“Siete svapatori o fumatori?”. Una decina di persone distribuiscono volantini ai passanti. Indossano una maglietta in poliestere con lo slogan Back vaping. Beat smoking (Sostieni lo svapo. Sconfiggi il fumo). Dopo Barcellona, Milano e Berlino, alla fine del settembre 2021 il minibus elettrico della World vapers’ alliance (Alleanza mondiale degli svapatori), con tanto di guantoni da boxe rosa sul tettuccio, ha fatto tappa nel quartiere londinese di Shoreditch. Nella sua tournée europea, che ha toccato otto paesi, ha diffuso un semplice messaggio: la sigaretta elettronica può “salvare diciannove milioni di vite”. Lo svapo è “meno nocivo della sigaretta del 95 per cento”, sostiene l’organizzazione. I governi, però, moltiplicano le “misure repressive”: impongono tasse e vogliono vietare gli aromi nei liquidi per le sigarette elettroniche. Ecco perché la
World vapers’ alliance si propone di “amplificare la voce degli svapatori di tutto il mondo” e far sì che sia “ascoltata nelle stanze del potere”.
Michael Landl, 34 anni, ci fa visitare l’accampamento del movimento, che dirige dall’agosto del 2020. Su uno spesso strato di erba sintetica c’è una tenda in cui si può scrivere al deputato del proprio collegio e sostenere la campagna con una firma. Inoltre c’è uno studio per registrare la propria testimonianza di svapatore disintossicato dalla sigaretta. Quindi un angolo per i selfie e poi i gadget. “Vediamo diverse centinaia di persone ogni giorno, funziona benissimo”, afferma con soddisfazione il giovane austriaco, che svapa all’aroma di melone, mela verde o menta.
Landl assicura che il suo movimento raggruppa “ventiquattro organizzazioni e circa quindicimila soci”. Sul sito, però, si parla di “decine di migliaia di svapatori”. Chi rappresenta di preciso la World vapers’ alliance? Nello studio in cui si registrano i video troviamo un indizio sul tavolo: Red flag. Incaricato di raccogliere i consensi scritti degli svapatori che accettano di fare da testimonial, quest’azienda di comunicazione citata nei documenti è nota perché organizza movimenti facendoli sembrare spontanei, nati dal basso. È una tecnica di pressione e propaganda chiamata astroturfing, un termine inglese che deriva proprio dal marchio di un prato artificiale come quello usato nell’accampamento londinese della World vapers’ alliance.
La mano invisibile
La Red flag si era già fatta notare nel 2017, quando aveva organizzato la campagna Freedom to farm per sostenere il glifosato in otto paesi europei. L’operazione era stata messa in piedi per conto del colosso statunitense dell’agrochimica Monsanto (oggi controllato dalla tedesca Bayer) e contava ben pochi agricoltori in carne e ossa tra i partecipanti. Uno dei suoi clienti più importanti è la British American Tobacco. Prima della sua tournée senza pubblico, la World vapers’ alliance ha organizzato anche delle manifestazioni senza manifestanti, in apparenza allegoriche. Davanti alla sede di Bruxelles del parlamento europeo o ai piedi della porta di Brandeburgo, a Berlino, al posto dei manifestanti c’erano sagome sorridenti di cartone a grandezza naturale che riproducevano Landl e altre persone. Quasi tutte appartenenti a un’altra organizzazione di cui la World vapers’ alliance costituisce una facciata: il Consumer choice center (Ccc).
Lanciato a Bruxelles nell’aprile 2017, il Ccc ha la pretesa di essere un “movimento popolare mondiale” che rappresenta “milioni di consumatori” in “cento paesi in tutto il mondo”. Usa l’espressione “movimento grassroots”, che in inglese suggerisce la mobilitazione spontanea di un collettivo di consumatori insoddisfatti. Tuttavia il suo direttore generale, il tedesco Fred Roeder, 34 anni, che a luglio sciava a Dubai sulla neve artificiale di una struttura dove c’erano addirittura dei pinguini veri, non ha certo le abitudini del consumatore medio. Il Ccc è un movimento di massa? Facendo appello al regolamento europeo sulla protezione dei dati, il suo direttore rifiuta di fornire le prove dell’esistenza dei suoi partecipanti, anche in forma anonima. Sui social network i conti non tornano, visto che ha poco più di tremila follower su Facebook o Twitter. I suoi obiettivi invece sono più trasparenti: il Ccc si oppone alle regole “paternaliste” che ostacolano, a suo avviso, la libertà dei consumatori in campi molto diversi, dall’economia digitale ai trasporti, dalla sanità allo “stile di vita”. Contrario alla tassazione dei prodotti zuccherati e degli alcolici, favorevole alla legalizzazione della cannabis, il Ccc ha fatto della “riduzione del danno” legata al tabacco uno dei suoi cavalli di battaglia più importanti.
Alle persone che hanno appena aderito alla campagna e si allontanano dal minibus con un gadget firmato in mano manca però un’informazione fondamentale: le due organizzazioni sono finanziate dall’industria del tabacco. “Cosa?”, s’indigna una ragazza che ha appena firmato. “Non me l’hanno detto, ma avrebbero dovuto farlo”, esclama. “In effetti avevo avuto la sensazione che ci fosse qualcosa di strano”.
Prendere soldi dall’industria del tabacco per difendere le sigarette elettroniche? Secondo Landl non c’è alcun problema. “Sul nostro sito ci sono tutte le informazioni”, si difende. Non sul sito della World vapers’ alliance, comunque. Per trovarle bisogna cercarle su quello del Ccc. Le principali multinazionali del tabacco hanno messo mano al portafoglio per sostenere l’organizzazione. La Japan Tobacco International ne ha sponsorizzato l’operazione di lancio e l’ha finanziata. Dal 2019 il Ccc ha anche il sostegno della British American Tobacco, della Philip Morris International e di Altria (la casa madre della Philip Morris Usa).
Il 20 settembre 2021 in un pub di Londra, e poi in alcune email, abbiamo chiesto invano a Roeder, il direttore del Ccc, di svelare l’ammontare delle donazioni. “Svolgiamo la nostra attività nella più totale indipendenza, non c’è niente che possa considerarsi ‘pilotato’”, ha garantito. La British American Tobacco finanzia l’organizzazione per sostenere la sua attività di “promozione della riduzione dei rischi legati al tabacco”. Molto in voga dal 2017, il precetto della riduzione del danno invita i fumatori a passare agli inalatori di nicotina, proprio come i tossicodipendenti che usano il metadone per farla finita con l’eroina.
Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), che guida la lotta contro il tabacco, la scienza non ha ancora elementi per prendere una decisione sui dispositivi elettronici, proibiti in 32 paesi. I suoi continui avvertimenti contro i nuovi prodotti esasperano i sostenitori della “riduzione del danno”, che li celebrano come meno nocivi delle sigarette. Questo dibattito lacera il mondo della lotta contro il tabacco, dove i favorevoli alle sigarette elettroniche possono essere sia persone onestamente convinte dei loro vantaggi sia alleati dei produttori di tabacco, senza peraltro che una posizione escluda l’altra.
Le grandi aziende del tabacco, in effetti, si sono appropriate del concetto di riduzione del danno per trasformarlo in uno strumento di marketing. Dopo averlo aggiornato intorno alla promessa di un “mondo senza fumo”, con gli strumenti di pressione a loro disposizione vogliono impedire ai governi di regolamentare e tassare questi nuovi prodotti. Oggi il settore del tabacco usa la riduzione del danno come un cavallo di Troia per presentarsi da interlocutore credibile ai poteri pubblici, senza però rinunciare a vendere le sigarette, che assicurano ogni anno entrate per 596 miliardi di euro. Tra le tattiche preferite c’è la creazione di organizzazioni di facciata che veicolino in modo più presentabile il suo messaggio.
Secondo l’Oms la scienza non ha ancora elementi per prendere una decisione sui dispositivi elettronici, che sono proibiti in 32 paesi
Gli svapatori, persone che hanno smesso di fumare o hanno intenzione di farlo e a volte oscillano tra sigarette elettroniche e ricadute nel tabacco, sono in generale molto ostili ai produttori che li hanno resi dipendenti. La maggior parte di loro ne è consapevole: la metà dei fumatori muore a causa delle sigarette. Ancora oggi in tutto il mondo ci sono un miliardo di fumatori. Secondo i dati dell’Oms nel 2021 sette milioni moriranno a causa del tabagismo e trascineranno con sé un altro milione di vittime del fumo passivo.
Una manna dal cielo
Lanciate più di dieci anni fa da alcuni produttori indipendenti, le sigarette elettroniche si sono trasformate in una manna dal cielo per le multinazionali del settore. Nel tentativo di non perdere neanche un cliente, tutte le aziende hanno sviluppato un proprio marchio: Vuse (British American Tobacco), Juul (Altria), Logic (Japan Tobacco International), Blu (Imperial Brands).
Il settore dei prodotti heat-not-burn (scalda ma non brucia), cioè i dispositivi elettronici che scaldano il tabacco a una temperatura inferiore a quella della sigaretta sprigionando vapore, è invece dominato dalla Philip Morris International. Nel 2019 questi nuovi prodotti rappresentavano un mercato da tredici miliardi di euro.
Il 14 luglio 2021, sotto il cielo nuvoloso di Bruxelles, il minibus della World vapers’ alliance ha lanciato la sua tournée proprio davanti al parlamento europeo. Il tedesco Peter Liese, influente deputato del Partito popolare europeo, è uscito per salutare Landl ed esprimere il suo sostegno alla campagna. Il giorno dopo era prevista la prima riunione della Beca, la commissione speciale del parlamento europeo che ha il compito di discutere il piano per sconfiggere il cancro lanciato dalla Commissione europea all’inizio del 2020. Nato con l’obiettivo di arrivare a una “generazione senza tabacco” entro il 2040, questo piano punta non solo a rivedere le tasse sulle sigarette, ma anche a estenderle agli inalatori di nicotina. Per il settore, i cui prodotti sono responsabili di più di un quarto dei casi di tumore in Europa, questo progetto rappresenta una grave minaccia.
Il rapporto che la Beca ha presentato a luglio vuole spingersi oltre, proponendo di vietare gli aromi delle sigarette elettroniche, una vera piaga per bambini e adolescenti con le loro fragranze di zucchero filato, muffin o caramelle. Vi si oppongono molti deputati europei, tra cui Liese. Landl gli ha presentato la World vapers’ alliance come un’organizzazione di consumatori “con budget bassissimo”, ma l’eurodeputato sa che riceve finanziamenti dai produttori di sigarette. Quest’informazione, però, non ha modificato la sua posizione né il suo sostegno alla campagna. Una tesi “non può essere cancellata con la scusa che può tornare utile anche all’industria del tabacco”, ha risposto per email Liese, che continua ad apparire in un video promozionale della World vapers’ alliance. “Da medico mi batto contro il consumo del tabacco fin dalla mia prima elezione al parlamento europeo”, ha proseguito, ricordando il sostegno dato in passato all’imposizione del pacchetto neutro (senza logo e altri elementi estetici) e al divieto della pubblicità per il tabacco. Ora sostiene la riduzione del danno e lo svapo.
Liese non è l’unico interlocutore del Ccc al parlamento europeo. L’associazione sostiene di aver dato vita a un intergruppo costituito da una trentina di deputati, il Meps4Innovation (Eurodeputati per l’innovazione). Non compaiono ancora nell’elenco ufficiale degli intergruppi per un problema amministrativo, spiega Roeder. L’europarlamento però smentisce: il Mep4Innovation “non è un gruppo ufficiale”. Metà dei componenti appartiene a partiti populisti o di estrema destra. Tutti concordano su diversi temi, tra cui la riduzione del danno. I deputati italiani Pietro Fiocchi (Gruppo dei conservatori e riformisti europei) e Aldo Patriciello (Partito popolare europeo) fanno anche parte della Beca. Questo non gli ha impedito di depositare una ventina di emendamenti a favore delle sigarette elettroniche e contro il “piano sul cancro”. Il Ccc è finanziato dall’industria del tabacco? Fiocchi “non ne aveva idea”. Ma questo non lo disturba. “Io parlo con la Philip Morris, con la British American Tobacco, con tutti”, afferma il politico di Fratelli d’Italia.
Il Ccc si è mobilitato contro tutti i processi legislativi che toccano gli interessi dell’industria del tabacco. L’organizzazione fa ricorso anche ad azioni di lobbismo più classiche per cercare di introdurre le sue idee nei centri decisionali europei. Dichiara di investirci un terzo del bilancio, che è quasi di un milione di euro. Una decina di dipendenti organizza conferenze e tavole rotonde, redige studi e rapporti, piazza editoriali sui mezzi d’informazione più seguiti a Bruxelles, realizza podcast, apre account su Twitter, Facebook, YouTube e Instagram. Il Ccc partecipa ai processi legislativi intervenendo alle consultazioni pubbliche che la commissione organizza per prendere le sue decisioni. A ottobre del 2020 ha criticato il rapporto di un comitato scientifico sulle sigarette elettroniche definendolo “pieno di argomenti faziosi”. A giugno del 2021 si è opposto a ogni forma di tassazione del tabacco e delle sigarette elettroniche. Per l’organizzazione fumare è “una questione di scelta del consumatore e di responsabilità personale”.
Il logo della World vapers’ alliance raffigura un pugno sinistro che stringe una sigaretta elettronica. È preso in prestito dall’immaginario rivoluzionario, ma la rivoluzione a cui aspira il movimento si colloca nell’area della destra radicale.
Anche se è nascosto dietro spesse cortine di fumo, il denaro lascia sempre delle tracce. Oltre a essere produttori di sigarette, alcuni finanziatori del Ccc, nominati di sfuggita nei recessi del sito, lasciano intravedere una realtà ancora più complessa. Gravitano intorno a una galassia oscura animata nel corso degli ultimi decenni da gruppi di miliardari statunitensi ancora poco conosciuti in Europa. Per esempio i fratelli Koch. Morto nel 2019, David ha lasciato alla vedova Julia, 58 anni, il ventisettesimo posto nella classifica delle persone più ricche del mondo stilata dalla rivista Forbes. David condivideva quel posto con il fratello Charles, 86 anni, oggi a capo di un progetto politico di destra così estremo che perfino William F. Buckley, un noto conservatore statunitense, l’ha definito “anarco-totalitarismo”.
Il libertarismo si distingue per la sua ostilità viscerale a qualsiasi intervento governativo che impone agli individui le loro scelte di vita
I fratelli più ricchi del mondo
I fratelli Koch devono l’origine della loro immensa ricchezza soprattutto allo sfruttamento delle fonti d’energia fossili. Con le sue raffinerie di petrolio, gli oleodotti e le miniere di carbone, nel 2019 la Koch Industries ha raggiunto un volume d’affari di cento miliardi di euro. È la principale azienda non quotata degli Stati Uniti e produce anche moquette, airbag, stoviglie di carta, nylon, vetro, sedie da giardino e carta igienica. Possiede interessi nel campo della chimica e dei fertilizzanti, nell’agroalimentare e nella finanza, nell’industria della carta e nel settore dell’allevamento. Non essendo quotata in borsa, non è tenuta a dare conto delle sue finanze o delle sue attività agli azionisti. Questa cultura del segreto è il marchio di fabbrica dei Koch.
“Una persona che lavorava per loro mi ha detto: ‘Il punto non è tanto che le loro attività sfuggono ai radar. Sono totalmente sotterranee’”, racconta Jane Mayer, giornalista del New Yorker che ha scritto un libro importante sui miliardari dietro l’estrema destra: Dark money (Doubleday 2016). I due miliardari, spiega Mayer, sono “pionieri dell’astroturfing nella politica statunitense. Hanno incanalato il loro denaro opaco verso organizzazioni difficili da far risalire a loro, con lo scopo di acquisire influenza e manipolare la politica”. I fratelli Koch, per esempio, sono tra i grandi finanziatori dello scetticismo climatico. Greenpeace ha calcolato che tra il 1997 e il 2018 le loro fondazioni hanno versato più di 127 milioni di euro a novanta organizzazioni per attaccare la scienza del clima. Sono anche i più importanti sostenitori della politica libertaria radicale negli Stati Uniti.
Spesso definito a torto ultraliberismo, il libertarismo si distingue per la sua ostilità viscerale a qualsiasi intervento del governo sulle scelte di vita delle persone. Si batte per la soppressione delle tasse e dei programmi di welfare. Ed è a favore di un controllo minimo sul mondo degli affari e delle attività industriali, soprattutto nel campo ambientale.
D’altro canto, proprio per risparmiare sulle colossali tasse di successione il padre dei Koch, Frederick, spostò milioni di dollari in fondazioni filantropiche prima della sua morte, avvenuta nel 1967. Charles e David hanno poi fatto di tutto per “trasformare la filantropia in un’arma” e combattere la loro “guerra delle idee”, come scrive Mayer.
Intorno al loro progetto ideologico hanno raccolto decine di famiglie miliardarie, che fanno ricorso alle stesse agevolazioni fiscali per preservare i loro patrimoni: gli Scaife (finanza e petrolio), i
Bradley (settore della difesa), gli Olin (chimica e munizioni), i Coors (birrifici) o i DeVos (vendita porta a porta). Una rete così estesa da guadagnarsi il soprannome di Kochtopus, dalla parola octopus, che in inglese significa piovra.
Da decenni le fondazioni di questi miliardari invisibili dirigono i soldi della loro generosità non tassabile verso una miriade di fondazioni e centri studi che finanziano a loro volta organizzazioni, consulenti e commentatori pronti a esprimere sui mezzi d’informazione la loro opinione in apparenza indipendente e a influenzare il dibattito pubblico garantendo la diffusione delle loro idee. Un sistema a matrioska dalla complessità infernale che, secondo Mayer, ha “cambiato gli Stati Uniti”. Ora tocca al resto del mondo?
Appoggiato all’impermeabile Burberry ripiegato sullo schienale della sedia, Roeder confessa che svapa all’aroma di anguria. Un buffo dettaglio se pensiamo che nell’universo libertario, in cui l’ossessione per il socialismo sfocia spesso nella paranoia, proprio watermelon (anguria) è un insulto comunemente usato per gli ecologisti e i progressisti (ritenuti verdi all’esterno ma rossi all’interno).
Il Ccc opera in Europa, ma la sua sede si trova negli Stati Uniti, dov’è registrato come organizzazione senza scopo di lucro (non profit) di tipo 501 (c). È lo statuto preferito dalle innumerevoli organizzazioni finanziate dai fratelli Koch e dai loro alleati, perché garantisce l’esenzione da moltissime tasse e permette di mantenere segreta l’identità dei donatori.
Prima ancora di sentirsi fare la domanda, Roeder mette le mani avanti: “Probabilmente a un certo punto mi chiederai se riceviamo soldi dai fratelli Koch. No. Glieli ho chiesti più volte” ma, spiega, descrivendosi come un personaggio senza importanza collocato “in fondo alla catena alimentare”, a quanto pare “non sono davvero interessati a quello che succede fuori dagli Stati Uniti in termini di politiche pubbliche”.
La storia e i conti del Ccc sono tuttavia strettamente legati a un’organizzazione fondamentale nel sistema Koch: la Students for liberty. Questa struttura ha il compito di formare la nuova generazione libertaria ed è nata su iniziativa del beneficiario di una borsa di studio del Charles Koch institute nel 2007. Da allora usa il suo budget annuale di 3,5 milioni di euro per “individuare i giovani già favorevoli alla libertà e fornirgli delle risorse per diffondere le loro idee”. Anche la Students for liberty è registrata con lo statuto 501 (c), e dal 2016 non rende più noti i nomi dei suoi finanziatori. Dall’analisi di centinaia di pagine di documenti fiscali emerge però che negli ultimi cinque anni ha percepito più di un milione di euro da organizzazioni legate direttamente a Charles Koch e ai suoi alleati (Charles Koch foundation, Charles Koch institute, Donors trust, Donors capital fund).
Lo stesso indirizzo
Nel corso dell’intervista Roeder non ha fatto che sminuire i suoi legami con la Students for liberty. Lo stesso Ccc però nasce come un progetto della Students for liberty, e le due organizzazioni hanno avuto a lungo lo stesso indirizzo. Per nove anni, finché nell’aprile 2020 il Ccc non si è staccato ufficialmente, Roeder ha ricoperto ruoli di primo piano nella Students for liberty, risultando cofondatore del suo ramo europeo. Altri dieci componenti del Ccc, tra cui il braccio destro di Roeder, Yaël Ossowski, hanno ricoperto incarichi come “responsabile dello sviluppo internazionale” o “direttore dei programmi europei”.
Un rapporto ancora più sotterraneo lega Roeder alla Students for liberty. Il giovane imprenditore possiede un’azienda con sede a Tallinn, in Estonia, la
Healthcare solutions, che dal 2015 ha ricevuto quasi seicentomila euro dalla Students for liberty per un’attività di consulenza. Una cifra che coincide quasi del tutto con il suo volume d’affari annuale. Jeff Stier, un altro consulente spesso ospite in tv negli Stati Uniti, ha ricevuto con lo stesso espediente più di duecentomila euro. Stier è socio del Ccc.
“Potremmo definirla una grande società di facciata”, esclama Mayer. “Un movimento spontaneo e popolare spuntato fuori così, con persone che sentono un improvviso bisogno di svapare per lottare contro il tabacco? Che sciocchezze”, osserva la giornalista. “È vergognoso esportare la nostra abitudine a corrompere la politica dagli Stati Uniti al resto del mondo”.
Alla fine, con la scusa di una forte stanchezza, suffragata da un teatrale sbadiglio, Roeder ha lasciato il pub proprio quando si cominciava a parlare di finanziamenti. Le domande che gli abbiamo mandato per email non hanno ricevuto risposte precise.
I produttori di sigarette si sono rivolti ai gruppi libertari e li hanno pagati, proprio come si farebbe con un fornitore di servizi
Come la quasi totalità delle organizzazioni senza scopo di lucro e dei centri studi a favore del libero mercato citati in quest’inchiesta, il Ccc e la Students for liberty sono anche partner dell’Atlas network, un’organizzazione con ramificazioni internazionali. Nel 2018 il Ccc ha ricevuto una sovvenzione di quattordicimila euro per “il suo impegno a facilitare gli scambi commerciali, con lo scopo di contrastare la diffusione della retorica protezionista e le azioni di importanti
leader mondiali in questo periodo”, ha ammesso l’Atlas network in un’email. Secondo alcuni documenti fiscali, la Students for liberty dal 2010 ha ricevuto più di cinquantamila euro.
L’Atlas network ha sede a Washington ed è al centro della rete per diffondere l’ideologia libertaria in tutto il mondo. Connette più di cinquecento organizzazioni in 98 paesi. Il suo obiettivo è un “mondo libero, prospero e pacifico, in cui i princìpi della libertà individuale, della proprietà privata, di un intervento limitato del governo e del libero mercato siano garantiti dallo stato di diritto”. La sua missione è “consolidare” questa rete di centri studi “che promuovono la libertà individuale e s’impegnano a individuare ed eliminare gli ostacoli allo sviluppo degli esseri umani”. In concreto l’Atlas network dispone di un piccolo esercito di propagandisti. In questo sistema, che monitora minuziosamente l’efficacia delle iniziative, l’organizzazione si vanta di aver formato quasi quattromila persone nel 2020, mentre con la sua Atlas network academy ha preparato 884 persone a lavorare nei centri studi.
Patto di ferro
Questo quartier generale del libertarismo distribuisce una parte rilevante della manna statunitense fuori dal paese: quasi quattro milioni di euro nel 2020, di cui più di un milione in Europa. Le sue risorse finanziarie (12,6 milioni nel 2020) provengono sostanzialmente da organizzazioni del Kochtopus. Secondo i nostri calcoli negli ultimi cinque anni ha ricevuto più di 390mila euro dalla Charles Koch foundation e dal Charles Koch institute, più di un milione dal Donor trust e 180mila euro dalla Lynde and Harry Bradley foundation. A questi soldi si aggiunge il denaro dei produttori di sigarette, “alleati strategici” dell’Atlas network. Secondo l’analisi di una squadra di ricercatori dell’università Simon Fraser, a Burnaby, in Canada, pubblicata su una rivista scientifica nel 2016, più di un terzo dei partner statunitensi dell’Atlas network ha ricevuto finanziamenti dalla Philip Morris, dalla Rj Reynolds o dal Tobacco institute, lo pseudo-istituto degli industriali statunitensi del settore. Il contributo delle aziende rappresenta “meno del 2 per cento del totale delle donazioni ricevute nel 2020”, garantisce però l’Atlas network, ed è limitato al “patrocinio della sua cena annuale di gala, una pratica comune per le organizzazioni senza scopo di lucro negli Stati Uniti”.
“L’alleanza delle reti dei fratelli Koch con i produttori di tabacco non è nata ieri”, racconta Stanton Glantz, professore emerito di medicina all’università della California, a San Francisco. Risale agli anni ottanta. Glantz e i suoi colleghi hanno potuto ricostruirne l’origine grazie ai Cigarette papers, milioni di pagine di documenti interni resi pubblici dalla giustizia statunitense che lo stesso Glantz è riuscito a far pubblicare fino al suo recente pensionamento. I fratelli Koch hanno appreso le tattiche dell’astroturfing dagli industriali del tabacco, hanno scritto i ricercatori in un articolo pubblicato nel 2014 sulla rivista Tobacco control. Per ostacolare tasse e regolamenti finalizzati a limitare il consumo di tabacco, i produttori di sigarette, poco credibili nel dibattito pubblico, in un primo momento hanno cercato di creare “un movimento ‘dal basso’ per difendere i diritti dei fumatori”. In seguito si sono rivolti ai gruppi libertari, che hanno un sostegno molto più ampio nell’opinione pubblica, e li hanno pagati, proprio come si farebbe con un fornitore di servizi, perché portino avanti la loro ideologia comune.
“È chiaro che le reti dei fratelli Koch non hanno bisogno del denaro dell’industria del tabacco”, prosegue Glantz. “Tuttavia, poiché sia le prime sia la seconda non sopportano le regole e fanno di tutto per bloccare l’azione del governo su molti temi, hanno un forte interesse in comune. Qualsiasi cosa possa rafforzare il potere delle reti dei Koch rappresenta un vantaggio per gli industriali del tabacco, nella misura in cui la loro azione favorisce un ambiente ostile alle regole, alle tasse e alla salute”.
Il loro piano è allo stesso tempo formare coalizioni dal basso e alleanze sul piano nazionale e intellettuale per influenzare il governo di Washington. “In fin dei conti è di questo che parliamo, di un ‘movimento’, di uno sforzo a livello nazionale per cambiare il modo in cui le persone pensano al ruolo del governo (e delle grandi aziende) nelle nostre vite”, ha spiegato Tim Hayde, dirigente dell’azienda produttrice di tabacco RJ Reynolds, in un fondamentale appunto del 1990.
Fino al 2004 la lobby del settore si è nascosta dietro la principale organizzazione dei fratelli Koch, Citizens for a sound economy. Movimenti come Get the government off our back (Toglieteci di dosso il governo) ed Enough is enough (Quand’è troppo è troppo) hanno gettato le basi di un’alleanza che più avanti avrebbe finanziato il Tea party. Nato all’inizio del 2009 con l’obiettivo di silurare l’Obamacare, il progetto di riforma del sistema sanitario voluto dal presidente Barack Obama, questo movimento di contestazione ostile alle tasse e alla spesa pubblica all’inizio non aveva niente di spontaneo. Era l’emanazione diretta di “decenni di astroturfing da parte del settore del tabacco e di altre industrie”, determinati secondo Glantz e i suoi colleghi solo a “sostenere il loro ordine del giorno economico”.
I loro interessi materiali comuni nascondono un’ideologia o è piuttosto il contrario? “Entrambe le cose”, osserva Mayer. “La loro ideologia giustifica le loro pratiche commerciali e viceversa. Hanno trasformato una strategia di marketing in un presunto movimento politico. Ne fanno una questione di principio per nascondere che si tratta di affari”.
Secondo Glantz le grandi manovre intorno alla promozione degli inalatori elettronici e della riduzione dei rischi svelate dalla nostra inchiesta sono “in continuità” con questo progetto creato quarant’anni fa. La sola differenza sta nel livello di complessità raggiunto. Legami in precedenza riscontrabili “sotto un paio di strati” oggi sono “sepolti sotto cinque o sei strati, al punto che è sempre più difficile scoprirli”.
Non potendo forzare le porte delle riunioni, il movimento libertario a favore dello svapo ha cambiato tattica e ora usa l’astuzia
Quando l’orchestra del Kochtopus comincia a suonare, un’immensa camera dell’eco diffonde l’ideologia libertaria con la scusa della difesa della libertà del consumatore, che ieri era il fumatore e oggi lo svapatore. Lanciano campagne e hashtag. Si citano, traducono, ripubblicano, ritwittano e mettono like tra loro. Fanno parte gli uni delle organizzazioni degli altri, si invitano a podcast e dibattiti online, pubblicano editoriali sui mezzi d’informazione più importanti. L’Atlas network rivendicava più di ventimila citazioni sui mezzi d’informazione nel 2020, il Ccc più di mille.
Per arrivare all’opinione pubblica alcuni siti d’informazione gratuiti fanno da cassa di risonanza. È il caso per esempio di Vaping today o di InsideSources, un sito di cui non si conoscono i finanziatori e il cui direttore possiede un cane di nome Milton, “come il suo economista preferito”, l’icona del libertarismo Milton Friedman. Sul sito escono articoli del Ccc e quelli di diversi centri studi delle reti Koch, come il Competitive enterprise institute, l’R street institute o la Taxpayers protection alliance.
In questo intreccio complesso non sempre è possibile sapere chi nasconde chi, ma si può comunque provare ad approfondire in che modo queste realtà interagiscono tra loro. Il caso della Taxpayer protection alliance è eloquente. Quest’organizzazione ha lanciato la campagna Igo watch, che pretende una maggiore trasparenza da parte dell’Oms, minacciando il taglio dei contributi finanziari degli Stati Uniti. La ventina di presunti movimenti dal basso che aderiscono alla campagna sono nella maggior parte dei casi gruppi libertari mascherati da associazioni per la difesa dei contribuenti. Tra loro c’è il Ccc.
I finanziamenti della Taxpayers protection alliance, che ha un budget annuale di 3,5 milioni di euro, sono opachi. Il suo presidente, David Williams, ha spiegato per email che non rivela l’identità di “chi ha donato per rispettarne la riservatezza”. Tuttavia il recente interesse dell’organizzazione per la questione dello svapo e i curriculum dei suoi leader lasciano pochi dubbi sulle loro motivazioni. Due di loro provengono dal gruppo conservatore Freedomworks, emanazione della Citizens for a sound economy dei fratelli Koch e importante finanziatore del Tea party. Nel campo dello svapo la persona chiave si chiama Lindsey Stroudt. Da maggio del 2021 guida il nuovo Centro per il consumatore della Taxpayers protection alliance, che ha una sezione dedicata alla riduzione del danno. Consigliere d’amministrazione di un’organizzazione di produttori di sigarette elettroniche, Stroudt ha un blog sui “fondamenti della riduzione del danno”. Quest’estate uno degli ospiti del suo podcast Across the pond (Dall’altra parte dell’Atlantico) è stato Yaël Ossowski, il numero due del Ccc.
Fino al 2020 Stroudt ha lavorato per l’Heartland institute. Famoso per essere stato una punta di diamante dello scetticismo climatico, questo centro studi finanziato dalle reti dei fratelli Koch diffonde ancora un volantino in cui garantisce di non “perdere mai un dibattito con un allarmista del riscaldamento climatico”. Lo Heartland institute non rende noti i suoi finanziatori “per principio”, ma la sua storia di contiguità con il settore del tabacco risale agli anni novanta, quando riceveva finanziamenti dalla Philip Morris, mentre dal 2010 ha ricevuto donazioni dalla Altria. Il suo “salotto per la libertà del consumatore”, che promuove la sigaretta elettronica, raccomanda come esperto Jeff Stier, lo stesso consulente del Ccc pagato dalla Students for liberty. Stier è anche socio della Taxpayer protection alliance. E rieccoci al punto di partenza.
◆ Secondo il Global tobacco industry interference index del 2021, uno studio realizzato dal Global centre for good governance in tobacco control, l’Italia con 79 punti su 100 è tra i paesi più esposti alle interferenze dell’industria del tabacco. In questa classifica è preceduta solo dalla Repubblica Dominicana (96 punti su 100), dalla Svizzera (92) e dal Giappone (88). Tra i paesi che hanno protetto meglio le loro politiche dagli interessi del settore del tabacco ci sono invece la Nuova Zelanda (30), il Regno Unito (32) e la Francia (33). Dopo il successo della legge che vieta il fumo nei luoghi pubblici in Italia, il tabacco sembrava avviato verso un lento declino. Invece oggi si assiste a una normalizzazione della presenza dell’industria del tabacco nel paese. Negli ultimi anni i governi hanno offerto alla Philip Morris e alla British American Tobacco condizioni vantaggiose per aprire fabbriche e hanno ridotto le tasse sul tabacco riscaldato, prima con il governo Renzi, che nel 2014 ha quasi dimezzato l’imposta sulle sigarette elettroniche e poi con il primo governo Conte (sostenuto dal Movimento 5 stelle e dalla Lega), che nel 2018 ha approvato un ulteriore taglio. Scienza in rete
La guerra contro l’Oms
Abbiamo individuato diciassette organizzazioni partner dell’Atlas network impegnate in azioni di lobby o di propaganda a favore della riduzione del danno e dello svapo. Dalla nostra inchiesta emerge che nella quasi totalità dei casi hanno percepito denaro dall’industria del tabacco, dodici di loro negli ultimi cinque anni. Interconnessi all’interno di questa rete, alcuni presunti movimenti nati dal basso, come la World vapers’ alliance, offrono una patina di legittimità sullo strato più visibile. Creati di recente, diffondono argomenti di conversazione nella comunità dei consumatori grazie ai siti dedicati allo svapo e ai social network. In Irlanda la Respect vapers è interamente finanziata dall’Edmund Burke institute, un centro studi libertario che considera “antidemocratico e infantilizzante lo stato balia”.
Nel Regno Unito We vape sembra essere rappresentata unicamente dal suo direttore, membro dell’Adam Smith institute. Entrambi gli istituti sono partner dell’Atlas network. In Canada la Right4Vapers, un’organizzazione lanciata anch’essa con una tournée in autobus, conta tra i suoi sostenitori ufficiali il direttore della World vapers’ alliance e quello della Taxpayers protection alliance.
Le regole europee non sono ovviamente l’unico obiettivo di questa macchina globale della propaganda, in cui i social network consentono l’astroturfing aggiornato al ventunesimo secolo. Da anni l’Oms è al centro di violenti attacchi coordinati. Nel 2003 la sua convenzione quadro per la lotta contro il tabacco ha creato una sorta di muraglia cinese intorno alle istituzioni pubbliche. L’articolo 5.3 di questo trattato internazionale, a cui oggi aderiscono 182 paesi, impone di proteggere le politiche di salute pubblica dall’ingerenza dell’industria del tabacco, esclusa da tutti i negoziati. Secondo il trattato “un conflitto fondamentale e inconciliabile” oppone la salute pubblica e gli interessi di questo settore, i cui prodotti uccideranno un miliardo di persone nel corso del secolo a meno di un’inversione di tendenza.
Ogni due anni le riunioni della Conferenza delle parti (Cop) della convenzione quadro sono caratterizzate da incidenti provocati da gruppi appartenenti a questa nebulosa libertaria inondata dal denaro del settore del tabacco, in particolare dalla Students for liberty e dal Ccc. Queste organizzazioni accusano l’Oms di rifiutare la riduzione del danno e di escludere il pubblico e i mezzi d’informazione dai negoziati, che ovviamente sono riservati ai funzionari e ai diplomatici delle delegazioni ufficiali. Nel 2016 a New Delhi, in India, alcuni rappresentanti della Students for liberty s’introdussero in una riunione della Cop7 mostrando dei cartelli. Nel 2018 a Ginevra, in Svizzera, Roeder e Ossowski hanno organizzato per il Ccc una serata alternativa alla Cop8, intitolata “Il tuo nemico non è la nicotina”, e si sono fatti accreditare come giornalisti grazie agli articoli scritti per siti d’informazione libertari.
Non potendo forzare le porte delle riunioni, il movimento libertario a favore dello svapo ha cambiato tattica e ora usa l’astuzia. L’idea è far inserire degli esperti di riduzione del danno e degli svapatori nelle delegazioni ufficiali, in particolare in quella del Regno Unito, che dopo la Brexit non è più vincolato agli impegni presi dall’Unione europea sulla convenzione quadro. Nella primavera 2021 un gruppo parlamentare sullo svapo composto da più partiti ha chiesto che la delegazione del ministero della salute britannica alla Cop9 di Ginevra (che si è svolta a novembre) “fosse rafforzata da esperti con un’esperienza del mondo reale e perfino da ex fumatori, che possono testimoniare i benefici dello svapo e di altri prodotti basati sul principio della riduzione del danno”. In caso contrario il governo britannico avrebbe dovuto considerare l’idea “di ridurre drasticamente il suo contributo finanziario all’Oms”, ha avvertito il gruppo, il cui vicepresidente è il conservatore Matt Ridley, fervente sostenitore dello svapo.
Queste argomentazioni, identiche a quelle della sfera libertaria, non sono affatto casuali. Gestito fino al 2020 dalla Uk vaping industry association (Ukvia), un’organizzazione che rappresenta gli interessi delle multinazionali del tabacco, questo gruppo informale ha richiesto l’opinione di esperti per sostenere la sua riflessione. La lista potrebbe fungere da titoli di coda per quest’inchiesta. Oltre alle firme della Japan Tobacco International, della Imperial Brands e della Juul, il cast include il Ccc, We vape, l’Adam Smith institute e l’Institute of economic affairs, notoriamente finanziato dall’industria del tabacco. Tra le presenze meno scontate c’erano diverse organizzazioni statunitensi come la Taxpayers protection alliance, la Property rights alliance e, nella rete di Charles Koch, la Reason foundation.
Nascosto tra le volute sprigionate dai gadget tossici dei produttori di sigarette e dalle raffinerie dell’impero Koch, sponsorizzato dai loro milioni opachi, questo piccolo esercito alimenta un progetto di cui l’opinione pubblica percepisce solo una minima parte. A cosa punta con il pretesto della libertà? Almeno stando ai tweet, ai volantini e alle menti coinvolte, il sogno è l’abolizione di qualsiasi forma di controllo sul mondo degli affari. ◆ gim
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Questo articolo è uscito sul numero 1442 di Internazionale, a pagina 40. Compra questo numero | Abbonati