Dieci anni fa, parlando per la prima volta ai fedeli radunati in piazza San Pietro, papa Francesco disse che il conclave lo aveva eletto andando “a prenderlo alla fine del mondo”. Con quella battuta autoironica, il cardinale argentino aveva fatto capire che il suo papato sarebbe stato diverso da tutti quelli che lo avevano preceduto. Scegliendo di vivere in una residenza modesta situata al confine del territorio del Vaticano invece che negli appartamenti del palazzo apostolico, il papa si era presentato come un paladino degli emarginati.
Dieci anni dopo, quello stesso atteggiamento lo ha reso una delle voci morali indispensabili del nostro tempo. Sui temi più importanti di un’epoca complicata – la crisi dei rifugiati, l’emergenza climatica e le ingiustizie economiche – il primo papa non europeo dell’era moderna ha condotto una difesa energica dei valori universali.
A proposito delle migrazioni, è stato spesso profetico e ha parlato in modo più chiaro e deciso di molti politici progressisti. Durante una visita sull’isola greca di Lesbo, nel 2016, ha detto davanti ai cattolici locali: “L’Europa è la patria dei diritti umani e chiunque metta piede in terra europea dovrebbe poterlo sperimentare”. Oggi, mentre s’impongono le idee di chi vuole fare del continente una fortezza, Regno Unito in testa, quel messaggio resta molto attuale.
Criticando gli appetiti economici illimitati dell’occidente, l’enciclica del 2015 sull’ambiente intitolata Laudato si’ ha tracciato un parallelo vitale tra il destino dei poveri del mondo e quello delle regioni più colpite dall’emergenza climatica. Anche in quel caso Francesco si è concentrato sull’esigenza di solidarietà nei confronti delle regioni e dei popoli che si trovano lontano dai centri del potere e della ricchezza.
Ha attaccato i bastioni tradizionalisti all’interno della chiesa, con memorabili e ripetuti rimproveri alla curia romana sul tema dell’umiltà. Il sinodo in corso, incentrato sulla sinodalità (una convocazione di portata mai vista delle chiese cattoliche di tutto il mondo), vuole intaccare ulteriormente l’idea di un’istituzione di tipo monarchico.
Su temi come i rapporti tra persone dello stesso sesso, la condizione dei divorziati e la possibilità di risposarsi, il papa ha voluto mettere l’impegno pastorale e l’empatia davanti alla rigidità dottrinale, la carità davanti al giudizio. È passata alla storia la sua risposta data a un giornalista che gli aveva chiesto cosa pensasse dei rapporti tra persone dello stesso sesso: “Chi sono io per giudicare?”.
Dopo decenni segnati dall’ortodossia conservatrice di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, la scelta di Francesco è stata assolutamente coraggiosa, come dimostra la risposta furiosa dei vescovi conservatori, soprattutto negli Stati Uniti.
Poco dopo l’insediamento, il sito di gossip statunitense Gawker lo aveva definito “il nuovo papa fico”. Ma questo non significa che Francesco, che ha 86 anni, possa essere considerato una sorta di apostolo anomalo dell’illuminismo liberale e secolare. E non possiamo neanche dimenticare i suoi errori e i suoi passi falsi. Ha ammesso di aver sbagliato molto nella gestione della crisi degli abusi sessuali, che ha coperto di vergogna la chiesa in tutto il mondo, mentre tanti fedeli continuano a rimproverargli la mancanza di progressi sul ruolo delle donne all’interno della chiesa.
Eppure, in un momento in cui la globalizzazione e il malcontento stanno alimentando una nuova tendenza alla chiusura nella politica dei paesi ricchi, l’invito radicale di Francesco all’inclusione e alla solidarietà offre un contrappunto essenziale. ◆ as
The Guardian è un quotidiano britannico, fondato nel 1821.
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Questo articolo è uscito sul numero 1503 di Internazionale, a pagina 34. Compra questo numero | Abbonati