più di quarant’anni. Tanti leader eliminati da Israele avevano cinquanta o sessant’anni. Eppure, dal 1982 il movimento sciita non ha mai smesso di reclutare affiliati. “C’è chi ha combattuto contro Israele negli anni novanta, chi in Siria dal 2013 e così via. Se Israele uccide un generale di primo piano, un altro ne prenderà il posto”, insiste Blanford. “Ogni eliminazione è un colpo per il morale delle truppe, tuttavia non c’è interruzione nella catena di comando”. Secondo l’esperto, se Israele decidesse un’invasione di terra del Libano dovrebbe affrontare le unità Nasser e Aziz, “le due forze di prima linea nel sud del Libano”. Ma sarebbero gli uomini dell’unità Al Radwan a essere inviati in Israele. “Può darsi che sia difficile per loro attraversare il confine nell’immediato. Però non credo che le loro capacità operative saranno compromesse nel medio o lungo termine”, aggiunge.

Dopo l’8 ottobre Hezbollah si è servito soprattutto del suo vecchio arsenale, composto da razzi Katiusha (risalenti alla seconda guerra mondiale) e Falaq. Inoltre, dal 2006 ha decuplicato le sue risorse, passando da 15mila a 150mila tra razzi e missili. E da mesi ricorre ai droni per attaccare le postazioni israeliane. Ma le armi che preoccupano davvero Israele non sono ancora state usate. Secondo diverse stime, Hezbollah dispone di decine di migliaia di missili Zelzal 1 e Zelzal 2, con gittate rispettivamente di 160 e 210 chilometri e una carica esplosiva di 600 chili. Il suo arsenale conta anche migliaia di missili Fateh-110, una delle armi a più lunga gittata – tra i 250 e i 300 chilometri – e scud con una gittata di 700 chilometri. Il partito possiede infine una scorta rilevante di missili antiaerei capaci di abbattere elicotteri e velivoli a bassa quota.

“Quando si dice che Hezbollah è indebolito militarmente, non significa che non possa colpire Israele. Le bombe, i droni e i missili sono intatti. Certo, lo stesso Nasrallah ha riconosciuto di avere meno quadri, ma mantiene la sua strategia di unire i fronti”, commenta Joseph Daher, professore all’Università di Losanna. Mohanad Hage Ali aggiunge che “può anche beneficiare delle frontiere aperte con Siria, Iraq e Iran”, riferendosi al campo dell’“asse della resistenza”. In questa logica, Hezbollah ha rivendicato diversi bombardamenti nella notte tra il 21 e il 22 settembre, nella regione di Haifa, nel nord di Israele. È la prima volta dall’8 ottobre. Si tratta di attacchi a più lungo raggio rispetto al solito, che inaugurano l’uso dei razzi Fadi 1 e 2. Queste operazioni sono una risposta alle esplosioni dei cercapersone e dei walkie-talkie e all’intensificarsi degli attacchi israeliani nel sud del Libano, dove la popolazione vive un inferno. “Hezbollah ha aumentato un po’ la pressione per dire alla sua base ‘siamo ancora qui e abbiamo la capacità di reagire’. Ma le sue reazioni rimarranno moderate, anche se potrebbero aumentare di intensità”, sostiene Joseph Daher.

Non cadere nella trappola

Dall’8 ottobre né l’Iran né Hezbollah auspicano un’estensione regionale del conflitto. Ma il rompicapo strategico che Hezbollah deve affrontare non è mai stato così pericoloso. “La sfida per il gruppo è evitare di cadere nella trappola israeliana e calcolare attentamente le sue azioni. Tutto quello che fanno gli israeliani ha l’obiettivo di farlo arretrare – e questo non è nel suo dna – o spingerlo a una reazione eccessiva che porterebbe a una guerra totale”, dice Blanford. “Dobbiamo tenere presente che politicamente, anche se c’è un clima di solidarietà nazionale, il discorso di Hezbollah sull’unità dei fronti è sempre più difficile da mantenere. Di per sé, non ha aiutato i palestinesi. Il genocidio è ancora in corso e il Libano sta pagando un prezzo molto alto”, conclude Daher. ◆ adg

Dalla stampa araba
Voci critiche

◆ “Mentre Hezbollah e i libanesi si concentrano sulle loro vittime, tutti temono il peggio per il sud del Libano e per tutto il paese”, scrive Radwan Said sul sito libanese Asas Media. Said parla di una “vittoria totale di Israele”, chiarendo che “la soluzione militare contro Tel Aviv, proposta da decenni da Hezbollah, non è sostenibile”. Sul sito siriano Al Jumhuriya, Johnny Mounir avverte che il Libano si deve aspettare “più di sette settimane di violenza e follia” visto che Benjamin Netanyahu manterrà alta la tensione fino al 5 novembre, per favorire la vittoria di Donald Trump alle elezioni statunitensi.

L’editorialista siriana Alia Mansour, sul settimanale saudita Al Majalla, condanna gli attacchi di Israele in Libano che oltre a colpire i miliziani di Hezbollah uccidono civili innocenti. Ma non risparmia le critiche neanche al gruppo sciita, che ha contribuito a versare il sangue dei siriani schierandosi al fianco del regime di Bashar al Assad. “Pensando all’arroganza con cui Hezbollah ha agito negli anni contro libanesi, siriani, iracheni, o yemeniti molti vedono negli attacchi israeliani una ‘punizione divina’. Questo gruppo che si considerava al di sopra dello stato e della legge ora è vulnerabile. Israele ci ha uccisi, feriti e sfollati, ma lo stesso ha fatto Hezbollah. Adesso non chiedete ai siriani di sostenere un gruppo che gli ha inflitto tanto dolore per più di dieci anni. Nella guerra di Hezbollah contro Israele non costringeteci a scegliere tra due assassini”.


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Questo articolo è uscito sul numero 1582 di Internazionale, a pagina 18. Compra questo numero | Abbonati