Doña Brígida viveva nel retro di un edificio nel villaggio del Pericón, nello stato messicano di Guerrero, nel sud del paese. Nel 2014, a 83 anni, quasi non usciva più di casa, ma il figlio e i nipoti le facevano visita spesso. Poi uno di loro, Alexander Mora Venancio, 21 anni, smise di andarla a trovare. Brígida chiedeva sempre di lui, ma i familiari davano risposte vaghe: le dicevano che era molto impegnato con gli studi nella scuola normale rurale di Ayotzinapa, a pochi chilometri dal Pericón. Brígida aveva raccontato alla Folha de S.Paulo di essere orgogliosa del nipote, perché voleva diventare un maestro.

Quella bugia a fin di bene le è stata raccontata tutti i giorni fino alla sua morte, quattro anni dopo. Nel frattempo i parenti, che vivevano nella stessa casa, hanno costruito un altare con le foto del ragazzo, gli articoli di giornale su di lui e i manifesti che chiedevano giustizia.

Mora Venancio era uno dei 43 studenti scomparsi a Iguala la notte tra il 26 e il 27 settembre 2014. L’episodio rivelò al mondo la dimensione della violenza in Messico: secondo i dati ufficiali, le persone scomparse nel paese sono quasi 120mila (dal 1950 a oggi).

Dieci anni dopo quel settembre, non si sa ancora con precisione cosa sia successo e non è stata fatta giustizia. La sparizione dei ragazzi, avvenuta durante il mandato del presidente Enrique Peña Nieto, del Partito rivoluzionario istituzionale, ha attraversato gli anni del governo del leader progressista Andrés Manuel López Obrador (del partito Morena) e finirà nelle mani di Claudia Sheinbaum, anche lei di Morena, che assumerà la guida del paese il 1 ottobre.

La versione ufficiale

La vicenda di Ayotzinapa danneggiò Peña Nieto, anche se era legata a un contesto locale fatto di autorità corrotte, cartelli del narcotraffico e forze di sicurezza colluse. Gli studenti stavano viaggiando su quattro autobus per partecipare a una manifestazione a Città del Messico in memoria del massacro di Tlatelolco, avvenuto nel 1968. Erano stati intercettati dalla polizia, che aveva sparato uccidendone sei sul colpo. Solo uno degli autobus fu ritrovato. Gli altri, insieme ai 43 studenti, sparirono nel nulla.

Peña Nieto cercò subito di neutralizzare la crisi, mentre una moltitudine di persone scendeva nelle strade del paese per protestare. Senza portare avanti un’indagine degna di questo nome, il governo annunciò che gli studenti erano stati uccisi dal gruppo criminale Guerreros unidos, che li avrebbe scambiati per esponenti di un cartello rivale, Los Rojos. Secondo questa versione, i corpi dei ragazzi sarebbero stati bruciati in una discarica vicino a Cocula. Questa teoria, però, è crollata dopo che alcuni specialisti forensi stranieri hanno stabilito che a Cocula non c’erano segni di un incendio di quelle proporzioni né resti dei cadaveri degli studenti.

Oggi l’ipotesi più accreditata si basa su una presunta collusione tra le autorità locali, la criminalità organizzata, la polizia e l’esercito nazionale, motivo per cui le indagini sarebbero state insabbiate. Nelle ultime settimane Sheinbaum ha incontrato i familiari delle vittime, ma non ha presentato nessuna proposta concreta. In Messico ci sono più di duemila fosse comuni e molte sono state scoperte grazie allo sforzo instancabile delle famiglie che da sole cercano i loro cari. Se la nuova presidente vuole davvero affrontare il problema che fa sanguinare il Messico da più di vent’anni, per prima cosa dovrà affrontare il narcotraffico e la corruzione. ◆ as

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Questo articolo è uscito sul numero 1582 di Internazionale, a pagina 32. Compra questo numero | Abbonati