La corruzione e la criminalità organizzata stanno devastando l’Ecuador, l’Honduras, El Salvador, il Messico e il Guatemala. Dopo la fine delle dittature militari in America Latina, instaurate spesso con l’aiuto degli Stati Uniti, era nata la speranza di una primavera sudamericana. Ma oggi l’incapacità dei leader politici di prendere atto delle tragedie che si svolgono davanti ai loro occhi, unita all’impunità quasi totale, sta logorando queste democrazie. In un contesto così preoccupante, l’insediamento di Bernardo Arévalo in Guatemala è un segnale positivo. Il nuovo presidente, deciso a difendere la “cosa pubblica” e il bene comune, non esita ad attaccare la criminalità organizzata che ha preso in ostaggio il paese. Le sfide che ha davanti a sé sono enormi, ma fortunatamente la popolazione sembra dalla sua parte.
Nella regione servirebbero molti altri politici come lui. L’Ecuador è precipitato in una sanguinosa guerra tra bande e ha dichiarato lo stato d’emergenza, come El Salvador. L’Honduras vive una situazione simile, mentre in Messico il governo ha perso il controllo della società. Durante l’ultimo mandato del presidente Andrés Manuel López Obrador, ci sono stati più di 158mila omicidi e più di 40mila persone sono scomparse. Anche nei paesi andini le condizioni sono allarmanti.
L’Europa è concentrata sul futuro dell’Ucraina, ma dovrebbe interessarsi anche alle battaglie democratiche dell’America Latina. La risposta al crimine organizzato e alle colpe della politica non può essere il populismo di destra dell’argentino Javier Milei né quello di sinistra del messicano Obrador e nemmeno l’emigrazione verso gli Stati Uniti. Bisogna ristabilire un contratto sociale tra il potere e il popolo, per la stabilità di questi paesi e di tutto il continente. ◆ as
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Questo articolo è uscito sul numero 1548 di Internazionale, a pagina 17. Compra questo numero | Abbonati